La relazione essenziale tra il vivente e il mondo si edifica sul corpo senziente-intelligente. Il tempo ritma l’esperienza attraverso scansioni non uniformi e caratterizzate, al contrario, dalla figura del frammento. La soglia contemporanea della digitalizzazione globale ha segnato un altro passo che la filosofia non può in alcun modo eludere: quello dell’intelligenza artificiale.
Nelle pieghe della storia, nella sua artificialità fatta di eventi, cose, singolarità performative, i viventi sono da sempre stati determinati dalla modificazione e trasformazione del circostante. A questo, in sintesi, si dà il nome di tecnica. In particolar modo, il problema stringente per l’attualità concerne il nesso tra pensiero e macchina nonché il quesito se quest’ultima, in termini e modi da indagare, possa attivare quel certo gruppo di processi che usualmente definiamo “pensieri”.
A partire dal famoso articolo di Alan Mathison Turing Meccanismo computazionale e intelligenza (Computer machinery and intelligence, 1950) si staglia l’ipotesi, oggi sempre più concreta, di far eseguire alle macchine concatenamenti di idee di tipo significante; le strutture cognitive, a partire dal test di Turing, sono rimodellate dalla macchina computazionale seguendo il
“gioco dell’imitazione”, una prassi filosofica di mimesi che decifra e assimila, potremmo dire, per calco e ripetizione. La distribuzione e la successiva allocazione dei luoghi operativi del computer digitale fanno capo ad un sistema di archiviazione e a due unità, una di controllo e una di esecuzione; da questa tripartizione base, la quarta rivoluzione industriale (abbreviato in 4IR), dopo la meccanizzazione dell’agricoltura, l’era della locomotiva e quella di Internet, cerca di fondere livelli biologici e tecnico-digitali spostando l’asse dell’imitazione ad un livello più raffinato. Non si tratta più, semplicemente, di una macchina da calcolo (per quanto esso resti in ogni caso l’operazione fondativa della meccanica computazionale), ma di una possibilità nuova di interazione con l’umano e l’ambiente. Afferma Turing:
Il comportamento intelligente consiste probabilmente nell’allontanarsi dal comportamento interamente disciplinato proprio del calcolo, anche se dev’essere un allontanamento minimo che non produce azioni casuali o vuoti cicli ripetitivi[1].
Detto questo, il problema dei caratteri di una filosofia della mente, come si delineano oggi? La facoltà calcolante permane ma nell’era 4IR non è più sufficiente; se la gran parte delle relazioni tra soggetti (quindi tra menti) avviene in un orizzonte virtuale e mediato dagli schermi dei computer, risulta evidente che l’intersezione uomo-macchina digitale, in generale, potenzi per entrambi in particolar modo l’aspetto tecnologico, sia come prassi quotidiana del vivente inserito nell’infosfera (dipendente dalle protesi del network globale), sia quale maggiore prossimità della macchina all’attività neurologica umana da cui assorbire aggiornamenti e rimodulazioni. La nuova ChatGPT (alla lettera “trasformatore pre-istruito generatore di conversazioni”) ne è un esempio laddove l’aspetto dell’automazione, della robotica nel senso ampio, non permane in un’ottica prettamente imitativa ma assume apprendimenti capaci di generare atteggiamenti e vesti significanti. Dal test di Turing alla frontiera del machine learning resta la necessità di un atteggiamento critico, razionale e, perché no, anche appassionato emotivamente nel pensare ad un nuovo rapporto con il mondo delle macchine scevro da facili incantamenti in merito alla spettacolarità di queste novità.
