Domenica 3 marzo 1968, a seguito della grave situazione scolastica, degli scontri del venerdì precedente alla facoltà di Architettura a Valle Giulia a Roma e come avvenne contemporaneamente in numerose facoltà universitarie perugine e italiane, gli studenti delle belle arti di Perugia occuparono l’antica Accademia a San Francesco al Prato. L’Accademia non era nuova a mobilitazioni e occupazioni: già nel 1964 la lotta il cambiamento della didattica e per la statalizzazione iniziò proprio con una precocissima occupazione degli spazi dell’antico ex-convento, sede allora sia dell’Accademia che dell’Istituto d’arte che della Scuola media annessa. Gli studenti non si limitarono al fatto, inaudito, di interrompere il regolare svolgimento della didattica ma sbarrarono l’accesso erigendo durante la notte un vero muro di mattoni a chiusura del portone sulla piazza, suscitando così le ire dei benpensanti locali, ancora digiuni di lotte studentesche, che tuonavano sulle cronache locali e nei salotti bene della città contro i ribelli.
Alcuni giorni dopo i fatti del marzo 1968 venne dichiarata la solidarietà del Consiglio dei professori allora composto da personalità del mondo della cultura italiana come Pio Baldelli, pioniere del concetto di controinformazione e teorico della comunicazione di massa, gli storici e critici Nello Ponente e Filiberto Menna, il filosofo Francesco Francescaglia, l’artista Dante Filippucci e lo scenografo Enzo Rossi, padre dello studente di architettura Paolo Rossi morto all’università di Roma il 27 aprile 1966, vittima di un’aggressione fascista. L’inaugurazione del 422° anno accademico a febbraio del 1968 fu presenziata dallo storico dell’arte Giulio Carlo Argan con la prolusione L’arte nella società dei consumi alla presenza del Presidente Onorevole Salvatore Valitutti che nel discorso di apertura sottolineò la necessità di una riforma delle Accademie di Belle Arti e degli Istituti d’arte.
Il 29 marzo 1968, a scuola ancora occupata, vennero ammessi al Consiglio Accademico i rappresentanti degli studenti in lotta che presentarono un documento in 13 punti, nel quale si chiedeva, oltre la statalizzazione della scuola, un profondo cambiamento dei programmi dei corsi e in particolare: la possibilità di proposta di contro corsi da parte degli studenti, la presenza di rappresentanze studentesche all’interno degli organismi decisionali, il reclutamento dei docenti tramite concorso pubblico, l’istituzione di borse di studio, l’accesso alla mensa universitaria, la discussione del voto d’esame in seduta pubblica, la produzione di dispense per i corsi teorici, l’acquisizione di testi per la biblioteca, l’abolizione degli studi privati dei docenti, l’adeguamento delle aule alle esigenze didattiche, incontri periodici con personalità del mondo culturale artistico e produttivo, spazi esclusivi per gli studenti e per organizzare mostre anche fuori della sede di San Francesco al Prato. Delle richieste degli studenti solo l’accesso alla mensa universitaria sarebbe stato possibile nell’immediato. Gli studenti erano Paolo Mancini, Stelio Taddei, Piero Pagliochini, Carlo Iavarone e Osvaldo Ciarapica. Quest’ultimo, come gli studenti Antonio Todini e Gianfranco Ercolanoni, dopo il diploma rimase a lavorare nell’Accademia partecipando alle successive lotte del 1974, durante le quali il ministro della Pubblica Istruzione Franco Maria Malfatti fu accolto malamente con striscioni politici e nel contempo artistici. Le lotte, spesso capeggiate proprio da questi tre ex-studenti e ora docenti, condussero nel 1974 all’equiparazione del contratto di lavoro del personale a quello delle accademie statali, e quelle del 1977 portarono, negli anni seguenti, alla regolarizzazione dei contratti dei docenti precari, a un cambio di direzione e a una nuova stagione didattica all’avanguardia in Italia. Il corpo docente, regolarizzato e ampliato con l’ingresso di nuovi docenti come Bruno Corà, Antonio Gatto, Bruno Paglialonga e Adriano Urbano, fu coordinato dal direttore Giorgio Ascani, l’artista tifernate comunemente conosciuto come Nuvolo, testimone e protagonista di primo piano dell’arte italiana del dopoguerra, che in quegli anni risiedeva a Roma e aveva contatti con il miglior mondo artistico italiano. Si iniziò così a concepire e realizzare una didattica che richiedeva la presenza e la partecipazione attiva di tutti i docenti e vedeva gli studenti al centro di un processo formativo al passo con i tempi dell’arte, proponendo incontri con artisti, organizzazione di eventi espositivi e seminari interdisciplinari su questioni fondamentali dell’arte. L’Accademia di Perugia fu la prima che iniziò una pratica poi imitata in altre accademie e se ne parlò in tutta Italia come un di nuovo polo didattico, quasi un nuovo Bauhaus. Furono invitati Michelangelo Pistoletto, Enrico Castellani, Luciano Fabro e gli artisti e studenti della Casa degli artisti di Milano, Giulio Paolini, Sol LeWitt che lasciò un importantissimo Wall drawing, ancor oggi visibile, sul corridoio d’ingresso dell’Accademia e Marco Bagnoli, Marisa e Mario Merz. Con molti di questi nacquero anche collaborazioni che, come nel caso di Osvaldo Ciarapica e Marco Bagnoli, sfociarono nella produzione di alcune opere.
