La didattica a distanza e la formazione in ambiente digitale, dopo il periodo di grande notorietà del ventennio 1990-2010 e il suo successivo accantonamento analogo ai tanti prodotti della tecnologia da cavalcare al momento e da abbandonare subito dopo, hanno vissuto e stanno vivendo, nel 2020, un periodo di grande interesse e notorietà, dovuto soprattutto all’emergenza conseguente alla pandemia da SARS-CoV-2. Recentemente, quando quasi più nessuno ne parlava più, ecco che la situazione sanitaria ha riportato quell’ambito quasi dimenticato in primo piano nel dibattito sulla didattica possibile in un momento di emergenza e di contestuale necessità di continuare l’anno scolastico e accademico in corso.
La situazione sanitaria ha provocato la chiusura di scuole, università e istituzioni formative in 138 paesi, con oltre il 98,5% della popolazione studentesca che non ha potuto seguire lezioni e partecipare alla didattica in presenza (Ragusa, 2020). La didattica in presenza è stata totalmente sostituita dal collegamento remoto e si è ricorsi all’ambiente digitale per ovviare ai problemi connessi al distanziamento fisico e sociale. Come è stata accolta la didattica a distanza da studenti e famiglie? Cosa è successo al sistema scolastico? È cambiato qualcosa rispetto alla didattica tradizionale? Qual è il livello di competenze tecnologiche di studenti e insegnanti? Si può così parlare di innovazione tecnologica nel modo di fare scuola? A queste domande non è semplice rispondere. In Italia, nel corso del 2020, il tema della Didattica a Distanza (DAD) ha dominato la scena politica e sociale e qui si vorrebbe esporre qualche considerazione sul senso di quella che viene spesso proposta come prodotto dell’innovazione tecnologica (ma che proprio innovazione non è), e che porta comunque con sé una serie di problematiche su cui la scuola, l’università e le istituzioni formative devono necessariamente confrontarsi.
Innanzitutto, un chiarimento sui termini, come propone Miriam Di Carlo nella rivista online dell’Accademia della Crusca: il chiarimento è indispensabile poiché il profluvio di termini rischia di confondere chi, invece, vuole chiarezza e ritiene che i termini della questione indichino anche differenze nel modo di insegnare e apprendere. Teledidattica, e-didattica, e-learning, didattica in telematica, didattica online, didattica digitale, scuola digitale, smart learning, sono solo alcuni tra le decine di termini utilizzati riferendosi quasi sempre alla formazione a distanza, che di recente ha riunificato molte delle accezioni con cui ci si riferisce a quel tipo di formazione indipendente dallo spazio e dal tempo di erogazione e caratterizzato dalla separazione fisica tra insegnante e discente (Bontempelli, sd).
A dire il vero, la formazione a distanza (FAD) non nasce con il World Wide Web, ma ben prima dell’avvento della Rete. Le nuove tecnologie hanno dato un notevole impulso alla realizzazione di progetti di formazione online, e se si volesse ripercorrere brevemente la storia della FAD, occorrerebbe risalire addirittura agli epistolari scritti a scopo di educazione e istruzione (le lettere di San Paolo alle comunità cristiane dell’epoca), ma questo significherebbe partire veramente da molto lontano.
Tornando a epoche recenti, è ormai opinione comune e condivisa suddividere la formazione a distanza in tre generazioni (Calvani, Rotta, 2000):
- la prima generazione della formazione a distanza (iniziata verso la metà dell’Ottocento) si avvaleva del trasporto e dei servizi postali per recapitare agli interessati i materiali di studio: era una didattica per corrispondenza scritta, orientata a un’utenza adulta, favorita dallo sviluppo del sistema ferroviario e segnata da una tipologia comunicativa uno-uno; in tempi più recenti, la Scuola Radio Elettra Torino divenne, negli anni Cinquanta del secolo scorso, la più famosa scuola per corrispondenza, spinta dalla scolarizzazione di massa e dall’avvento dell’elettronica;
- favorita dalla diffusione di radio e televisione, la seconda generazione di FAD si sposta verso una tipologia comunicativa uno-molti e un’infrastruttura di tipo distributivo massmediale. Accanto a trasmissioni radiofoniche, un esempio italiano di riferimento a tale generazione è stata la trasmissione televisiva “Non è mai troppo tardi”, andata in onda dal 1960 al 1968 in fascia pre-serale per permettere di assistervi anche a chi lavorava: il programma, tramite l’insegnamento della lingua italiana, cercava di sanare la piaga dell’analfabetismo, particolarmente diffuso in quel periodo in Italia (circa un milione e mezzo di persone riuscirono a conseguire la licenza elementare);
- l’avvento dell’informatica, del personal computer e della rete Internet hanno dato luogo alla terza generazione della FAD, la cui caratteristica è quella di aggiungere alla tipologia uno-molti (in atto con le prime due generazioni) una tipologia comunicativa molti-molti. Questa generazione ha visto affiancarsi due fasi ben distinte: la “fase off-line, basata sull’uso di strumenti che non si avvalgono del supporto delle reti (floppy disk, cd-rom, dvd, accesso a materiali scaricabili) e la fase on-line, fondata sui podcast, sui tutorial e sull’apprendimento sincrono; la prima più flessibile, più personalizzabile e più rispettosa dei ritmi dello studente, la seconda più orientata alla costituzione di comunità di apprendimento e spesso più vicina alla didattica tradizionale.
