Prima di inoltrarci sull’argomento è necessario premettere che l’attuale regione Umbria occupa il territorio di ben tre regioni dell’epoca augustea: l’Etruria, alla destra del Tevere, l’Umbria, alla sinistra del Tevere, la Sabina settentrionale, alla sinistra del Nera. A sua volta l’antica popolazione degli Umbri era distribuita tra l’Età del Ferro e l’impero romano anche più ad oriente e a nord est rispetto all’Umbria attuale.
L’attestazione dell’etnico è presente in iscrizioni greche provenienti prevalentemente dall’Etruria (Fig.1), mentre ad un’iscrizione sud picena si deve la menzione del territorio di appartenenza degli Umbri. Secondo le fonti antiche sarebbe esistita una grande Umbria protostorica estesa ben al di là dei confini di quella che in epoca augustea diventerà la regio VI (Umbria) (Figg. 2,3,4). Ad Erodoto (Her. IV 49, 2) si attribuisce una prima menzione sulla vasta estensione del territorio umbro già in epoca assai remota. Lo stesso Erodoto (Her. I 94, 6) e Dionigi di Alicarnasso (Dion. Hal. I 20, 4) riferiscono all’Etruria una effettiva estensione in territorio umbro, almeno per Perugia e Cortona, considerate città con origini umbre. Come ci ricorda Plinio (N.H. III 112) furono sempre gli Etruschi a conquistare ben trecento oppida umbri, riferendosi con ogni probabilità a quelli poco distanti dal Tevere (Stopponi 2008), citato come linea di demarcazione tra i due popoli.
Secondo Livio (Liv. V 35, 2) e Stefano di Bisanzio (Steph. Byz. 492 M) l’estensione del territorio degli Umbri corrisponde, almeno fino ad una certa epoca, con l’Italia centrale e settentrionale, fin quasi all’arco alpino, ai limiti del fiume Po, mentre verso meridione gli Umbri occupavano, secondo fonti soprattutto greche (Ps. Scyl. Per. 16f), il tratto litoraneo adriatico compreso tra Ancona e le terre più a sud.
Ancora Plinio (Plin. N.H. III 112) ci ricorda che quella degli Umbri era la popolazione più antica dell’Italia e il termine Ombrii da parte dei Greci li ricorderebb ecome sopravvissuti alle piogge dopo che la terra era stata invasa dalle acque.
Ad una chiara contrapposizione tra Etruschi ed Umbri, popoli confinanti divisi, come si è detto, solamente dal fiume Tevere, fa riferimento Strabone, che conferma la presenza di questi ultimi anche a Rimini e a Ravenna, centri inclusi più tardi nell’VIII regio della ripartizione augustea.
Antagonismi con popoli come gli Etruschi o gli Iapigi, gli (antichi) Apuli, sono anche ricordati nel riferimento, presente nelle tavole di Gubbio, al loro allontanamento dalla comunità iguvina prima del rito della lustrazione dell’esercito.
Certamente non hanno giovato alla distinzione tra le due etnie, Umbri ed Etruschi, i contrasti e lo stato di conflitto e le comuni esigenze di espansione colonizzatrice tra i due popoli nel periodo tra il Bronzo finale e la prima età del Ferro.
La complessa geomorfologia dell’ambito territoriale umbro ha fortemente caratterizzato lo sviluppo delle sue vicende antropiche. Lungo il versante orientale la catena appenninica è separata dall’Adriatico (Fig. 4) da una serie di basse colline longitudinali parallele alternate a vallate dove scorrono fiumi e torrenti, alle cui foci sono stati localizzati una serie di punti di approdo spesso sostituiti in epoche successive da veri e propri porti protetti. È il caso di Rimini, Pesaro, Ancona.
Sul fianco occidentale degli Appennini la situazione è del tutto differente: grandi valli alluvionali si estendono ai lati di fiumi di grande e piccola portata come il Tevere e il Chiascio, il Clitunno, il Tessino, il Naia, il Nera, formando la valle umbra, la tiberina, la spoletina, la vallata di Terni, quella di Gubbio e di Gualdo Tadino, intervallate tra di loro dai massicci del Subasio, dei Monti Martani e dalla catena appenninica. Si tratta di un territorio vasto, vario e movimentato, ricco di acqua, di boschi e foreste, con possibilità di sviluppo di insediamenti e di sfruttamento del suolo, di differenti attività produttive in agricoltura e nell’allevamento del bestiame.
