«Ci risiamo»
«Già, rieccoci»
(Anonimo realista, Dialogo tra universali)
Proponiamo al lettore la versione parziale di un dialogo inedito scritto dal noto filosofo greco Platone (Atene, 427 a.C. – Atene, 347 a.C.). Si tratta di un documento di recente scoperta e di straordinaria importanza per la ricostruzione dello sviluppo storico-teorico della filosofia di Platone. L’antica pergamena sulla quale esso è stato originariamente scritto è stata ritrovata in condizioni di grave usura e nonostante i vari tentativi di restauro basati sulle più sofisticate tecnologie oggigiorno disponibili non è stato possibile ritrovarne il titolo. Tuttavia, dato il contenuto ivi sviluppato, è ormai invalsa tra i critici la denominazione “De socru”, ossia il Della suocera. Il titolo apparentemente faceto, però, non deve trarre il lettore in inganno: si tratta, infatti, di un testo teoricamente molto intenso che, secondo alcuni, testimonierebbe un grave periodo di crisi del sistema filosofico dell’Autore.
Socrate [con tono solenne]: “Cara, sai, in questi giorni ho riflettuto tanto su di noi ed il nostro rapporto e sono giunto ad una conclusione molto significativa: tra me e te c’è una relazione platonica.”
Santippe [un po’ stranita]: “Una cosa?”
Socrate: “Una relazione platonica.”
Santippe “Ti avverto: questo non è il momento per sottopormi all’ennesima delle tue stravaganti trovate, Socrate, ho davvero tante cosa da sbrigare.”
Socrate: “A dire il vero la trovata non è mia. Sai, c’è un mio nuovo giovane allievo, tale Platone, col quale l’altro giorno mi sono piacevolmente intrattenuto in un fruttuoso dialogo.”
Santippe: “Tesoro, mi spieghi gentilmente che c’entra questo Platone con noi due? Mi fai preoccupare… E poi, dov’è che lo hai conosciuto? Non sarai mica stato ancora nell’agorà, vero?”
Socrate [annuisce]: “Beh, in effetti sì, ero di passaggio e così ho deciso di fermarmi a fare quattro chiacchiere con qualcuno.”
Santippe: “Siamo alle solite: quante volte te lo dovrò dire che prima o poi qualcuno ti interdirà dal frequentare quel luogo? Distogli i giovani dai loro doveri scolastici, distrai i lavoratori intenti al loro mestiere… e poi ti intrattieni spesso con quei profittatori spilladracme, come li chiamano? Ah sì, i sofisti. Insomma, Socrate, lo dico per te: perché non impegni il tuo tempo cercando un vero lavoro, come tutti gli altri?”
Socrate: “Un vero lavoro? E che cos’è il vero?”
Santippe [con fare fulmineo]: “Socrate, non provarci nemmeno.”
Socrate: “Oh, scusa cara, sai, l’abitudine…”
Santippe: “Sì, sì, sempre la stessa storia: ogni volta a chiedere ‘Cosa è questo?’, ‘Cosa è quello?’… [sbuffa] Piuttosto, parlami del tuo allievo e spiegami questa nuova pensata della ‘relazione platonica’ prima che io perda davvero la pazienza.”
Socrate: “Santippe, non dispiacerti ma non vorrei indugiare a parlare di Platone quanto di ciò che egli afferma. Ti sta bene?”
Santippe: “Mettila come ti pare ma sappi che mi sono già fatta un’idea della cosa.”
Socrate: “Cara, non sai quanto mi renda felice constatare il tuo vivace spirito di discussione. Su allora, esponimi pure i tuoi pensieri a riguardo.”
Santippe: “Beh, così ad occhio e croce, direi questo: dal momento che l’idea delle ‘relazioni platoniche’ è nata da una vostra discussione, e tenendo presente che voi dichiarate orgogliosamente di esser filosofi, suppongo che una relazione platonica sia una qualche sorta di unione meramente intellettuale o, che so io, un tipo di idilliaca amicizia contemplativa. Mi sbaglio?”