Tutte e due queste versioni della terza generazione di FAD, offline e online, si portano dietro alcuni problemi: ci si è resi conto ben presto che l’educazione a distanza non è semplice distribuzione di materiale, non è studiare su supporti elettronici, né la trasformazione di una lezione in classe in una lezione online di tipo trasmissivo (dove si perde l’elemento fondamentale della relazione), anche se è diventata un accessorio importante, ma non determinante, del cambiamento atteso.
Come è stata accolta la DAD? Un sondaggio AlmaDiploma, svolto a partire dal mese di maggio 2020 in collaborazione con AlmaLaurea, ha coinvolto 246 istituti e 73.286 studenti di quarta e quinta superiore, e ha indagato temi come l’uso delle tecnologie informatiche personali, gli effetti della DaD, il carico di studio, la capacità di concentrazione, l’efficacia della DAD, l’opinione degli studenti rispetto agli insegnanti, la solidità legami familiari e i timori per il futuro. Dall’indagine (hanno risposto solo 23.305 studenti), emergono alcuni dati interessanti: per quanto riguarda le attrezzature informatiche (pc, tablet, portatili o smartphone) e la connessione per seguire le lezioni, la quasi totalità degli intervistati (93,6%) dichiara di non aver ricevuto alcun tipo di supporto da parte della scuola, affidandosi alle sole risorse disponibili in famiglia. Così come per gli effetti della DAD in termini di carico di studio, capacità di concentrazione e efficacia dello studio. Il 79,6% degli studenti dichiara che durante la didattica a distanza i compiti sono aumentati rispetto alle lezioni tradizionali. Poco meno di un terzo degli studenti (31,6%) ritiene che sarebbe utile continuare a usare la didattica a distanza, insieme alle lezioni in aula, anche dopo l’emergenza del Covid-19. Il 72,1% degli studenti pensa, invece, che la preparazione raggiunta attraverso le lezioni a distanza sia inferiore a quella che avrebbero avuto andando a scuola e il 42,8% degli studenti ritiene di non avere una preparazione adeguata per affrontare il prossimo anno scolastico o l’esame di maturità per gli studenti di quinta.
Che cosa non ha funzionato? Per rispondere, occorre analizzare le dinamiche della DAD. L’opinione che ha animato le recenti esperienze di didattica a distanza sembra essere che insegnare sia soprattutto un trasmettere informazioni: qualcuno o qualcosa fornisce delle informazioni all’allievo ed è così che egli impara. Questo è solo un aspetto della formazione, e non il principale; ed è riduttivo pensare che le nuove tecnologie ci abbiano liberato soltanto da vincoli di natura spazio-temporale: in rete devono essere valorizzati i rapporti fra i partecipanti al processo di apprendimento. “Il potere didattico della telematica consiste non tanto nell’essere in grado di sostituire il telefono o il servizio postale, o di fornire un sistema efficiente di distribuzione di massa, ma nella sua capacità di realizzare nuove forme di interazione collettiva” (Riel, 1993).