In particolare la presenza dell’ampia valle fluviale del Tevere ha rappresentato già dalla preistoria una delle principali vie di collegamento tra Tirreno e Adriatico. La frequentazione del territorio è attestata per tutto il Paleolitico e Mesolitico, e si fa più varia e complessa durante il Neolitico, durante il quale il suo utilizzo appare diversificato e in dipendenza delle situazioni ambientali e climatiche. L’antica età del Bronzo è testimoniata da un’intensa frequentazione e da un considerevole dinamismo culturale. Testimonianze della facies appenninica e subappenninica (media e recente età del Bronzo) sono documentate in tutto il territorio degli Umbri, con sistemi insediativi fondamentalmente stagionali. Il bronzo finale, contraddistinto dalla facies protovillanoviana porta elementi di novità, tra i quali spicca la diffusione del rito funebre della cremazione in un territorio a tradizione inumatoria.
L’inizio dell’Età del Ferro coincide con la stabilizzazione e l’organizzazione dei vari gruppi etnico linguistici in quelle sedi e territori che diventeranno poi storici, identificandosi con la fascia appenninica e, in contemporanea, con le alture e i poggi che circondano le vallate. La povertà e la poca conoscenza dei dati archeologici emersi dagli insediamenti vengono in parte compensati da quelli che emergono dalle necropoli e dai santuari.
Per la prima fase dell’età del Ferro sono chiarificatori i casi di Terni, di Colfiorito, di Spoleto, di Spello, di Gubbio, di Gualdo Tadino, di Todi, di Amelia, di Città di Castello.
A Colfiorito (Bonomi 2010, Bonomi 2014), punto di percorso obbligato da occidente verso oriente lungo la dorsale appenninica, gli insediamenti stabili con resti di capanne iniziano già nel IX secolo a.C. (Fig. 5) proseguono fino al VII sec. a.C., accompagnati dalla presenza di necropoli che perdurano a lungo nel tempo. Si tratta di tipologie di villaggi prevalentemente perilacustri, dove accanto alle attività agricole e all’allevamento veniva praticata una consistente attività venatoria.
Periodo orientalizzante
Tra il VII e il VI secolo lo sviluppo degli Umbri si è voluto paragonare e uniformare al modello etrusco con una distinzione del gruppo in classi sociali differenziate, la formazione di un ceto aristocratico, fino alla realizzazione del ruolo di veri e propri prìncipi, esattamente come accadde ad altre popolazioni italiche lungo la catena appenninica. Questa situazione si riscontra a Terni, Colfiorito, Spoleto Gubbio (Fig. 3) e, lungo il versante umbro dell’Adriatico, a Matelica, Fabriano, Pitino (Fig.4). Le peculiarità di tale ruolo gentilizio si manifestano in particolar modo nelle necropoli dove le tombe emergentisi distinguono per la monumentalità e per la ricchezza dei corredi in cui, a segnalare il prestigio economico e sociale, accanto ai materiali di produzione locale si affiancano materiali di produzione etrusca, greca, centroeuropea, adriatica.
Le due confinanti metropoli etrusche di Orvieto (Volsinii) e Perugia confermano la presenza di nuclei umbri all’interno di entrambe le città, a dimostrazione di una tranquilla convivenza tra due etnie, certamente consolidata da scambi matrimoniali. La presenza di armi da battaglia nelle tombe di Matelica, Fabriano, Spoleto, Colfioritoe spesso del carro a due ruote (Colfiorito, Gubbio, Pitino), qualifica come guerriera questa aristocrazia.
In questo periodo poli di aggregazione delle singole comunità, dislocate in insediamenti lungo importanti vie di transito e di commercio, sono costituiti dai santuari, semplici luoghi di culto all’aperto, spesso caratterizzati dalla presenza di ex voto di bronzo con la rappresentazione di guerrieri in armi, di offerenti sia maschili che femminili, o di animali e di altre offerte votive, fortemente schematizzati (Figg. 6,7), che solo in alcuni casi raggiungono il livello di una scultura vera e propria.