Socrate: “La tua proposta, Santippe, ha una sua ragione. Tuttavia stride decisamente con quanto ti ho riferito poc’anzi: tra me e te c’è infatti una relazione platonica. E per quanto io ti ammiri molto dal punto di vista intellettivo, la nostra unione, mia cara moglie, non può certo definirsi in termini esclusivamente contemplativi, non trovi?”
Santippe: “Sì, decisamente.”
Socrate: “In realtà ciò che chiamo ‘relazione platonica’ è qualcosa di ben più sostanziale e complesso.”
Santippe [un po’ spazientita]: “Vuoi rendermene partecipe, di grazia?”
Socrate [fa un momento di pausa, poi sbotta con aria seriosa]: “Guardati attorno. Nel mondo ci sono tantissime cose: case, alberi, persone, granelli di polvere, arpe…”
Santippe [sbruffando]: “Tesoro, lo vedo da me, non è necessario che tu mi faccia una lista completa: dove vuoi andare a parare?”
Socrate: “Aspetta, sii paziente e ci arrivo. Dicevo che il mondo è pieno di cose, ma volevo anche aggiungere – prima che tu mi interrompessi – che queste cose che ci sono familiari e che ci circondano sono fatte in certi modi e stanno tra di loro in certi altri: guarda la fiamma [indica il caminetto acceso]…”
Santippe [visibilmente preoccupata per la salute mentale del marito]: “Sì, la sto guardando…”
Socrate: “Bene, guardala attentamente: quella fiamma è di un rosso intenso, sta bruciando ad una precisa temperatura, si trova nel caminetto, è ad una certa distanza da noi… Capisci?”
Santippe [scuotendo basita la testa]: “No…”
Socrate: “Vedi, ciò che sto cercando di spiegare è che la fiamma ha delle proprietà (un colore ed una temperatura) ed intrattiene delle relazioni con altre cose (con noi e col caminetto, ad esempio): ci sei?”
Santippe [annuisce con sospetto]: “E con ciò?”
Socrate: “Bene, devi sapere che Platone, che già ritengo sia uno dei miei più dotati e brillanti allievi, sostiene qualcosa di inaudito. Le proprietà e le relazioni che possiamo constatare e che danno colore e forma alle cose del mondo altrimenti amorfe sono enti privilegiati: sono universali.”
Santippe [con tono scettico]: “Va bene, va bene, questo è il vostro filosofese. Tradotto nella nostra lingua corrente che vuol dire? Che privilegi avrebbero questi uni-cosi?”
Socrate [si avvicina a lei con occhi spiritati parlando con tono sommesso]: “Gli u-ni-ver-sa-li sono eterni ed hanno il dono dell’ubiquità.”
Santippe [non riuscendo a trattenere una risata]: “Bella questa!”
Socrate: “Guarda che non sto scherzando e nemmeno Platone scherzava mentre me ha parlato. Si tratta di una cosa molto seria. Osservalo da te: hai riconosciuto che il fuoco è nel nostro caminetto. Ma il fuoco è l’unica cosa che vi ci possa stare?”
Santippe [si ricompone]: “Evidentemente no: nel caminetto ci sono anche diversi ceppi di legna, quattro per la precisione, della cenere… [Si sporge per guardare con più attenzione] i resti della cartacce che tu sei solito buttar dentro nonostante la mia disapprovazione.”
Socrate: “Bene, proprio quello che ti volevo sentir dire…”
Santippe: “Intendi la cartacce?”
Socrate: “No, intendo anche le cartacce… Vedi, i resti delle cartacce che tanto ti danno uggia, la cenere, i ceppi di legno che alimentano il fuoco ed il fuoco stesso sono cose differenti accomunate però dal fatto di essere tutte nel nostro caminetto. Esse, per quanto dissimili possano essere tra loro, hanno un tratto in comune: condividono una medesima relazione spaziale, quella di essere dentro qualcosa.”
Santippe: “Interessante… dunque secondo te oltre a tutte quelle cose che riempiono il nostro caminetto esiste anche una certa relazione che le collega a quest’ultimo, esatto?”