Nel saggio a margine dell’articolo di Turing sopra citato, lo scritto di Luigi Cimmino Test di Turing, intenzionalità e solipsismo propone una feconda riflessione sul ruolo della filosofia dinanzi al pensiero-macchina. Inizialmente, l’autore decodifica il sostrato concettuale del test di Turing come quella peculiare attività funzionalista di ridurre a scambi e operatività fisiche l’attività mentale; è un tema gnoseologicamente rilevante che, inoltre, ha risvolti politici ed etici altrettanto importanti. Qual è la costituzione del vivente chiamato “uomo”? Ci sembra deduzione profondamente accoglibile e fatta di piena veridicità l’affermazione per cui l’uomo sia un’entità totalmente ex post, “a posteriori” e pienamente artificiale. Si dirà che il corredo genetico e la funzionalità biologica siano naturali ma, più precisamente, non pertengono ad una unicità solamente umana anzi concernono i modi di assemblaggio che produce la Natura come in sé nei suoi divenire (la cosiddetta Vita-Materia); posto tale assunto di base, subentra l’uomo con la sua mente, con la capacità di costruire e trasformare l’ambiente circostante dando in tal modo luogo alla storia e alla civiltà (le quali non stanno ad indicare una superiorità sul mondo vegetale o animale ma, spinozianamente, soltanto un modus tra i tanti senza privilegio gerarchico). L’uomo della pietra scheggiata è già tecnico. La tecnica è la mano come protesi sul mondo; con essa siamo già in un campo artificiale, in un territorio prodotto, epifenomenico, ulteriore rispetto alla natura ma da essa ospitato e primariamente generato.
Da questo verum il concetto di “macchina” non può sottrarsi dal momento che essa è determinata dalla manipolazione tecnica; il fatto nuovo, affascinante per generazioni intere di romanzi, racconti e pellicole di fantascienza (da Asimov a Dick, da Ballard a Bradbury, da Delany a Zelazny, da Kubrick a Lucas), risiede nel porre complessità mentali e neurali umane all’interno di macchine computazionali. In più, dopo l’avvento di Internet, questo mero ragionamento di transfert è solo il primo passo poiché, come dimostrano i prodotti di Open AI (creatori di ChatGPT), è dirimente passare ad una seconda fase dove i messaggi sono interconnessi in una sorta di facoltà socializzante computazionale. Da qui Cimmino ci mostra i due caratteri dell’intenzionalità e del solipsismo come problemi aperti tra filosofia e intelligenza artificiale.
La macchina digitale che emula è retta da processi fisico-causali. Turing ne mette alla prova i crismi attraverso varie obiezioni ma, per Cimmino, quella centrale resta l’argomentazione inerente la coscienza. Scrive l’autore in riferimento a Turing e all’ipotesi “coscienza”: «[…] ammessa una coscienza che la macchina non manifesta nel suo comportamento, per il resto in tutti i sensi intelligente, l’argomento gli sembra sfociare inevitabilmente nella situazione in cui “io solo”, in prima persona, ho accesso diretto agli stati di coscienza»[2]; il solum ipsum del pensiero ricade qui, sulla incomunicabilità reale degli stati mentali, su quel muro che implicherebbe un isolamento tra cervelli. Tuttavia, seguendo Cimmino, il linguaggio con i suoi divenire fatti di segni e significati non può che realizzare una relazione tra singolarità, tra menti, mostrando come la reductio ad unum del solipsismo sia logicamente non veridica; basti pensare ad un dialogo tra un ascoltante e un dicente laddove, nello svolgersi del dialogo, l’ascoltante segue, comprende, in qualche modo, senza resti:
Negli attimi in successione in cui sento e capisco quanto dice non c’è dunque mai né un pensiero isolabile dal discorso che possa rappresentarmi come contenuto nascosto, né sensazioni (suoni, segni) che possano a loro volta essere isolate dal significato che esprimono. Ma non c’è nulla che sta dietro alle sue parole perché non c’è nulla da poter isolare e poter associare. Quello che comprendo è sempre il risultato di un pensiero in divenire, come le note che sento sono il risultato della canzone che sto ascoltando3.
In un’ottica di posteriorità, la singolarità “uomo” si conferisce la determinazione della costruibilità del circostante; intus-legere, l’intelligenza, segna per il vivente la capacità di trasformare attraverso relazioni in fieri il reale, “leggendo dentro” l’alterità sempre in senso frammentario, mai totalizzante. Vi è un campo di immanenza in sé indipendentemente dai soggetti conoscenti e dall’oggettività conosciuta; l’ipotesi di un Io è semplicemente un fatto posteriore non fondativo. Il solipsismo in quanto tale, pur preservando la sua attribuzione ad alcune specifiche situazioni come ad esempio l’inconscio con certi suoi episodi, contrasta con il secondo punto del problema, ovvero l’intenzionalità connessa alla dimensione della temporalità.