Lo straordinario recupero di cospicui corredi della necropoli di Piazza d’Armi di Spoleto, di cui sono state scavate una cinquantina di tombe a inumazione mostra la realtà di una élite con nuclei familiari a carattere principesco ea trasmissione ereditaria del potere tra la fine dell’VIII e la metà del VI sec.a.C., e configura una vasta rete d’influenze e di rapporti commerciali e culturali su questa zona dell’Umbria meridionale (Manconi 2014; Costamagna-Bruni-Giorgi 2014; Weidig 2015).
Al vertice di questa compagine sociale sono le due sepolture maschili di rango principesco o regale, con corredi di eccezionale ricchezza, valorizzati dalla presenza di quattro insegne di potere, raffinati scettri di ferro e bronzo con rappresentazioni zoomorfe dalle caratteristiche simboliche (Figg. 8,9 e 10).
Il ritrovamento dà rilievo alle forti influenze culturali di tutto il settore etrusco contermine all’area dell’Umbria meridionale, dal Lazio al territorio falisco-capenate, alla Sabina, all’Abruzzo, comprendendo le tombe principesche di Matelica e di Pitino S. Severino, nelle attuali Marche.
L’età arcaica
Nel corso del V secolo le capacità di accumulo delle ricchezze, acquisite soprattutto attraverso il commercio, e realizzate da alcuni personaggi appartenenti alle classi più alte con caratteristiche di aristocrazia, hanno generato una potenza guerriera che si esplica in nuovi modelli di autorappresentazione.
Parallelamente, e in coerenza con la conseguente organizzazione politica, dalla seconda metà del V secolo a.C. si sviluppa in Umbria la forma “urbana”, spesso difficile da documentare e analizzare a causa della costante sovrapposizione di strati di età repubblicana, e poi romana, medioevale e moderna, soprattutto nell’Umbria occidentale, al di qua degli Appennini. Molte delle colline, su cui più tardi sorgeranno i centri romani e poi medioevali e moderni (Narni, Amelia, Otricoli, Todi, Spoleto, Spello, Assisi, Nocera Umbra, Gubbio, Camerino, Pesaro, Sarsina, Galeata), sono occupate da insediamenti abitativi stabili che si trasformeranno in veri e propri centri urbani.
Al contrario, molti insediamenti documentati in pianura (Maratta Bassa di Terni, altopiano di Colfiorito, Assisi, pianura di Gualdo Tadino), vengono abbandonati per difficoltà legate al clima e all’insicurezza della loro posizione e rimpiazzati da insediamenti d’altura fortificati (i cosiddetti castellieri), che si organizzano sotto la guida di un centro egemone o di un santuario (Sant’Erasmo di Cesi), in un sistema territoriale che risponde alla logica ben pianificata di una struttura paganico-vicana.
Questi insediamenti, localizzati prevalentemente lungo tutta la dorsale appenninica, sono caratterizzati regolarmente da cinte di pietrame disposte a secco, e fossati; hanno morfologie circolari, sub circolari o ellittiche, sono talvolta articolati su terrazze artificiali (Colfiorito, Monte Orve), offrono un agevole controllo di un vasto territorio limitrofo e delle sue vie d’accesso. Si tratta di una vera e propria conformazione strutturale, un sistema documentato e studiato in tutta l’area appenninica, e presente dai Monti Martani ai territori abitati dalle diverse popolazioni umbre: Fulginati, Plestini, Tuderti, Camerti, Tadinati, Eugubini, Sestinati, Nucerini, Spoletini, Amerini, Spellati, Mevanati, Ocriculani.
Tra il V e IV secolo a.C., grazie soprattutto alle relazioni con il mondo etrusco, si può pensare ad un’evoluzione dei santuari umbri come luogo di incontro di comunità.
Se ne contraddistinguono in particolare alcuni qualificati da offerte di carattere eccezionale, quali per esempio la statua del Marte di Todi (Fig.11), nel santuario di Montesanto, rappresentante un guerriero nell’atto di libare, o dalla presenza di testi scritti come le Tavole bronzee di Gubbio (Fig. 12).
Uno sviluppo urbano realmente pianificato sembra farsi più apprezzabile a Spoleto, Gualdo Tadino, Pesaro, Verucchio, Bevagna, Spello. Nei casi di scavi particolarmente fortunati (Gualdo Tadino, Pesaro, Verucchio) si è potuto verificare che i nuclei abitativi sono caratterizzati da elevati realizzati con pietrame disposto a secco e alzati in legno, con coperture di tegole e coppi.
