24 settembre 1961, dal belvedere dei Giardini Carducci di Perugia si vedeva la pianura sottostante brulicare di luci, che senza soluzione di continuità arrivavano ad Assisi e più su fino alla Rocca di Federico II.
Autobus, auto, moto, vespe e financo biciclette con le luci accese, davanti all’imbrunire, erano gli autori di quell’immenso serpentone che si snodava verso Perugia insieme alle diramazioni naturali per le altre località di provenienza dei partecipanti a questa prima marcia della pace, ideata e voluta da Aldo Capitini [1].
Terminati gli interventi, a conclusione della marcia, in sella a una ‘veloce’ Lambretta guidata, in modo spericolato, da Pietro Conti[2] eravamo subito tornati a Perugia con il proposito di vedere il deflusso delle migliaia e migliaia di persone convenute per la marcia; il punto di osservazione non poteva che essere il sopracitato belvedere.
Mentre pensavo che era stato un giorno da non dimenticare, incantevole, allegro, una giornata di amicizia, dissi a Conti “è stata proprio una bella manifestazione!” mi guardò e disse piano; “è vero, forse qualcosa di più, oltre le aspettative nostre, per partecipazione e significato, talvolta la politica ci riserva delle sorprese”.
La giornata limpida e piena di sole, era iniziata presto con gli ultimi preparativi, poi da piazza della Repubblica, sede della federazione del Partito comunista via verso il, XX giugno, punto di partenza della marcia.
Già! Proprio il XX giugno, un luogo e una data dai molteplici significati e valori, nel cuore e nella memoria di molti perugini.
E’ il 20 giugno 1859, che in questo luogo iniziarono e si consumarono “le stragi di Perugia”, stragi compiute dalle truppe mercenarie inviate dal papa per annientare la volontà dei patrioti perugini, che lottavano per un’Italia unita e libera.
E’ in questo luogo, che furono fucilati, l’8 marzo 1944, i ‘ribelli’che lottavano contro i nazifascisti per riconquistare la loro libertà e quella dell’intero paese.
E’ il 20 giugno 1944 che Perugia fu liberata, tornando a sperare nella democrazia e nella libertà.
Qua già stazionavano migliaia di persone; molti perugini, diversi parlamentari, sindaci con la fascia tricolore e noti intellettuali che avevano aderito alla marcia.
Tanti giovani e cartelli e bandiere della pace, nessun segno o simboli di partito, solo uomini e donne: così aveva voluto Aldo Capitini.
Già numerosa la gente venuta dalle altre regioni, dal Veneto fino alla Sicilia, presenti anche pacifisti convenuti da diverse parti del mondo.
Ci si prepara alla partenza. E’ un piccolo uomo che si pone alla testa della marcia, subito dopo lo striscione, una frazione di lenzuolo su cui è tracciato il significato di questa marcia.
Lo striscione, che sarà portato per tutto il percorso, a turno da Pio Baldelli, Italo Calvino, Giovanni Arpino e Andrea Gaggero, recita: “Marcia della pace – per la fratellanza dei popoli Perugia – Assisi”.
Il piccolo uomo ha voluto questa marcia con tutta la sua volontà, caparbietà e pazienza ma anche con la forza della sua cultura e della sua capacità utopica, che in questa giornata è vincente, di concepire la politica.
La marcia è ora inarrestabile, scende veloce per la strada San Girolamo fino a Ponte San Giovanni; da qui in poi il corteo, come un fiume che riceve acqua dai suoi molteplici affluenti, diventa sempre più numeroso e imponente.
Ai margini della strada in continuazione gruppi di persone, per lo più famiglie contadine, aspettano per unirsi alla marcia.
Agli incroci stradali, la gente scesa dagli autobus, arrivati lì chissà da dove, si immette nel corteo portando nuovi cartelli, con nuove richieste di pace.
In tutti i centri abitati che la marcia attraversa c’è una piccola folla in attesa, pronta a confluire in questo straordinario fiume.
Intanto il corteo ha una sua vita propria; una banda al completo detta il ritmo di marcia ad una frazione di questo.
Una ragazza americana giovanissima, forse a Perugia per frequentare l’Università per stranieri, portava con passo veloce in giro il suo cartello, sembrava il simbolo della leggerezza di quella giornata accanto alla figura ascetica, e quasi severa di Aldo Capitini.
Un’immagine sottolineata dal suo abbigliamento: era l’unico in tutta la marcia ad aver portato sempre la giacca, la cravatta e il cappello.