I paradossi creati dal “teatro interno” (il solipsismo) aggrovigliano in ogni caso la linearità dell’intenzionalità che, secondo Cimmino, rappresenta in un certo senso il movimento della mente stessa; ancora l’autore afferma che sia utile «[…] considerare l’intenzionalità, ogni sua articolazione, come oggettivazione di un contenuto. Il senso in cui gli stati intenzionali (propriamente solo le credenze) si “riferiscono a” o “vertono su”, è perché sono intrinsecamente oggettivazione di contenuti pensati»[3]. In buona sostanza, quanto chiarito in citazione definisce un vero e proprio essere nel mondo.
La macchina e il pensiero, pertanto, riecheggiano l’ancestrale questione della naturalità e dell’artificialità, dell’uomo e del robot; se nel pensiero antico la categoria di “forgia” assumeva caratteri dirimenti nel prevalere agonico (è un dio che plasma le armi, Efesto, ma è sempre un dio che, seguendo Platone, plasma il mondo, ovvero il demiurgo), l’uomo-macchina di La Mettrie e il meccanicismo di Hobbes avevano intuito questa immediata distanza dell’uomo dalla natura fino all’espansione spasmodica della presente era. L’essere finito, ἄνθρωπος, è un prodotto della VitaMateria e sin dalla nascita (diremmo anzi che qualche sollecitazione vi sia già negli ultimi mesi prenatali) è una singolarità in relazione di modificazione attiva/passiva con il mondo tout court. La pietra scheggiata brandita nel Neolitico è un gesto rivoluzionario così come liberare la bocca utilizzando le mani (si rammenti Giordano Bruno); la tecnica è l’uomo, da sempre, anche nel senso confermato dalla cibernetica la quale, a dispetto dell’apparente distanza rispetto a problematiche ataviche, mostra di saper cogliere i significati peculiari del vivente correlato ai suoi simili e alle macchine: dice Norbert Wiener che «[…] la società può essere compresa soltanto attraverso lo studio dei messaggi e dei mezzi di comunicazione relativi ad essi; e che nello sviluppo futuro di questi messaggi e mezzi di comunicazione, i messaggi fra l’uomo e le macchine, fra le macchine e l’uomo, e fra macchine e macchine sono destinati ad avere una parte sempre più importante»[4]. Il vivente non è forse, etimo della parola “cibernetica”, un “timoniere che cerca di pilotare” (κυβερνητική)? In questo procelloso mare la tecnica è risorsa perenne ma può tramutarsi in gabbia binaria, una sorta di riduzione della complessità di cui è intessuto il reale.
La caduta regressiva nel solipsistico “teatro interno” pertiene in egual misura anche allo scivolamento della tecnica a mera logica di dominio laddove non si parla più di tecnica ma di tecnologia; la modificazione trasformativa del reale attraverso la tecnica coincide da sempre, genealogicamente, con la produzione del vivente laddove, per inverso, tale transizione si impone come mezzo di dominio e di induzione generale sfocia in tecnocrazia[5]. La scansione falsificata inganna gli strumenti stessi della percezione; la dimensionalità in un tempo costruito virtualmente scalza, o prova a farlo, quel peculiare virtuale che è già un esistere più reale del possibile (è l’indagine che Gilles Deleuze attraversa nella Recherche proustiana).
Non a caso, l’indagine di Cimmino si dipana lungo i sentieri ontologici della temporalità attraversando le varie argomentazioni in merito; tra queste quella fenomenologica sottolineata dal primato della nozione di intenzionalità:
Proprio perché uno stato intenzionale consiste nel riferimento di un contenuto mentale all’oggettività, nell’affermazione di “condizioni di soddisfazione” che lo rendono vero (credenze) o lo realizzano (intenzioni), esso è connesso a ulteriori stati intenzionali che attualmente non ho, ma che devo potenzialmente possedere affinché lo stato in atto possieda un contenuto determinato. Il problema è allora quello di capire, rinunciando alla “forma” dell’anticipazione, significato e natura da attribuire al “potenzialmente”[6].
Il nesso oggettività-intenzionalità opera su piani mobili laddove lo specifico contenuto mentale esprime una direzionalità diretta con uno stato oggettivo ma, secondo Cimmino, esso ha altre connessioni con molteplici dimensioni intenzionali che ancora non sono manifeste dando luogo, potremmo dire, ad un rapporto inequivocabile con il “possibile” o, meglio, con il “virtuale”. La legatura, pertanto, è ravvisata dall’autore proprio nella categoria di esperienza poiché: «È l’esperienza che mostra quali nessi causali sussistono, mentre in ambito intenzionale il contenuto di una credenza o intenzione apre l’orizzonte di quali altri contenuti devono correttamente seguire»[7].