Socrate [annuisce]: “Esatto! Tra le cose che possiamo contare in quella zona della nostra abitazione ci sono il caminetto, i ceppi, il fuoco, la cenere, le cartacce ed anche la relazione spaziale che li lega tutti assieme.”
Santippe: “Molto interessante…”
Socrate: “Certo che lo è. E diventa ancor più interessante se allarghiamo il nostro sguardo fino ad abbracciare l’intero mondo: non solo i nostri ceppi di legna, le cartacce che ho bruciato ed i loro resti possono stare dentro qualcosa, ma tante e tante altre.”
Santippe: “Fammici pensare… il nostro cane è nella sua cuccia nel patio, ci sono offerte nel santuario spartano di Artemide, specchi di bronzo nel faro di Alessandria, tesori inenarrabili nelle tombe di Micene… Penso che questi siano esempi calzanti.”
Socrate [esultando]: “Certo che lo sono!”
Santippe: “Dunque, stando a ciò che dici, la medesima relazione spaziale si presenta identica a se stessa nel nostro caminetto come a Sparta, nel nostro cortile come ad Alessandria e Micene… Insomma, si trova in più luoghi nel medesimo tempo.”
Socrate [con un sorriso soddisfatto]: “Per la precisione!”
Santippe: “E vorresti anche farmi credere che persino la relazione d’amore che ci unisce da quando ci siamo conosciuti ha questa sorta di comportamento?”
Socrate: “Mi pare ovvio: oltre a noi due, sono tantissime le coppie di persone che sparse per il mondo si amano. Riflettici: se una relazione non fosse ubiqua, il fatto che essa sia qui, ora a legare me e te dovrebbe comportare che non può essere altrove: ti sembra plausibile?”
Santippe: “Mi sembra di no.”
Socrate: “Insomma, pensa ad esempio ai nostri amici Cratilo e Polemona, novelli sposi che adesso sono in luna di miele a Mileto: laggiù quei due non si amerebbero per il solo fatto che io e te ci siamo accaparrati la relazione d’amore ben prima di loro? Assurdo, non trovi?”
Santippe: “Sembrerebbe proprio di sì. Prima però hai accennato all’ubiquità ed all’eternità. Tuttavia fin qui hai solo parlato della prima caratteristica e non della seconda…”
Socrate: “Certo, hai perfettamente ragione: è ora di parlare anche di eternità. Il motivo che mi persuade all’idea che il nostro mondo, alle volte così misero e caduco, sia popolato (almeno in parte) da enti eterni è semplice. Prendi un’asserzione vera come ad esempio ‘Diogene (il nostro amato cane) esiste’ – ci sei?”
Santippe: “Credo di sì, continua.”
Socrate: “Quell’asserzione riguarda Diogene ed è proprio lui a renderla vera, giusto?”
Santippe: “Certo.”
Socrate: “Tuttavia, ‘Diogene esiste’ è solo temporaneamente vera: senza complicare le cose andando a ritroso nel tempo, è facile immaginare che essa cesserà di essere vera in un futuro prossimo, ed io e te possiamo ben immaginare quanto triste il mondo diverrà allora.”
Santippe: “Sì, ma qual è il punto?”
Socrate: “Il punto è questo: se asserzioni temporaneamente vere – o per meglio dire, contingentemente vere – sono rese vere da cose contingentemente esistenti – esseri mortali e caduchi –, allora asserzioni eternamente vere devono essere rese vere da cose necessariamente esistenti – esseri eterni ed indistruttibili.”
Santippe [con sospetto]: “Cosa intendi per ‘asserzioni eternamente vere’? Fammi un esempio.”
Socrate: “Asserzioni del genere sono quelle denominate ‘verità necessarie’ e di esempi ce ne sono a bizzeffe: ‘Il rosso è un colore’, ‘La saggezza è una virtù’, ‘L’altezza è una proprietà’, ‘L’amicizia è una relazione’ e potrei andare avanti a non finire. In queste asserzioni, che non possono essere altro che vere, si menzionano proprietà e relazioni, la qual cosa suggerisce che queste entità (oltre ad essere ubique) sono anche eterne. Entità platoniche, per l’appunto.”
