Dall’aprile scorso c’è un nuovo Museo archeologico in città. La notizia non è di quelle che bucano la nebbia di indifferenza, ma merita qualche considerazione; l’offerta culturale dell’Umbria costituendo, se non altro, il principale argomento di attrazione turistica.
Il recente allestimento marca una definitiva discontinuità con il precedente assetto, non più rispondente alle attuali esigenze ed ai più aggiornati indirizzi museografici. Contenuti, selezione dei materiali e l’itinerario profondamente rinnovato, tendono ad offrire al visitatore un quadro, il più chiaro possibile, della millenaria storia dell’Umbria. Le varie sezioni in cui si articola il percorso, definite da codici colore, consentono un costante orientamento temporale e la possibilità di approfondire taluni aspetti, consultando strumenti interattivi e più tradizionali supporti, (focus) collocati lungo le aree espositive. Il diffuso impianto esplicativo si avvale di pannelli di grande formato, dalle ambientazioni evocative, affidati alle tavole dello studio Inklink e di Angelo Barili, meticoloso disegnatore scientifico.
Il nuovo percorso muove dalla sezione preistorica, che si apre con una serie di informazioni in materia di paleoantropologia, volte a delineare il complesso percorso evolutivo che ha portato alla comparsa dell’ homo sapiens. Ambientazioni e disegni s’incaricano di supportare l’esposizione per agevolarne la comprensione. Analogamente sono disponibili strumenti multimediali con esempi di archeologia sperimentale (accensione del fuoco, scheggiatura della selce). Interrogando un touch screen è inoltre possibile ascoltare una doppia intervista sull’evoluzione umana che mette a confronto il pensiero di un evoluzionista di ispirazione cristiana, il paleoantropologo Don Lorenzo Facchini, con la posizione più laica di Telmo Pievani, epistemologo della scienza.
Nell’ampio salone al piano superiore, l’unico spazio allestito ex novo con vetrine illuminate a led, sono proposti materiali riferibili ai due popoli che abitarono il territorio, in larga parte identificabile con gli attuali confini regionali.
Le due etnie occupavano rispettivamente la sponda sinistra (Umbri) e quella destra (Etruschi) del fiume Tevere, in questo spazio espositivo idealmente rappresentato dall’ampia navata centrale.
Frontiera naturale e risorsa, il fiume fissò per lungo tempo la linea di demarcazione fra i due popoli, successivamente assimilati alla cultura romana. Alla via d’acqua, che attraversa gran parte dell’Umbria in senso longitudinale, si deve anche un fondamentale ruolo di mediazione culturale con le popolazioni ad essa collegate. Lungo il suo percorso si sviluppò un’intensa economia di scambi commerciali che facilitarono, intorno al VI sec. a.C., l’affermazione dei centri dominanti di Perugia e Orvieto.
Ipotizzando pertanto una schematica ripartizione geografica sono esposti, a sinistra del corridoio, accedendo dalla scalinata, reperti provenienti dal versante umbro; l’ala destra propone invece testimonianze da quello etrusco. I materiali, selezionati in base a criteri di rappresentatività, tendono a delineare i tratti dominanti di due culture, evidenziando anche le intense dinamiche di scambio e contatto fra popoli confinanti.
Dopo la visita alla sala Umbri ed Etruschi è indicato il percorso che immette nel settore delle necropoli perugine. Le più antiche sono attestate già dal IX-VIII sec. a.C. In tale ambito si colloca una sepoltura che ha restituito una spada ad antenne, rinvenuta a Fontivegge, ai piedi del colle sul quale sorgerà la città etrusca. Tale oggetto denota la presenza di una classe di guerrieri che usava armi di un tipo diffuso nell’Italia centro-italica.
La qualità dei materiali fa pensare ad una società già organizzata in classi sociali distinte, che in età tardo-orientalizzante si afferma come aristocrazia.