L’importanza della serie percettiva determina la centralità della processualità grazie alla quale si impone un carattere quasi “cartesiano” di distinzione e di evidenza:
Se ogni singolo e immediato atto percettivo non possedesse il significato che ha come momento di un intero processo, le sensazioni non potrebbero essere considerate sensazioni di un oggetto distinto da esse. Tutto questo vale per la visione percettiva del computer ma il processo visivo si allarga e fonde con altre serie se il computer lo tocco, e queste serie si uniscono e continuano in serie cognitive e agentive se penso alle funzioni del computer e a come azionarlo. Le credenze percettive si uniscono quindi ad azioni che compio nei confronti dell’oggetto[8].
Nel riferirsi al dibattito tra De Martino e la filosofia, Cimmino ritorna sulle questioni focali che qui abbiamo, di passaggio, accennato: il rapporto della mente e dei suoi stati con l’oggettività, il paradosso dischiuso dalle macchine digitali, la funzione essenziale dell’esperienza e del tempo. Il rapporto tra oggettività e posteriorità, a nostro avviso, è quella transizione ermeneutica che ci permette di comprendere come l’assenza di un qualsivoglia storicismo o teleologismo non ricada, tout court, in un fatalismo arrendevole ma, al contrario, spinga alla ricerca, categoria filosofica per eccellenza. Cimmino legge in De Martino, soprattutto nell’ultima fase della sua opera caratterizzata dagli scritti raccolti in La fine del mondo (2019)[9], un ponte con il problema dell’intelligenza artificiale dal momento che si definisce una nuova sfida e, al contempo, una problematicità nella modificazione della ricezione/percezione del reale e della sua relativa intelligibilità.
Un processo causale, una regolarità osservata, è quello che è, né vera né falsa, né giustificata, né ingiustificata. Per noi contemporanei, come per De Martino, lo sforzo della ragione deve anche in tal caso essere quello di permettere a sé stessa e ai propri vari prodotti di comporsi in un tutto significante, un tutto in cui si fondano razionalmente la verità di una teoria fisica e quella di una concezione filosofica o di una interpretazione estetica. Ogni periodo storico, ogni prodotto dell’ethos del trascendimento, va incontro alla possibilità del suo crollo, a incoerenze e contraddizioni in cui il passare dei significati che abbracciano una presenza si tramuta nel mero passaggio di una esistenza[10].
Fare filosofia nelle maglie altamente complessificate del contemporaneo risiede forse in una sorta di vivace e vitale ostinazione che lega il pensiero a scovare, perlustrare, indagare e criticare la realtà; la trascendenza orizzontale (tipica dell’esistenzialismo di Sartre ripreso da De Martino) indica quel peculiare scarto (il famoso “nulla che secerne il per sé” de L’Essere e il Nulla) cifra del vivente umano.
Il binomio tempo-esperienza, centrale nella riflessione e nella ricerca di Luigi Cimmino, si fa cardine della gnoseologia come problematizzazione dei fondamenti filosofici della conoscenza, soprattutto alla luce della transizione digitale verso le macchine computazionali. In fin dei conti, il progetto del machine learning e la cosiddetta “realtà aumentata” hanno due possibili sbocchi concettuali di tipo teorico e, al contempo, pratico: da un lato, quello della tecnica, di ibridazione con il vivente, di costruzione e costruibilità artificiale di nuove traiettorie empiriche, nuove intenzionalità, mentre dall’altro, quello della tecnologia, una sottomissione e una delega della presa percettivocognitiva sul reale. La realtà è una e complessificata, il suo aumento ci pare uno stolido nascondiglio di asocialità, apoliticità, amoralità.
La questione intenzionalità-oggettività si trova, nel mondo odierno, lungo il crinale ermeneutico della ridefinizione; le prospettive gnoseologiche dell’intelligenza artificiale si sostanziano di ambivalenza poiché se da una parte dischiudono un potenziale interattivo fecondo, dall’altro sclerotizzano il rapporto cognitivo ad una mera logica della binarietà. Il lavoro di Turing ha aperto all’idea di trasferibilità logica da quanto comunemente usiamo definire “intelligenza”, ovvero da una presunta naturalità all’artificialità. L’evoluzione dell’era digitale, la velocizzazione globale decretata dalla quarta rivoluzione industriale, ha l’obiettivo di pervenire ad un rinnovato rapporto tra competitività e complessità; la teleologia della tecnica si tramuta qui in volontà di dominio per mezzo della tecnologizzazione della stessa.