Santippe [inarcando un sopracciglio con aria di sfida]: “Adesso mi è più chiara la tua sortita: stando a ciò che hai detto, tu m’ameresti di un amore eterno ed ubiquo, vero?”
Socrate: “Sì, proprio così.”
Santippe: “C’è però qualcosa che non mi quadra.”
Socrate: “Dimmi pure.”
Santippe: “Se il nostro amore è eterno, noi ci ameremo eternamente?”
Socrate: “Fai attenzione: non devi confondere le caratteristiche degli universali con quelle dei loro eventuali possessori. Il fatto, ad esempio, che Diogene sia bianco non comporta che Diogene sia ubiquo o che sia eternamente ed incorruttibilmente bianco: questi tratti divini appartengono solo all’universale e giammai al suo portatore. E così anche il fatto che questo fascio di legna sia nel camino non implica che ci sia sempre stato o che possa contemporaneamente essere altrove, ma solo che i nostri ceppi di legna per il momento sono legati al nostro camino da una relazione spaziale universale, essa sì eterna ed ubiqua. Lo stesso vale per noi due: è ciò che ci lega ad esser qualcosa di eterno, ma noi sfortunatamente non lo siamo.”
Santippe: “Capisco. Questo tizio, Platone, sostiene invero una tesi straordinaria. Per non parlare, poi, della suocera fantastica con cui deve esser imparentato…”
Socrate: “Che?”
Santippe: “La suocera.”
Socrate: “Di chi?”
Santippe: “Ma di Platone, no? Tesoro, sei distratto?”
Socrate: “Per la barba di Zeus, stai sproloquiando o ti prendi gioco di me? Che c’entra, ora, sua suocera?”
Santippe: “Semplice. Lascia che mi spieghi. Prendi il nostro caso: tu sai quanto io ami mia madre e quanto mi spiaccia che tra te e lei non scorra buon sangue.”
Socrate: “E con questo? Scusami ma non ti seguo.”
Santippe: “Bene: tu, tesoro mio, mi ami tanto e la cosa è ricambiata; io, poi, com’è naturale che sia, amo la donna di cui sono figlia. Ora, dal momento che ciò che lega te a me e ciò che lega me a mia madre è un unico e medesimo legame (platonico, no?), segue che io, te e mia madre siamo uniti da una stessa, eterna ed ubiqua relazione d’amore. E così, tu ami mia madre se ami me ed io amo lei.”
Socrate [senza parole]: “…”
Santippe [con aria divertita]: “… e tutto ciò mi induce ovviamente a pensare che Platone avrà davvero una suocera meravigliosa per aver sostenuto l’esistenza degli unicosi.”
Socrate: “U-ni-ver-sa-li.”
Santippe: “Universali, certo. Come hai detto all’inizio? ‘Qualcosa di inaudito’, giusto? I mariti che intrattengono amabilmente relazioni platoniche con le proprie suocere. Questo sì che è qualcosa di inaudito!”
Socrate: “Santippe cara, la tua favella è mirabile ma sospetto che in questo tuo discorso si nasconda un sofisma.”
Santippe: “È il tuo campo, no? Dimmi pure in cosa vado errando.”
Socrate: “Non per togliere qualcosa alla tua venerabile madre, ma dovresti considerare il fatto che come amo te non amo nessun altro. Non era proprio questo quello che ti dissi quando ti proposi di sposarmi?”
Santippe: “Sì, era proprio questo.”
Socrate: “Se dunque non amo nessuno come amo te, non posso con ciò amare tua madre allo stesso modo di come amo te.”
Santippe: “Capisco.”
Socrate: “Dunque posso amare te senza per questo dover provar amore verso tua madre.”
Santippe: “Tesoro, ma a questo punto il nostro amore cessa di essere un universale, o sbaglio?”
Socrate: “In che senso?”
Santippe: “Abbiamo detto che un universale è tale in quanto eterno ed ubiquo.”
Socrate: “Certo.”
Santippe: “Nella fattispecie, la relazione d’amore che ci lega, essendo un universale, è in se stessa indistruttibile e lega tante e tante altre coppie nel mondo.”
