(da http://www.gerardodottori.net/) Primo di quattro figli, Gerardo nasce l’11 novembre del 1884 a Perugia da una famiglia di modeste condizioni; sua madre morì ben presto lasciando i figli in tenera età e in una situazione economica precaria. Terminate le scuole elementari, ed emerso ben presto il suo talento artistico, inizia a frequentare i corsi propedeutici serali dell’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci” della sua città e la mattina fa il commesso dall’antiquario e restauratore Mariano Rocchi. Seguirà poi i corsi per diventare pittore decoratore; tra il 1904 e 1907 realizza le prime convincenti opere dagli accenti divisionisti, come Fanciulla umbra (1904), alla ricerca di un linguaggio che lo affranchi dagli insegnamenti accademici ritenuti stantii. Diplomatosi all’Accademia nel 1906, intensifica la sua attività di decoratore di ambienti, che aveva intrapreso da tempo e con la quale si sostiene. Per cercare maggiori possibilità di guadagno si trasferisce a Milano dove esegue pitture murali in edifici privati nell’interland milanese per alcuni mesi. Quel soggiorno diventa occasione per approfondire la conoscenza della pittura divisionista e sarà fondamentale per l’evoluzione del suo linguaggio pittorico. Cosciente del ritardo culturale della provincia e dei suoi limiti, continua a decorare ambienti senza tralasciare la pittura e, attento ai nuovi fermenti culturali, nel 1908 entra in contatto con gli intellettuali che a Firenze dirigevano la rivista di critica d’avanguardia “La Difesa dell’Arte”. Al contempo si mette a capo di un gruppo di artisti, musicisti e scrittori che contestano i vecchi insegnamenti dell’Accademia di Belle Arti.
Scopre la pittura en plein air durante le escursioni sui monti che circondano la sua città e l’amore per le visioni di un paesaggio più ampio. Il 1909 segna l’inizio delle decorazioni murali in edifici religiosi in Umbria, come nella chiesa di Santa Maria Assunta a Monte Vibiano Vecchio vicino Todi.
In questo clima nasce un’opera fondamentale per i successivi sviluppi futuristi, Esplosione di rosso sul verde, (Londra, Tate Modern) datata 1910, in realtà di circa tre anni dopo, dipinto di rottura e reazione alla tradizione Com’egli ricorda “… Era il 1909 il Futurismo era stato fondato da Marinetti … ma la sua eco non era giunta ancora in provincia”. La sua vena polemica e acuta si esprime anche con la scrittura messa al servizio della rivista “La Difesa dell’Arte”, che ospiterà una sua novella e critiche d’arte che attaccano la situazione culturale perugina e chi la gestisce, innescando una polemica sulla stampa locale. Continua la pittura di paesaggio e invia due dipinti alla Prima Esposizione Nazionale Giovanile di Belle Arti di Napoli alla fine del 1911, che vengono accettati. Nel viaggio di ritorno incontra a Roma Giacomo Balla, artista che segna profondamente il suo percorso artistico e lo indirizza verso nuove forme espressive. Al 1912 risale la sua adesione al Futurismo e si intensifica l’attività del gruppo futurista perugino che si riuniva nel Caffè del centro detto “Mezzabestia” (come soprannominarono i giovani d’avanguardia il proprietario) per discutere del rinnovamento dell’arte proposto dagli echi che giungevano del manifesto di Marinetti. Di questo periodo i primi studi di motociclisti, ciclisti, ritmi astrali, esplosioni che esaltano una visione dinamica e sintetica del movimento. Nell’aprile del 1914 è uno dei principali organizzatori della memorabile Serata futurista tenuta al Politeama Turreno di Perugia con la presenza di Marinetti, ed altri esponenti di primo piano del Movimento, che avrà vasta e contrastata eco sulla stampa locale.
Nel 1915 parte per la Prima Guerra Mondiale, ma continuerà a dipingere con mezzi di fortuna e soprattutto a scrivere novelle, racconti, appunti e molte “parole in libertà” alcune di esse firmate con lo pseudonimo di G. Voglio e pubblicate sul periodico “L’Italia Futurista”. Ancora al fronte, da Perugia gli giunge la notizia della sua nomina ad Accademico di merito della Accademia di Belle Arti, ma attraverso un articolo a stampa dichiara l’incompatibilità fra il suo essere pittore dell’avanguardia artistica italiana e la carica in una istituzione che è in contrasto con le sue idee. Tornato dalla guerra, riprende presto i contatti con gli amici futuristi; nel 1919 torna ad esporre e organizza con lo scrittore Presenzini Mattoli ed altri del gruppo d’avanguardia umbro una Serata futurista a Perugia ed una Conferenza sul Futurismo ad Assisi, declamando poesie ed esponendo sue opere. L’anno dopo con Presenzini Mattoli fonda il periodico “Griffa!” (dall’espressione dell’antico grido di guerra dei perugini) per la “rinascita della vita artistica umbra”, che riscosse lusinghieri consensi e che, pur avendo vita breve riuscirà ad organizzare la Prima Esposizione d’Arte Moderna a Perugia smuovendo le tranquille acque dell’ambiente artistico-culturale della città. Si stringono i rapporti con Marinetti che verrà in visita allo studio dell’artista e che inaugurerà la sua prima mostra personale a Roma. In questo periodo Dottori si avvicina alla scenografia (con Ricciardi al Teatro Argentina di Roma e poi al Teatro Turreno di Perugia) e allo studio di una visione più dilatata e distorta del paesaggio come Il Lago, primo esempio di visione aeropittorica “statica” ma esasperatamente dilatata a fish-eye.