Con il IV secolo la spinta all’ urbanizzazione si fa più consistente grazie a più ampi contatti con le poleis etrusche e laziali, all’ingresso militare e politico di Roma in area umbra, sia nella fascia litoranea adriatica, sia in quella più interna: proprio in questo periodo gli oppida si organizzano come vere città, con cinte murarie e porte (Otricoli, Amelia (Fig. 13), Spoleto, Bettona) con i luoghi di culto nel loro interno. Ma perdurano anche santuari in aree territoriali di tipo paganico-vicano o santuari su alture (Foligno/Monte di Pale; Terni/Monte Torre Maggiore, Calvi/Monte San Pancrazio), o in punti di passaggio obbligati (Colfiorito, Avigliano Umbro/Grotta Bella (Fig. 14)) o di confine (Amelia/Santa Maria in Canale) e di transumanza (Monte Subasio, Fossato di Vico). Anche le produzioni ceramiche affrontano un interessante salto di qualità e impiegano, in contemporanea, ceramica d’impasto locale e ceramica importata (falisca a figure rosse e ceramica a vernice nera).
In contemporanea subisce una forte accelerazione la struttura della società con una diversa distribuzione degli incarichi di potere ormai affidati a magistrati e a sacerdoti, più che a singoli nuclei dinastici, come confermano le Tavole di Gubbio o la meridiana di Bevagna (Fig. 15), o un cippo da Foligno.
La conquista romana
Una serie di interessi derivanti da varie concause spinge Roma alla ricerca di nuove terre di conquista. La vicinanza della regione all’Urbe concretizza molto velocemente questa necessità, che diviene ancor più tangibile quando si fa più realistica l’eventualità di accesso al Piceno e alle risorse dell’Adriatico. Così può spiegarsi anche il trattato (foedus aequum) dei Romani con gli Umbri (Camerti) a Camerino nel 310 a.C. (Liv., IX, 36).
Si realizzano di conseguenza le vie d’accesso con percorsi ben pianificati. Tra gli altri la via Amerina: uno dei corridoi attraverso il quale Fabio Rulliano nel 308 si spinge nella parte centrale dell’area raggiungendo Perugia e subito dopo Bevagna dove, con un successo incontrastato, riesce a sottomettere la regione e tutti i popoli (populi) umbri. Subito dopo si attua un foedus amicale con Ocriculum.
In pochi decenni si chiude la regione in una morsa di conquista: nel 299 Roma fonda la colonia latina di Narnia (adversus Umbros missa Liv. X 1, 4-6), realizza la campagna di Sentino (296-295 a.C.) (Liv. X 18-31), e quella del lago Vadimone ((283 a.C.), crea la colonia marittima di Sena Gallica (284 a.C.), trionfa sui Sarsinati (266 a.C.) (Liv. per. XV). Fonda infine la colonia latina di Spoletium nel 241 a.C., un vero caposaldo militare, all’ingresso di una grande vallata che apre la conquista al possesso dei vasti suoli agricoli dell’Umbria, lungo una via d’accesso che in poco tempo (220 a.C.) traccerà il percorso di una nuova e rapida via verso l’Adriatico: la Flaminia (Fig. 16).
Gli Umbri, già presenti sin dal 279 nelle file dell’esercito romano che combatte ad Ausculum (Dio. Hal. XX 1, 5) rinsaldano la loro adesione a Roma in occasione della calata di Annibale (Polyb. III 86, 1-11) soffrendone logiche rivalse.
Nel corso del III sec. a.C., e almeno fino all’inizio del II, varie porzioni dell’Umbria vengono sottoposte a estese colonizzazioni viritane che investono tutto l’ager gallicus, ma anche il settore meridionale della regione, oltre vaste aree circostanti la via Flaminia, con il contemporaneo coinvolgimento delle praefecturae di Interamna, Plestia, Fulginiae e Urvinum Hortense.
Tra il III e il II secolo a.C., dopo la costruzione della via Flaminia, una fase edilizia pienamente monumentalizzata è documentata per gran parte dei centri urbani (Spoleto, Trevi, Foligno, Spello, Assisi, Urvinum Hortense, Bettona, Bevagna, Città di Castello, Todi, Gubbio, Gualdo Tadino, Terni, Amelia, Carsulae, Otricoli, Sestino, Sarsina e, per la parte adriatica, Fano e Pesaro), la maggior parte dei quali si dotano di mura e di impianti idrici.