Una sezione a parte è dedicata alla città di Perugia con una selezione di reperti che abbracciano un ampio arco temporale. Dai reperti di età villanoviana che indicano un sistema abitativo stabile già nel IX sec. a.C. si arriva alla città etrusca, poi a quella romana. Materiali e disegni concorrono a definire l’evoluzione della città fino alla tarda romanità. Si tratta di reperti di notevole rilevanza scientifica ed in particolare è proposta una riscostruzione dell’abitato antico, quale è andato delineandosi con i recenti scavi condotti sotto la Cattedrale di San Lorenzo e in Piazza Cavallotti. Lo spazio dedicato alla sezione romana comprende una serie di materiali, pannelli e fotografie di grande formato che offrono una panoramica della regione assoggettata al potere di Roma. Sono trattati gli aspetti urbanistici ed economici, attraverso l’analisi degli insediamenti, delle attività produttive, degli scambi commerciali e della viabilità, strumento fondamentale per la penetrazione romana in territorio umbro, con approfondimenti sulle grandi vie consolari e sulla navigabilità dei corsi d’acqua. L’ultima parte è invece dedicata ai municipi, riletti nella loro evoluzione dall’origine alla fase tardo antica, dove trovano collocazione materiali e pannelli che illustrano il divenire storico dei centri presenti nella regione.
Uno sforzo considerevole, insomma, sorretto dall’impegno del personale interno, che ha saputo supplire alla carenza di risorse. Ma anche una certa dose di coraggio si è resa necessaria per sconvolgere l’impianto di Umberto Calzoni, storico direttore, che nella sede di San Domenico riuscì a riunire, nel 1948, le collezioni dei Musei Civici. Un impegno iniziato nel 1925, costellato di difficoltà e fatiche inimmaginabili. Egli, grazie anche alle fortunate ricerche condotte a Cetona, arricchì il museo di straordinarie testimonianze dell’età del Bronzo.
Prima di lui toccò a Giuseppe Bellucci, chimico, antropologo e tanto altro ancora, come era del resto in uso tra i positivisti. Dopo la morte di Mariano Guardabassi fu incaricato di riordinare le scompigliate collezioni museali. Nel giro di pochi anni realizzò l’obiettivo e nel 1910 pubblicò la Guida alle collezioni del museo etrusco-romano di Perugia.
La rilevante collezione privata costituì inoltre, dopo la sua morte, il primo nucleo della sezione preistorica per la quale il museo sarebbe divenuto famoso in tutta Europa.
A questo consistente nucleo appartiene anche la raccolta di amuleti, ora allestita in uno specifico settore, la più ricca e organica collezione mondiale di oggetti terapeutici e strumenti magico-religiosi, prodotti e utilizzati all’interno della fascia folclorica italiana.
Al nuovo assetto espositivo del Museo è affiancata la guida, consistente prodotto editoriale che esce ad un secolo esatto dopo quella di Bellucci.
Il 30 dicembre del 1957 il prof. Alessandro Seppilli, Sindaco di Perugia, firma un atto notarile di cessione gratuita a beneficio del Ministero della Pubblica Istruzione. Il documento, praticamente ignoto a tutti, assegna allo Stato la proprietà del complesso architettonico di San Domenico e di tutte le collezioni storico-archeologiche appartenute ai musei comunali. È l’atto di nascita del Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria.
La donazione è tuttavia sottoposta ad una serie di condizioni, prima fra tutte, che l’immobile sia sempre destinato a sede museale. Non solo. All’articolo quattro si intima che «tutti i materiali e le collezioni che costituiscono i musei comunali e quelli che perverranno in seguito, non dovranno per alcun motivo essere rimossi dal Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria salvo temporanei e brevi trasferimenti per ragioni di eccezionale urgenza e di interesse artistico e scientifico, come, ad esempio, per mostre di carattere Nazionale ed Internazionale o per restauri di impossibile attuazione a Perugia, dandone, comunque, preventivo avviso al Comune di Perugia[1]».
La perentoria condizione, che impegna lo Stato, anche in futuro, risente certamente dell’impronta centrista di Calzoni, ma appare anche sorretta dalla sua genuina passione. Va infatti ricordato che con la cessione all’amministrazione statale, per la quale il tenace direttore aveva incessantemente lavorato, in nome di un valore ritenuto primario, avrebbe anche segnato la fine della propria carriera in quanto “dipendente comunale”.
La breve premessa storica soccorre nel delineare un atteggiamento delle amministrazioni locali, del comune in particolare, allora piuttosto attento alla tutela dell’eredità culturale. Fu infatti una cordata mista, composta da Provincia e Comune di Perugia, oltre all’amministrazione statale, ad acquistare la consistente collezione Bellucci, sottraendola al rapace mercato antiquario.