In aggiunta, nel campo delle scienze cognitive si è assistito, negli anni della rivoluzione tecnologica, a profondi cambiamenti di paradigma, per ciò che attiene l’epistemologia. Si è passati da una concezione oggettivista della conoscenza ad una visione costruttivista: da un complesso di idee che vedono la conoscenza come una verità, astorica, universale, unificante, trascendentale, a priori, oggettiva, indipendente, rispecchiata da una mente razionale, autonoma, imparziale, incorporea, obiettiva, si è passati ad una concezione che considera la conoscenza un prodotto socialmente, storicamente, temporalmente, culturalmente e contestualmente costruito; nel settore della ricerca attorno ai processi di insegnamento e apprendimento, questo passaggio ha portato da un’idea di insegnamento come “trasmissione di conoscenze e abilità, attraverso le metafore del «travaso» dei saperi e della famigerata tabula rasa da iscrivere” (Varisco, 1995) a un progressivo riconoscimento dell’importanza del concetto di apprendimento rispetto a quello di insegnamento con una conseguente centralità dell’allievo e un processo di apprendimento che viene visto quindi come costruzione attiva, da parte del soggetto, della propria conoscenza. È ormai noto come la comunicazione cui eravamo abituati dai mass media classici, unidirezionale, vincolante, sia stata poco a poco affiancata da una tipologia comunicativa bidirezionale, nella quale emergono sempre più l’interazione, la condivisione e la collaborazione come elementi costitutivi essenziali non soltanto di una nuova forma di comunicazione, ma anche di una nuova forma di apprendimento, promosso dalla Rete. Usare quindi la tecnologia per riprodurre la lezione frontale non sembra essere la soluzione migliore.
La comunicazione mediata dal computer (CMC, computer mediated communication) si caratterizza infatti, nella sua novità, per essere (Calvani, Rotta, 1999):
- svincolata da condizionamenti spazio-temporali e quindi accessibile ovunque e in ogni momento;
- editabile, cioè i cui messaggi possono essere ritoccati, modificati, aggiustati;
- reticolare, con possibilità di scambio molti-molti;
- capace di espandere la comunità coinvolta.
L’avvento della rete implica, così, modalità di fruizione molto diverse da quelle della didattica trasmissiva, con l’affermazione di quella che Pierre Lévy ha definito, molto tempo fa,“intelligenza collettiva”, quella dell’agorà elettronica e delle comunità di apprendimento, dove “collaborare vuol dire lavorare insieme, il che implica una condivisione di compiti, e una esplicita intenzione di “aggiungere valore”, per creare qualcosa di nuovo o differente attraverso un processo collaborativo deliberato e strutturato, in contrasto con un semplice scambio di informazioni o esecuzione di istruzioni” (Kaye, 1994). Una visione costruttivista della didattica ha restituito hardware e software al loro ruolo di strumenti, poiché, è stato detto, gli studenti hanno bisogno di una tecnologia che non li riduca a consumatori di informazioni, ma li trasformi in produttori di conoscenza (Papert, 1994).
La didattica a distanza all’epoca della pandemia ha riportato le nuove tecnologie al ruolo di strumento, ma si è dimenticata di tutta una serie di possibilità offerte proprio dalle soluzioni di didattica innovativa, per dare a computer, tablet e smartphone il ruolo di protesi comunicativa che cerca di superare i problemi relativi alla distanza spaziale tra i vari attori del processo formativo. Occorre notare che la tecnologia è stata utilizzata, durante la pandemia, per riprodurre, in un ambiente elettronico, quello scolastico. La scuola, da parte sua, non ha saputo liberarsi da alcuni pregiudizi e ha quasi sempre cercato di riproporre attraverso un ambiente nuovo, quello informatico, molte delle dinamiche didattiche tradizionalmente usate a scuola, ma il computer, come è noto, non si presta a duplicare il consueto rapporto docente-allievo, nel quale permangono strategie comunicative impossibili da riprodurre attraverso una macchina. La didattica a distanza è sembrata un’occasione, non sfruttata, per promuovere quel progressivo mutamento nella tradizionale concezione dei ruoli dell’insegnante e dell’allievo. Negli ultimi trent’anni, infatti, si è da più parti (ma soprattutto da parte di Seymour Papert, il fondatore dell’informatica applicata all’apprendimento) invocato un cambiamento di prospettiva nei processi di insegnamento/apprendimento, auspicando un approccio student-centered e un paradigma educativo che ripensa il primato dell’insegnamento e lo sostituisce con la convinzione che debba essere l’allievo ad essere posto al centro del processo didattico. Ciò nella DAD assume ancora di più un ruolo determinante.
Accanto ai problemi di una visione fondamentalmente errata della didattica a distanza, un’ultima considerazione, ma non per questo meno importante, è quella relativa alle possibilità di accesso alle risorse digitali. Infatti, tutte le riflessioni svolte sulle metodologie didattiche e sulle possibilità di apprendere devono fare i conti anche con il cosiddetto digital divide. L’accelerazione verso la didattica in formato digitale ha messo in evidenza un netto divario tra chi ha accesso effettivo alle tecnologie dell’informazione (in particolare personal computer e Internet) e chi ne è escluso, in modo parziale o totale.