Questa situazione fu tra le ragioni che mi condussero a partecipare a un concorso a cattedra nel 1983 che vide l’ingresso nel corpo docente anche dell’incisore Marilena Scavizzi e dello scultore Eliseo Mattiacci. Fui subito inserito nel gruppo dei docenti e messo prontamente al lavoro per la programmazione del nuovo anno accademico. Osvaldo Ciarapica in realtà lo avevo già incrociato a Parigi tramite amici comuni in occasione di una mostra al Centre Pompidou a cui avevo collaborato, ma quasi non ce lo ricordavamo. Dopo un breve esame sulla mia coscienza di lotta, sui miei trascorsi sessantottini a Milano e sulle lotte universitarie del 1977 romano, mi fece partecipe della complessa situazione ‘politica’ dell’Accademia e dei suoi rapporti con la città e le istituzioni culturali, spesso poco benevole nei confronti della nuova didattica. Mi accorsi presto che Osvaldo era un punto di riferimento inalienabile sia per gli studenti che per noi che venivamo da fuori città non solo per tutto ciò che riguardava la risoluzione di problemi didattici, logistici e non, ma soprattutto, con Todini ed Ercolanoni, come memoria storica necessaria per ogni strategia, oltre che figura di cerniera per i rapporti con il mondo politico locale. Continuammo a invitare gli artisti e i poeti come Emilio Villa, Piero Dorazio, Carla Accardi, Edgardo Mannucci e tantissimi altri con i quali si intessevano anche solidi e duraturi rapporti. Se Bruno Corà era il coordinatore teorico del tutto, Osvaldo Ciarapica era sempre una presenza attiva insostituibile per la messa in pratica dei progetti e per il coordinamento delle forze degli altri docenti, degli studenti e anche di ex-studenti che per lungo tempo mantenevano un solidale rapporto con l’istituzione. Il tutto era fatto da Osvaldo sempre con fermezza d’animo e allegria, con un rapporto diretto e sincero con tutti e soprattutto con un’inusuale passione per l’arte, che spesso non conosceva bene come alcuni di noi, ma che immediatamente comprendeva e verso la quale nutriva un’istintiva fiducia; per molti anni mantenne anche il titolo del professore più bello in una graduatoria che per gioco gli studenti ogni anno compilavano.
Poi anche il vento a poco a poco cambiò e si dovette riprendere la lotta contro la pesante restaurazione che una parte della città pretendeva, arrivando alle lotte della ‘pantera’ del 1990 con una lunga nuova occupazione della scuola. Proprio Osvaldo Ciarapica e altri docenti proposero che la scuola occupata non chiudesse i battenti ma anzi li aprisse alla città con un mantenimento della didattica ‘alternativa’ poiché affermava che l’arte, con la sua qualità, era l’arma di lotta più potente e duratura: si tennero corsi di arte pubblici, con lezioni di storia dell’arte che riguardarono movimenti artistici come il Bauhaus o il Situazionismo francese, furono allestiti spettacoli incentrati su nuove modalità espressive e testi di frange deviate dal teatro tradizionale e invitato, per un incontro aperto a tutta la cittadinanza, l’artista Jannis Kounellis.
Tutti, organi interni e istituzioni, si erano sempre dichiarati favorevoli alla statalizzazione dell’istituzione ma mancava totalmente almeno un atto formale che la sancisse. Studenti e docenti uniti chiesero la convocazione dell’organo supremo, il Corpo Accademico, per votare la richiesta. Osvaldo Ciarapica, con Pasqualina Bianchini e molti studenti, divenne in tale occasione artefice di una poderosa azione performativa nella quale chi partecipava alla riunione era costretto, una volta entrato, a percorrere su di un tappeto di stoffa bianca (fuori pioveva) uno stretto corridoio umano, di corpi di studenti che questionavano il passante, che dal portone giungeva fino alla biblioteca, sede della riunione.
Poi la situazione si è andò ‘normalizzando’ e anche i docenti di quegli anni a poco a poco lasciarono l’incarico: Nuvolo, Mattiacci, Urbano, Corà, Gatto, Ercolanoni, Fabbroni, Scavizzi, Todini e anche Osvaldo lasciò la scuola priva della sua grande esperienza didattica e presenza umana per ritirarsi in campagna. Una delle ultime volte che ci siamo incontrati, abbiamo ricordato le annose lotte e le speranze realizzate e poi soffocate e abbiamo brindato amaramente all’anniversario, che andava oltre il mezzo secolo, della richiesta di statalizzazione, mai realizzata, e che profeticamente sapeva che non avrebbe mai visto.
Aldo Iori (1954) dopo studi di architettura si è interessato ai rapporti spaziali dell’opera e alle connessioni tra questa e il luogo e si è occupato con testi scientifici dell’opera di artisti contemporanei curando mostre personali e collettive e cataloghi e monografie. Ha collaborato con musei, fondazioni, gallerie e istituzioni pubbliche e private in Italia e all’estero e con le riviste Lettera Internazionale e A.E.I.U.O. e MozArt di cui è stato redattore. Fino al 2020 è stato docente presso l’Accademia di belle arti ‘Pietro Vannucci’ di Perugia per le discipline inerenti la Storia dell’arte. Dal 2017 è docente presso l’Università degli Studi di Perugia e dal 2019 presso l’Accademia di belle arti di Roma. Attualmente collabora con la Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri e la Fondazione Bassiri.