Realizza importanti decorazioni per la Sala da tè del Bar Ricci a Perugia nel 1923, (distrutte negli anni Sessanta), ma anche grafiche pubblicitarie per cartelloni e incarti di confezioni. In ottobre alla presenza di Marinetti e sua moglie Benedetta si inaugura nel capoluogo umbro il Ristorante Altro Mondo, allestito dall’artista con una vera e propria ambientazione futurista (purtroppo distrutta), dove Dottori cura anche l’arredo come gli elementi in ferro battuto e i mobili. Nello stesso anno realizza la copertina per La Danza di Frine di A. C. Galeazzi per l’editore F. Campitelli, che testimonia l’interesse costante per la grafica che si protrarrà per la tutta la sua attività. Nel 1924, nonostante la disapprovazione epistolare di Marinetti, che non era riuscito a far inserire ufficialmente i futuristi alla Biennale di Venezia, un suo dipinto, Primavera umbra, viene accettato dalla commissione esaminatrice. Nello stesso anno, a Milano, parteciperà come relatore al “Primo Congresso Futurista” parlando dell’“estetica della macchina e i futurismi rurali” definendo la sua particolare poetica pittorica, che si distingue dal meccanicismo degli altri futuristi. Nel 1926 inizia l’attività di decoratore a Roma e il previsto soggiorno di qualche mese si prolungherà fino al 1939, quando tornerà a Perugia ad insegnare. Nella capitale si mantiene scrivendo cronache d’arte per quotidiani e periodici e con l’attività artistica, contribuendo all’elaborazione della linea “politica” futurista anche attraverso le sue polemiche contro la tradizionale pittura figurativa. L’opera più importante di questo periodo è il Trittico della velocità più volte elogiata da Marinetti, che con la decorazione murale dell’Idroscalo di Ostia del 1928, segnerà l’affermazione dell’aeropittura, dando nuovo impulso al corso futurista. Queste opere saranno tappe importanti verso l’elaborazione del Manifesto dell’Aeropittura. Sempre in questi anni sperimenta l’arte ceramica collaborando con Giuseppe Fabbri di Faenza. Dagli anni Trenta si dedica anche alla realizzazione di mobili futuristi tra cui si ricorda la sala da pranzo per la casa romana di Guido Cimino e si interessa di moda, disegnando uniformi, vestiti da società e abiti sportivi. Nel Manifesto dell’Arte Sacra Futurista firmato da Marinetti e Fillia nel 1931 è ricordato come il primo pittore futurista che rinnovò l’arte sacra. Con Anno X l’artista umbro vince, nell’ambito della Biennale di Venezia nel 1932, il Premio del Ministero delle Corporazioni e con Enrico Prampolini è l’unico futurista a collaborare alla mostra per il decennale della Rivoluzione fascista tenutasi a Roma. L’anno successivo prende parte al progetto per la Stazione per aeroporto civile di Prampolini esposto alla Triennale di Milano e vince con il Trittico del Golfo il Premio Nazionale di Pittura Golfo della Spezia ed esegue bozzetti per vetrate in collaborazione con una vetreria di Roma. Rientra definitivamente nella sua città natale nel 1939 e tra il 1936 e il 1938 insegna all’Istituto d’Arte di Perugia, per poi essere incaricato della cattedra di Pittura dell’Accademia di Belle Arti, divenendone direttore nel 1940. Alla fine del 1941 scrive il Manifesto umbro dell’aeropittura, la sua dichiarazione di poetica in cui specifica l’originalità del proprio linguaggio aeropittorico, pubblicato nella prima monografia dell’artista prefata da Marinetti per le Edizioni futuriste di poesia.
Nel 1945 lascerà la direzione dell’Accademia, pur proseguendo l’insegnamento di Pittura fino al 1966. Dalla fine degli anni Quaranta si intensifica l’attività di decorazioni sacre e profane che realizza nella zona del Lago Trasimeno. Conseguente alla condizione d’isolamento locale e nazionale, comune ai superstiti del Futurismo, Dottori viene relegato in un limbo dal quale non fa nulla per uscire in fretta; continua però a dipingere e ad esporre. La riscoperta del Futurismo e dei suoi protagonisti lo raggiunge in ritardo. La prima mostra personale del dopoguerra è del 1951 a Milano anno in cui è invitato alla prima mostra storica sul movimento d’avanguardia tenutasi a Bologna. Espone incessantemente a numerosissime collettive soprattutto in Umbria, dove è considerato sempre un indiscusso maestro, continuando a partecipare e a vincere numerosi premi. Nel 1957 dona al Comune di Perugia cinque suoi capolavori per costituire il nucleo della futura Galleria d’Arte Moderna e la città organizza una sua prima retrospettiva. Nel 1960 l’artista conosce Tancredi Loreti, imprenditore e collezionista d’arte, che si dedicherà alla valorizzazione della figura e l’opera di Dottori. A lui si debbono decine di mostre e iniziative in Italia e all’estero, la monografia con testo di Guido Ballo del 1970 e i rapporti con i giovani critici, che stavano riscoprendo il Futurismo. A seguito di una richiesta, dona il dipinto Esplosione di rosso sul verde alla Tate Gallery di Londra nel 1972 e due anni dopo si tiene a Trieste una grande antologica per i suoi novant’anni. Dipinge fino all’ultimo giorno di una lunga vita e negli ultimi tempi realizzerà anche una serie di opere “astratte”, con tecniche per lui inusuali come i pennarelli. Anche in queste ultime si coglie la continua esigenza dell’artista di coniugare il dinamismo, la sintesi e la simultaneità e quindi la modernità, come aveva insegnato il Futurismo, con l’essenza della natura e dell’uomo per giungere alla spiritualizzazione della natura stessa.
Dottori muore il 13 giugno del 1977 nella sua casa di viale Pellini a Perugia.