In genere, si distinguono tre tipi di divario digitale: globale, sociale e democratico. Il primo si riferisce alle differenze esistenti tra paesi più o meno sviluppati; il secondo riguarda le disuguaglianze esistenti all’interno di un singolo paese; il terzo focalizza le condizioni di partecipazione alla vita politica e sociale in base all’uso o meno efficace e consapevole delle nuove tecnologie, in rapporto alla dimestichezza che gli utenti hanno con le tecnologie informatiche (agendadigitale.eu).
In un interessante articolo apparso di recente sul quotidiano Il Sole 24 Ore viene notato come la pandemia abbia messo ancora più in luce il fatto che “la possibilità di fruire di questo tipo di formazione non è ancora per niente omogenea nel mondo e incontra degli ostacoli significativi”. Per molti paesi risulta impossibile comprare un computer[1] o un abbonamento a Internet (Ragusa, 2020). Secondo i dati dell’Ocse, in paesi come Norvegia, Austria e Svizzera il 95% degli studenti ha un computer da utilizzare per attività di studio, mentre in Indonesia questa percentuale scende fino al 34%. Per questo è stato recentemente messo in vendita un computer dal costo di 70 dollari[2]. L’incremento del ricorso ai sistemi digitali per la formazione possono accentuare il digital divide e le sue negative conseguenze, riducendo ancora di più le possibilità di sviluppo personale e professionale per le persone prive di accesso alle tecnologie digitali o senza le adeguate competenze per utilizzarle. In Italia, prosegue l’articolo, la fotografia dell’Istat è impietosa: 6 milioni e 175 mila famiglie italiane non hanno accesso a Internet, per una percentuale del 24,2% rispetto al totale e nel 2019 Internet è stato utilizzato su base regolare dal 74% delle persone tra i 16 e i 74 anni, una cifra importante ma ancora significativamente inferiore all’85% della media europea. Considerevole è la distanza tra Nord e Sud: il 30% delle famiglie che non usano internet si trova a Sud, nei comuni con un massimo di 2 mila abitanti. Secondo l’Istat, una famiglia su tre non possiede un personal computer o un tablet e il 27,8% degli abitanti ha difficoltà a collegarsi perché vive in una famiglia numerosa e quindi con problemi di sovrapposizione durante il collegamento: il 45,4% degli studenti di 6-17 anni (pari a 3 milioni 100mila) ha difficoltà nella didattica a distanza per la carenza di strumenti informatici in famiglia, che risultano assenti o da condividere con il resto della famiglia (ivi).
Come se non bastasse, le carenze non sono soltanto tecnologiche e relative alle infrastrutture, ma anche in considerazione dei livelli di abilità d’uso, sia da parte degli studenti che degli insegnanti: le competenze digitali elevate sono presenti soltanto nel 40% delle famiglie italiane (Ragusa, 2020; Istat, 2020). Ecco che oltre a uno scoglio di tipo metodologico, la DAD ha sofferto anche una situazione problematica relativa all’accesso agli strumenti e all’informazione, condizionata inoltre da una scarsa alfabetizzazione digitale.
Come giustamente ha sostenuto già da molto tempo Antonio Calvani, la didattica in presenza rimane insostituibile e il suo spazio difficilmente sarà ricoperto da una macchina. “Nel momento in cui la didattica si estende sulla rete, cercando di sviluppare autonomia e responsabilizzazione del discente, gli effetti retroattivi si fanno sentire anche sulla didattica in presenza” (Calvani, Rotta, 2000). Limitandosi a una comunicazione a una via, l’utilità della lezione espositiva verrà oltremodo ridotta (ivi), e ciò appare ancora più evidente se la lezione espositiva avviene online. La rete, infatti offre un ambiente migliore e più articolato per la presentazione di materiali “razionalmente strutturati, modificati, integrati in rete” (ivi) e la lezione puramente espositiva ne risulterà ridimensionata. Ma in questo modo la lezione in presenza metterà in luce proprio gli aspetti che la rete non può soddisfare: non solo la dimensione relazionale, ma anche quella di “aiutare i partecipanti ad apprendere come apprendere, trattare con le emozioni dell’apprendimento, sviluppare argomentazioni criticamente fondate, oltre che conoscersi e familiarizzare in tempi rapidi, imparare a stabilire accordi progettuali, effettuare esperienze specifiche di apprendimento situato (in laboratorio, di apprendistato) (ivi).