Oltre alla costruzione della via Flaminia e dei suoi diverticoli non dobbiamo dimenticare la costruzione di altre vie che, proseguendo antichi itinerari protostorici, mettono la regione in collegamento con quelle vicine(Lazio, Emilia, Etruria, Sabina): oltre la via Amerina, la Plestina, e la Nursina. La sovrapposizione dei centri medioevali e poi moderni su quelli antichi ci permette solo di intuire la costante cura nel restauro e nella costruzione di edifici pubblici così come la monumentalizzazione dei templi, realizzati sia all’interno dei centri urbani (Cannara/Collemancio), che all’esterno, in aree extraurbane (Gubbio/Monteleto; Gubbio/Nogna: Fiorini-Di Miceli 2014; Spello/Villa Fidelia: Camerieri-Manconi 2012) che dimostrano la continuità di culti di carattere cantonale o di confine o segnalano importanti vie di transumanza. Non mancano esempio di auto romanizzazione precoce.
Rimane in ogni caso fondamentale la memoria della primitiva frammentazione tribale espressa significativamente da Plinio nella lista di distinti gruppi umbri (N.H. III, 112-114): Amerini, Aesinates, Fulginates, Mevanates, Matilicates, Plestini, Sentinates, cui si possono aggiungere per completezza una serie di altri etnopoleonomastici restituiti dall’epigrafia epicoria: ikuvins (di Gubbio), tutere (di Todi), tarina (di Tadino), nuvkri (di Nocera), amer (di Amelia), vukessestines (del vico di Sestino), dall’onomastica etrusca: ucrislanes (otricolano), falisca: felicinate (folignate), da un testo sudpiceno: spolítiú (da Spoleto) (Schreto 2011, 7).
In conclusione le popolazioni umbre conservano ancora in epoca storica una propria peculiare e singolare identità, divisa e frammentata, proprio nella differenziata programmazione e progettazione urbana di tanti numerosi piccoli e medi centri urbani di età repubblicana, che daranno poi vita ai singoli municipi romani della VI regio.
La fase di urbanizzazione ha completato l’adozione della scrittura, come strumento di autorappresentazione anche politica, così come la moneta, con due grandi centri di elaborazione e d’ispirazione. All’interno del quadro dell’Italia antica gli studiosi hanno inserito l’umbro entro il gruppo delle lingue sabelliche, di cui costituisce la varietà più innovativa, con tratti di affinità con il latino e il falisco (Screhto est 2011, 6).
La raccolta delle iscrizioni in lingua umbra, poco più di una trentina di testimonianze in totale, include iscrizioni pubbliche, dediche sacre, termini di confine, iscrizioni di possesso e funerarie, firme d’artista, legende monetali. Il documento più importante è costituito dalle Tavole Iguvine (Fig. 12) (Prosdocimi 1984), sette tavole di bronzo iscritte in alfabeto umbro-etrusco e latino, una testimonianza unica all’interno del panorama italico. Trovate a Gubbio verso la metà del Quattrocento nell’area del teatro romano, sono uno dei documenti più straordinari della civiltà e del mondo italico preromano. Sono tavole fuse in bronzo e documentano antichi testi conservati e utilizzati dalla confraternita Atiedia, che coordinava le cerimonie pubbliche della città.
A Todi e a Gubbio, tra il IV e il III sec.a.C. si fanno risalire i nuclei di elaborazione grafica dell’umbro riconoscendo a Todi la priorità per l’innovazione dell’alfabeto umbro princeps (Maggiani 2014). A questi due centri sono tributari tutti gli altri alfabeti documentati in Umbria. A questi stessi dinamici centri, Todi e Gubbio, si deve anche la contemporanea capacità di battere moneta in Umbria.
Al fenomeno di conquista romana segue già dalla fine del III sec.a.C. un coerente processo di acculturazione linguistica,con l’adozione del latino come alfabeto e lingua della regione (Fig. 17).
Con il conferimento della cittadinanza (lex Iulia de civitate) nel 90 a.C. tutti i principali insediamenti umbri si trasformeranno in municipia, ad eccezione della praefectura di Plestia e adotteranno definitivamente il latino sia in ambito pubblico che privato.