Nella ricerca di Luigi Cimmino l’ancestrale questione del modus ligandi tra mente e mondo viene indagata a fondo e in tale sottosuolo ad emergere è quella continuità che l’esperienza connette al mondo circostante, in una sorta di gnoseologia della processualità cognitiva.
Il punto di fondo è qui: che i diversi momenti cognitivi in successione devono il loro significato ai momenti precedenti e a quelli ai quali introducono. L’ambiente (Umgebung) che circonda ciascuno stato intenzionale è ciò che contribuisce al suo significato. Non è qualcosa di cui io faccia “esperienza” che mi permette ora di andare avanti. Si può eventualmente dire che l’esperienza che sto facendo mostra direttamente, senza confronti con altro, che sto andando avanti[11].
L’esperienza è inequivocabilmente il datum che segna il divenire della conoscenza indipendentemente dall’oggetto che in quel momento si esperisce. Come ricorda Jean Piaget: «[…] la conoscenza non potrebbe essere concepita come predeterminata né nelle strutture interne del soggetto, poiché esse risultano da una costruzione effettiva e continua, né nei caratteri preesistenti dell’oggetto poiché essi non sono conosciuti che grazie alla mediazione necessaria di queste strutture e queste stesse le arricchiscono inquadrandoli»[12]. Si è sempre nell’esperienza dal momento che si è viventi. I gradienti di essa sono valutazioni ex post che meritano ulteriori analisi; l’intelligenza è in costruzione, la filosofia della mente ha dinanzi a sé il doppio taglio delle possibilità offerte dalle macchine computazionali come nuovi “strumenti del comunicare”[13]. Da un lato la ricognizione filosofica e scientifica inerente le potenzialità logiche del digitale, dall’altro il rischio di riduzionismo dello stesso processo, di per sé già da sempre artificiale ma di un’artificialità differente, della conoscenza di una singolarità vivente che si muove intenzionalmente. La costruibilità, sulla scorta della lezione di Cimmino, ci sembra un itinerario ermeneutico fertile e fecondo.
Alberto Simonetti
[1] A.M. Turing, Meccanismo computazionale e intelligenza, tr. it., Città Nuova, Roma 2018, p. 42.
[2] L. Cimmino, Tempo ed esperienza, Aguaplano, Perugia 2019, p. 515. 3 Ivi, p. 518.
[3] L. Cimmino, Test di Turing, intenzionalità e solipsismo in A.M. Turing, Meccanismo computazionale e intelligenza, cit., p. 133.
[4] N. Wiener, Introduzione alla cibernetica, tr. it. di D. Persiani, Bollati Boringhieri, Torino 2021, pp. 23-24. Cfr. anche Id., La cibernetica, a cura di S. Leonzi e G. Ciofalo, Armando Editore, Roma 2017.
[5] Interessante il recente studio di Byung-Chul Han, Infocrazia, foriero di un’analisi chiarificante in merito alle logiche anestetizzanti e disinnescanti il pensiero critico che sottendono la mediatizzazione digitale e il mondo “social”. Cfr. Byung Chul-Han, Infocrazia, tr. it. di F. Buongiorno, Einaudi, Torino 2023.
[6] L. Cimmino, Tempo ed esperienza, cit., p. 455.
[7] Ivi, p. 456.
[8] L. Cimmino, Considerazioni su Ernesto De Martino in Nostos. Laboratorio di ricerca storica e antropologica, numero 5, Dicembre 2020, p. 5.
[9] Cfr. E. De Martino, La fine del mondo, Einaudi, Torino 2019.
[10] L. Cimmino, Considerazioni su Ernesto De Martino, cit., p. 8.
[11] L. Cimmino, Tempo ed esperienza, cit., p. 472.
[12] J. Piaget, L’epistemologia genetica, tr. it. di A. Corda, Laterza, Bari 1971, p. 5.
[13] Cfr. M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, tr. it. di E. Capriolo, Il Saggiatore, Milano 1967.