Se si desidera che il mondo della scuola costruisca contesti didattici e formativi orientati all’apprendimento e alla creatività, occorre individuare strade che favoriscano la crescita intellettuale tenendo presente anche la dimensione sociale e cooperativa dell’apprendimento. Nessuno, infatti, può usare la tecnologia per riprodurre la classe reale così come noi l’abbiamo sempre conosciuta. Il compito della tecnologia, in campo educativo, è proprio questo: cercare percorsi applicativi nuovi e sperimentarli, secondo una nuova visione del mezzo informatico. Apprendere, d’altra parte, non significa ricevere passivamente ciò che di solito s’intende per conoscenza; vuol dire invece scoprire il ruolo attivo che l’allievo può esercitare nella costruzione e nella co-costruzione di significati.
Si può essere d’accordo o meno sulla didattica a distanza, ma le nuove tecnologie hanno la possibilità di promuovere una maggiore qualità dell’apprendimento e della conoscenza, piuttosto che la quantità; se venissero risolti i problemi legati al digital divide, esse potrebbero contribuire a modificare positivamente il tradizionale rapporto tra insegnante e allievo, facendo sì che l’educazione e la formazione, sulla sfondo di una sempre maggiore condivisione della conoscenza e delle competenze, e di una crescente collaborazione costruttiva, oltre che come processi di auto-realizzazione, siano viste anche, e soprattutto, come momenti di sviluppo di valori sociali e cooperativi, dove la crescita individuale, attraverso una migliore comprensione della realtà, si possa fondere con il progresso culturale e sociale della comunità scolastica.
Riferimenti bibliografici
AlmaDiploma, Indagine sulla Didattica a Distanza, 2020, https://www.almalaurea.it/sites/almalaurea.it/files/docs/news/ad_indaginesulladidatticaadistanza.pdf
Bontempelli S., Dall’istruzione per corrispondenza all’e-learning. Le tre generazioni della formazione a distanza, s.d., https://dinamico2.unibg.it/lazzari/0506idu/distanza.pdf
Calvani A., Rotta M., Comunicazione e apprendimento in Internet, Erickson, Trento 1999.
Calvani A., Rotta M., Fare formazione in Internet. Manuale di didattica online, Erickson, Trento 2000.
Da Rold C., Didattica a distanza: come l’hanno vissuta i ragazzi. Il sondaggio Almalaurea, 16 settembre 2020, https://www.infodata.ilsole24ore.com/2020/09/16/didattica-distanza-lhanno-vissuta-ragazzi-sondaggio-almalaurea/?refresh_ce=1
Di Carlo M., Didattica a distanza, in Italiano digitale, XIV, 2020/3 (luglio-settembre), Accademia della Crusca, https://doi.org/10.35948/2532-9006/2020.4367
ISTAT, Rapporto annuale 2020. La situazione del paese, Roma, presentato il 3 luglio 2020.
Kaye A., Apprendimento collaborativo basato sul computer, “TD-Tecnologie Didattiche”, 1994, IV, pp.9-21.
Papert S., I bambini e il computer, Rizzoli, Milano 1994.
Ragusa A., La formazione al tempo del coronavirus: il nodo del divario digitale, “Il Sole 24ore”, 9 luglio 2020, http://scuola24.ilsole24ore.com/art/scuola/2020-07-08/la-formazione-tempo-coronavirus-nodo-divario-digitale-151905.php?uuid=ADmb9Ad&refresh_ce=1
Riel M., I circoli di apprendimento, “TD-Tecnologie Didattiche”, 1993, II, pp.18-29.
Varisco B.M., Paradigmi psicologici e pratiche didattiche con il computer, “TD-Tecnologie Didattiche”, 1995, VII, pp.57-68.
[1] In relazione alla pandemia e al ritorno in auge della DAD è stato notato il ritorno del Personal Computer. Dopo la sua quasi scomparsa nell’ultimo decennio a vantaggio di smartphone e tablet, il personal computer, lanciato sul mercato dalla IBM nell’agosto 1981 ed eletto “personaggio dell’anno” dal settimanale Time nel 1983, è tornato, nel 2020, in cima alle vendite di elettronica, visto che didattica a distanza e smart working non possono essere normalmente svolti da telefono.
[2] Il computer in questione è il Raspberry Pi 400 (microprocessore 1.8 GHz, RAM 4Gb, wifi, porta Ethernet, doppia usb 3.0 e 2.0, microsd 64 Gb)