Cesare si impadronisce della regione nel 49 a.C. e deduce leve nelle diverse città. Dopo la sua morte alle ripetute sommosse partecipano anche le città dell’Umbria.
L’assetto territoriale e sicuramente anche sociale viene completamente sconvolto con la deduzione delle nuove colonie in età triumvirale (Todi, Pesaro, Fano, Spello), con le distribuzioni viritane, in particolare con la continua immissione di nuove moltitudini di persone, che beneficiano di assegnazioni di terre a scapito delle comunità locali. In ogni caso con il I sec. a.C. il processo di unificazione dell’Umbria sotto la cittadinanza romana può dirsi definitivamente concluso con la realizzazione di ordinamenti municipali amministrativamente autonomi. La completa romanizzazione si attua con Augusto. Dopo il bellum perusinum (40 a.C.) le città che si erano schierate su diversi fronti vengono trattate in modi differenti, tra le altre Spello, che si era trovata dalla parte di Ottaviano, vede ampliato il suo territorio nella zona delle fonti del Clitunno e verso Arna.
Negli anni compresi tra la guerra sociale e l’età augustea si ha un consistente riassetto delle città e del territorio, quest’ultimo anche sulla base della centuriazione, ben documentata dal Libercoloniarum, in gran parte frutto della riorganizzazione augustea e della nuova divisione in regioni. Tra il secondo triumvirato e l’età augustea si rinnovano o si gettano le basi progettuali dell’urbanizzazione di più di 40 città della VI regio. Si ricostruiscono o si costruiscono ex novo le viaepublicae, i ponti, gli acquedotti, i principali edifici pubblici e i templi, i numerosissimi teatri, gli anfiteatri, le domus e le ville, spesso adorne di mosaici di pregevole livello. Gli importanti lavori edilizi coinvolgono spesso e sotto forme diverse l’evergetismo* municipale.
Nei secoli successivi solo raramente l’Umbria è ricordata nelle fonti, ma nel IV secolo d.C. il Rescritto Costantiniano (Fig. 18) ci illumina sull’importanza religiosa del centro di Spello in epoca tardoantica (Zuddas 2012)
- Da intendersi in senso orografico (NdR)
- Elargizione di doni e opere alla collettività per varie occasioni e scopi. (NdR)
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FIGURE
Fig. 1. Parigi, Museo del Louvre: cratere corinzio da Cerveteri, lato A: scena comica, Pittore Ophelandros (600-575 a.C.)
Fig. 2. Regio VI: Umbria
Fig. 3. Umbria
Fig. 4. Marche
Fig. 5 Colfiorito di Foligno: insediamento dell’età del ferro presso Plestia
Fig. 6. Assisi, Museo Civico: bronzetti dal Monte Subasio
Fig. 7. Colfiorito di Foligno dal santuario della dea Cupra: statuetta di bronzo di un guerriero
Fig. 8. Spoleto, Museo Archeologico Nazionale, da Piazza d’Armi: spade
Figg. 9 e 10. Spoleto, Museo Archeologico Nazionale, da Piazza d’Armi: scettri
Fig. 11. Roma, Museo Etrusco Gregoriano: da Todi, Monte Santo, statua di bronzo del c.d. “Marte di Todi”
Fig. 12. Gubbio, Museo Civico: una delle Tavole di Gubbio (Va)
Fig. 13. Amelia, mura in opera poligonale
Fig. 14. Perugia, Museo Archeologico Nazionale, da Montecastrilli, Grotta Bella: modello di un tempietto
Fig. 15. Perugia, Museo Archeologico Nazionale, da Bevagna, Madonna del Core: meridiana (tardo II sec.a.C.)
Fig. 16. Percorso della via Flaminia
Fig. 17. Spoleto, Museo Archeologico Nazionale, da Castel Ritaldi: iscrizione su cippo
Fig. 18. Spello, Palazzo Comunale: rescritto di Costantino
Dorica Manconi ha svolto il ruolo di Funzionario Archeologo del Ministero Beni Culturali in Umbria dal 1976 al 2012 e di Direttore del Museo Archeologico Nazionale di Perugia dal 2000 al 2005
Le foto sono state realizzate da Valentino Pescari della Soprintendenza Archeologica dell’Umbria, che l’A. ringrazia.