Da un altro ramo del corteo si alza piano piano un canto, accompagnato da una chitarra sola, che lentamente coinvolge decine di giovani, anche quelli che sentono la canzone per la prima volta e pretendono già di conoscerla,
“ Dove vola l’avvoltoio?
avvoltoio vola via, vola via
dalla terra mia, che è la terra dell’amor…”
Altri giovani, lontani da questi, come in un dialogo o come fosse una gara canora, intonavano:
“Avevamo vent’anni e oltre il ponte
oltre il ponte ch’è in mano nemica
vedevam l’altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte“[3].
La sosta della marcia a Santa Maria degli Angeli permette di rifocillarsi un po’, prima dell’ultimo tratto verso Assisi, e di salutare con un applauso caloroso una coppia di sposi che sta uscendo dalla Basilica.
I marciatori ora salgono verso Assisi, l’attraversano, ma nella cittadina tutto è silenzio: i negozi sono chiusi, le finestre sbarrate, nessuno per strada o nella fitta rete di vicoli di questa stupenda cittadina, dove durante l’anno convergono da tutte le parti del mondo migliaia di pellegrini per venerare Francesco che qui nacque e predicò appunto la pace e la fratellanza dei popoli.
Ma quel silenzio al posto di sembrare un distacco, una separazione, un rifiuto rischia di di apparire come una forma di riguardo verso una manifestazione su cui forse non si è d’accordo ma che, si intuisce, merita rispetto per la dignità, la severità mista all’allegria con cui si esprime.
Ma parecchi anni dopo, saranno proprio i francescani del sacro convento di Assisi, tra i promotori della Tavola della pace, associazione organizzatrice delle future marce.
Infine, i marciatori, sono circa ventimila, invadono i prati antistanti la Rocca di Federico II.
Iniziano ora gli interventi: da Capitini a Guttuso, da Ernesto Rossi a Arturo Carlo Jemolo e Guido Piovene, mentre continuano ad affluire migliaia di partecipanti tra canti e slogan ritmati.
Capitini chiede poi due minuti di silenzio per le vittime di tutte le guerre.
Quella moltitudine si ferma d’un tratto, un silenzio irreale avvolge la Rocca, e percorre tutta quella gente che si era alzata in piedi o si era inginocchiata per una silenziosa preghiera.
Forse in quel momento fu chiaro il senso di quella giornata.
Ma, anche quando gli interventi sono terminati e inizia il deflusso, tantissimi, soprattutto giovani, seduti sul prato della Rocca continuano a scandire slogan e ad intonare le canzoni della pace, come a testimoniare che l’impegno per la pace non va affidato a un unico giorno ma a tutti i giorni della nostra vita.
(photo courtesy Studio Medici)
[1] Aldo Capitini, nasce a Perugia il 23 dicembre 1899, Punto di riferimento dell’antifascismo, viene cacciato dalla Normale di Pisa dal rettore Gentile per essersi rifiutato di firmare l’adesione al fascismo. Docente universitario di storia delle religioni, filosofo, poeta, nonviolento, vegetariano, propugnatore della democrazia diretta. Muore a Perugia il 19 ottobre 1968.
[2] Pietro Conti, nasce a Spoleto l’8 settembre 1928, al tempo vicesegretario della federazione perugina del Pci, futuro primo presidente della Regione Umbria, poi parlamentare e membro della direzione nazionale del Pci; sicuramente il più rappresentativo politico umbro del partito comunista. Muore a Perugia il 7 settembre 1988.
[3] Dove vola l’avvoltoio e Oltre il ponte due ballate con i testi di Italo Calvino, musicate e cantate da Sergio Liberovici, composte alla fine degli anni cinquanta e stampate su microsolco nella collana Cantacronache. Fausto Amodei le canta lungo il percorso della marcia, mentre altre le improvvisa insieme a Franco Fortini.
Aldo Peverini ha scritto articoli e saggi sulla pubblicità e la comunicazione sia commerciale che politica, compresa un’indagine/ricerca sullo stato della pubblicità in Umbria, poi pubblicata. Lavora da circa trent’anni nel settore della comunicazione e della pubblicità, sia commerciale che istituzionale e politica, fondando agenzie di comunicazione o come consulente. Ha recentemente curato il volume Quando la politica era passione una cronistoria, degli anni ’70 in Umbria, raccontata, commentata e con un ampio corredo fotografico. E’ l’autore dei testi e della sceneggiatura della Storia di Perugia a fumetti pubblicata nel 1980, di cui è in corso la stampa la seconda edizione.
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