Socrate: “E come potrebbe essere altrimenti?”
Santippe: “Eh, un attimo: se ora mi dici che l’amore che provi per me non puoi provarlo per nessun altro, allora questa relazione perde la promiscuità di un universale, quindi le cose cambiano assai.”
Socrate: “Spiegati meglio.”
Santippe: “Hai detto che l’amore che tu provi per me è una relazione che lega solo te a me e non può unirti a nessuno che non sia io. Ne consegue allora che il rapporto d’amore che ci lega è qualcosa di esclusivo ed assolutamente non condivisibile.”
Socrate: “Stai forse dicendo che l’amore non è un universale?”
Santippe: “Sto solo dicendo che se la tua dichiarazione d’amore è stata veritiera, ossia se effettivamente l’amore che senti per me non puoi sentirlo per nessun altro al mondo, allora tale relazione riguarda solo me e te e quindi non è affatto ubiqua.”
Socrate: “Interessante. Che mi dici, invece, dell’eternità di cui abbiamo parlato dianzi?”
Santippe: “Sinceramente nutro dei forti dubbi a riguardo: infatti non riesco a figurarmi in che senso l’amore che Socrate prova nei confronti di Santippe possa sopravvivere alla scomparsa di Socrate e Santippe. Gli amori, si sa, sono temporanei e nella migliore delle ipotesi durano una vita.”
Socrate: “E con i nostri amici Cratilo e Polemona come la metti? Non si potrebbero amare solo perché io e te ci amiamo?”
Santippe: “No, non dico questo. Dico solo che questi sono fatti loro, non tuoi.”
Socrate [borbotta tra sè e sè e poi sbotta]: “Santippe, questa risposta è assurda: dire che non sono fatti miei riguardo un certo problema non è una risposta che abbia dignità filosofica. Perdono questa sfrontatezza solo perché sei mia moglie.”
Santippe: “Caro, non hai ben compreso: quando dico che il loro amore è un fatto loro, intendo proprio dire che la relazione che di fatto li lega solo loro due e nessun altro. In altre parole, il loro amore è un fatto privato, o per meglio dire, una relazione privata. Quindi, ancora una volta, non si tratta di un universale.”
Socrate: “Santippe, la tua dialettica è impetuosa e farebbe invidia ad ogni mio allievo.”
Santippe: “Mio caro Socrate, ti ringrazio per questo complimento.”
Socrate: “Abbiamo così prospettato due concezioni alternative delle relazioni: quella da me chiamata ‘platonica’, in base alla quale le relazioni sono eterne ed ubique, e quella che da te esposta, in base alla quale le relazioni sono temporanee e private.”
Suocera ficcanaso: “Scusate, posso? Non ho potuto fare a meno di ascoltare dall’altra stanza la vostra concitata discussione e se adesso permettete avrei da dire la mia.”
Santippe [visibilmente sorpresa]: “Madre, sebbene il vostro origliare non sia stato rispettoso, dite pure, siamo tutti orecchi.”
Socrate [bisbiglia a Santippe]: “Parla per te!”
Suocera ficcanaso: “Ho udito il vostro sottile ragionare e devo dire che la questione mi ha parecchio interessata. Ma scusate, è solo una mia impressione o in fondo in fondo sembra anche a voi che entrambe le vostre supposizioni possano vantare buoni argomenti dalla propria parte tanto che appare pressoché impossibile decidere quale delle due sia la migliore?”
Socrate e Santippe [all’unisono]: “Invero sembra così.”
Suocera ficcanaso: “E dunque, data una questione indecidibile non nasce forse il sospetto che da qualche parte si annidi un errore che, passato inosservato, genera un problema apparentemente irresolubile?”
Santippe: “Forse, madre.”
Suocera ficcanaso: “Orbene, visto che si parla d’amorose relazioni forse questa vetusta donna che ha certamente più esperienza di voi potrebbe suggerirvi qualcosa, ossia che tutte queste vostre sottigliezze nascono da uno sbaglio iniziale.”
Socrate [con sospetto]: “E sarebbe?”