Da qualche tempo le cose sono cambiate e il bene culturale è concepito solo in funzione della sua capacità di creare indotti economici. Un aspetto, si badi bene, non secondario se non fosse che alla tutela, ritenuta un inutile ostacolo, è ormai preferito il fragore delle mostre e dei numeri. Non è tanto importante che un visitatore sappia guardare, e «diventare un cittadino migliore anche grazie al museo […]. Si accede alla cultura quando si impara a leggere, a vedere e a ragionare, non quando si paga un biglietto. I musei sono sempre nati e cresciuti in funzione dei cittadini, non dei turisti[2]».
Posto che anche i turisti possono essere annoverati tra i cittadini è assolutamente vero che gli standard di valutazione dei musei sono oggi di fatto riferibili unicamente al loro potere di attrazione.
È proprio in base a questo assunto che dieci anni fa venne deciso il trasferimento ad Amelia della statua di Germanico, già esposta al Museo archeologico di Perugia, in quanto di proprietà statale. Un manufatto bronzeo di oltre due metri come ce ne sono pochi al mondo. È noto infatti che l’esigenza di materia prima e un certo disprezzo per la paganità produsse innumerevoli fusioni in epoca medievale. Molte statue divennero dunque campane, i cui rintocchi suonarono spesso in etrusco e romano.
La complessa vicenda della statua nasce, come noto, dalle tenaci rivendicazioni identitarie della comunità di Amelia, dove fu rinvenuta nel 1963, ma pesò di più la convinzione di un sicuro indotto economico. Il candidato sindaco ci impostò addirittura la campagna elettorale. Memorabile a tale proposito la protesta della delegazione amerina, dallo stesso condotta fin dentro il museo di Perugia, con tanto di slogan e cartelli inneggianti a “Germanico libero”.
Pesanti pressioni politiche e un sostanziale disinteresse ostentato da Comune e Provincia di Perugia contribuirono così a privare un museo nazionale di un capolavoro assoluto. E qui torniamo al citato articolo quattro dello sconosciuto atto notarile. Avrebbero potuto le amministrazioni locali opporsi alla cosa? O magari produrre una qualche reazione? È giusto che il più importante museo archeologico nazionale della regione debba esibire solo la foto di un capolavoro, di cui ha sostenuto le spese di restauro e ne è anche legittimo proprietario?
Allo stato attuale la statua del generale romano Nerone Claudio Druso, detto Germanico, è concessa in prestito, rinnovabile dalla Soprintendenza, ma anche secondo i vigenti criteri, che sappiamo basati sul numero dei visitatori, quel manufatto non dovrebbe stare lì. Le opere d’arte appartengono all’umanità intera e il loro godimento estetico va agevolato quanto più possibile. La questione non attiene dunque alle aspirazioni della comunità amerina, quanto all’interesse di una più vasta collettività. La rilevanza storico-artistica della statua meriterebbe infatti ben altra visibilità rispetto all’attuale collocazione. Non Perugia, per assurdo, e tanto meno Amelia appaiono pertanto adeguate. Ma qualora il Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria, con sede a Perugia, avesse il compito istituzionale di testimoniare gli aspetti principali dell’archeologia del territorio, non è comprensibile, in nome di un artificioso federalismo culturale, il distacco di un monumento di tale rilevanza dal principale polo archeologico della regione. Il dibattito può cominciare.
[1] Atto n. 2056/5702 dello studio notarile Tei di Perugia. Registrazione: 08/02/1958.
[2] F. Cervini, La tutela è morta e di tutela si può anche morire, in “Micomega” 6/10.
Marco Saioni. Funzionario della Soprintendenza per i Beni archeologici dell’Umbria e giornalista pubblicista. Collabora stabilmente con la redazione umbra del Messaggero. Ha recentemente curato la guida del Museo archeologico, Invito al Museo (Effe F. Fabbri, Perugia 2009) ed è autore dei racconti confluiti in Voci dal Museo. L’archeologia dell’Umbria tra storia e fantasia (Effe F. Fabbri, Perugia 2010).