Suocera ficcanaso: “Per quanto differenti siano i vostri discorsi, entrambi assumete che le relazioni siano alcunché di reale o, come diceva Socrate, di sostanziale: ebbene, miei cari ragazzi, lasciate che vi dica che state discutendo su delle quisquilie.”
Socrate: “Ossia?”
Suocera ficcanaso: “Semplice: ‘amore’, ‘amicizia’, ‘relazioni spaziali’ sono solo parole astratte con le quali ci riferiamo a cose concrete, ossia a persone amate, ad amici e a oggetti che si trovano in luoghi particolari. Non vedo perché oltre alle persone che io amo debba anche esistere una relazione d’amore, eterna ed ubiqua, o più relazioni d’amore, temporanee e private. Ed allo stesso modo, non vedo perché mai in aggiunta alle persone che mi sono amiche ed agli oggetti che occupano lo spazio, vi debbano essere una o più relazioni d’amicizia o una o più relazioni spaziali.”
Socrate: “Dunque per voi quelle che abbiamo chiamato relazioni non esisterebbero affatto al punto che il solo parlarne porterebbe ad equivoci ed incomprensioni, giusto?”
Suocera ficcanaso: “Socrate, la tua mente è assai allenata ed hai saputo ben cogliere quello che intendo dire.”
Socrate: “Per quanto autorevoli e degne di ascolto siano le vostre parole, resto tuttavia di parere contrario.”
Suocera ficcanaso: “Varrebbe a dire?”
Socrate: “Lasciate che ritorni a quanto avete appena detto, ossia al fatto che la vostra, peraltro rispettabilissima, opinione si basi su un sospetto.”
Suocera ficcanaso: “Proprio così.”
Socrate: “E codesto vostro sospetto nascerebbe, come avete affermato, dal fatto che il mio discorso e quello di Santippe riguardo la natura delle relazioni lascino indecisa la questione, o sbaglio?”
Suocera ficcanaso: “Affatto, o Socrate.”
Socrate: “E non potrebbe piuttosto darsi il caso che il sottoscritto e la cara Santippe abbiano ancora poco indagato la nature delle cose sì da avere entrambi idee ancora poco chiare a riguardo? Non sarebbe altrettanto plausibile dire che sia questa l’origine del problema?”
Suocera ficcanaso: “In effetti sì, potrebbe anche essere così.”
Socrate: “Il fatto che non si possa decidere la questione non significa, di per sè, che la stessa non possa essere risolta.”
Suocera ficcanaso: “Lo riconosco.”
Socrate: “E dunque, quale sarà l’atteggiamento più saggio dinanzi ad un grattacapo come quello di cui stiamo discutendo, interrompere l’indagine per via della sua complessità o perseverare in essa?”
Suocera ficcanaso: “Sicuramente perseverare.”
Socrate: “Voi, o madre, siete nel giusto nel notare che il problema è assai complicato e che i nostri tentativi di dirimerlo sembrino equivalenti. Ma forse non è nostro compito trovare, ora, una soluzione ad esso.”
Suocera ficcanaso: “Socrate, le tue parole sono sagge. Resta però sbalorditivo constatare che ciò che comunemente si ritiene essere un argomento semplice e risaputo, quello intorno alla natura delle relazioni, ad un più attento sguardo si riveli inaspettatamente intricato e problematico.”
Santippe: “Già, specie se applicato ai legami di parentado [lancia un’occhiataccia alla madre]. Quanto a te, mio caro Socrate, sei ancora convinto che sia proprio una relazione platonica ciò che ci unisce?”
Socrate: “Decisamente sì e dovresti esserne felice: la mia preferenza alla teoria platonica delle relazioni mi porta a dire che t’amo dello stesso amore da quando ti ho conosciuta.”
Santippe: “Ne sono felice, tesoro, e tu dovresti esserlo almeno altrettanto se ti dico che la mia inclinazione ad una teoria non-platonica delle relazioni mi porta a dire che, col tempo, il mio amore è mutato ed oggi ti amo ancor più.”
Suocera ficcanaso: “Che tenera scenetta! E chi lo ha detto che far filosofia sia cosa gravosa ed austera?”