Vol. 12, n. 1 (2020)
Nicola Renzi
Ciascuno di noi ha un sogno più o meno realizzabile nel cassetto. Forse quello di Nicola Renzi è di riuscire a fasciare con i suoi elastici grandi edifici, enormi strutture, magari quelle che popolano Perugia, la sua città, o i piccoli paesi pieni di tesori che le stanno intorno. È come se Nicola Renzi volesse misurare lo spazio, la capacità, la struttura degli oggetti, già esistenti o appositamente creati, avvolgendoli con fili di gomma più o meno spessi. La prima volta che ho visto un suo lavoro da circa 10 metri di distanza, appeso ad una parete, in una galleria, non riuscivo a capire cosa fosse. Anzi per qualche istante ho creduto fosse un dipinto, poi man mano che mi avvicinavo mi sono resa conto di cosa fosse, anche se qualcosa di non svelato totalmente, continuava a presentarsi ai miei occhi e si rendeva per questo affascinante. Si trattava di piccoli elastici colorati posti su una rete di metallo.
L’effetto era pittorico, tuttavia non nel senso più banale e forse deteriore del termine, di decorazione. Era come un andare a scavare nell’anima della pittura, nei suoi segreti per renderla visibile. Come quando un anatomista leva la pelle ad una parte del corpo e ne escono i muscoli, le vene e tutto il resto. Una sorta di disvelamento. Poi, nel tempo, ho continuato a guardare i suoi lavori: le grandi sculture sferiche come palloni. Quelli che i ragazzi, soprattutto un tempo, si lanciavano sulle spiagge. La tentazione di fronte a questo tipo di lavori è quella di avvicinarsi per dare un calcio e vederli partire nell’aria e invece no: i palloni sono pesantissimi, di una pesantezza fitta in cui gli elastici non lasciano trasparire l’anima. Tutto sembra leggero, quasi trasparente, ma è solo un’illusione. L’elastico ha dato vita a una materia autonoma attraverso l’accorpamento. Così vien voglia di guardarli, di studiarli millimetro per millimetro per scoprire il punto di inizio come per una matassa di lana, ma qui non c’è morbidezza.
Questo uno degli aspetti più affascinanti: come se Renzi volesse creare una sorta di ambiguità materica. All’inizio di queste brevi note su Nicola Renzi sostenevo che forse, ma si tratta solo di una mia supposizione, il suo sogno è quello di fasciare un’intera struttura. Anche se è bene sottolinearlo non si tratta di un’operazione di Land Art alla Christo. Così alcuni suoi lavori, anche tra gli ultimi realizzati, come Nel mezzo del vedere e sentire, un’istallazione per la galleria interno&dumdum di Bologna, una sorta di misurazione dello spazio, gli elastici passano da una parte all’altra delle pareti, le seguono perimetralmente e le coprono. Sembra di trovarsi difronte a un tessuto in grado di “scaldare” le superfici, anche le più fredde.
Un tessuto duttile, gommoso, al tempo stesso forte, irriducibile. Così anche nel lavoro per la Reggia dei Carraresi a Padova: l’effetto è strabiliante. Optical da un lato, materico, pittorico dall’altro e poi i fili dell’elastico che escono come da un telaio. È questo uno degli aspetti più affascinanti della sua ricerca puntuale quotidiana come un tessitore del passato.
Quelli che hanno lavorato quotidianamente, per una vita intera, sui telai. Una delle particolarità di Renzi è quella di dare ai suoi lavori dei titoli complessi, a volte ironici, a volte no. Tra questi uno mi piace in particolar modo: il tempo cambierà le cose attribuito ad una trama di rete metallica zincata intersecata con para marrone ( uno di quelli che a me piace chiamare dipinti, in questo caso monocromo) . Così è per i suoi lavori dove la materia vive, muta, si adatta, scolora, cambia nel corso del tempo senza possibilità di previsione e di mutamento proprio come nella vita di ognuno di noi.
Angela Madesani
Presentazione critica
La via della seta, la strada aperta, i sentieri meno battuti. Viaggi reali e immaginari. Vi è un passaggio autentico attraverso lo spazio e il tempo, ma, per molti vi è la previsione o la riflessione a posteriori su come potrebbero essere la via, la strada o il sentiero. In molte delle sue opere più recenti, Nicola Renzi con le sue meticolose visioni unisce elementi fisici e artistici.Molto noto per l’uso che fa di singoli elementi cromatici accuratamente stesi e applicati su una varietà di superfici, ci ha regalato immagini astratte congiunte che funzionano come mosaici a motivi geometrici negli spazi pubblici o tessuti integrati negli spazi privati. Il modo in cui unisce l’unità di colore con gradi di indipendenza si riferisce al primo tipo, mentre la trama estetica delle superfici uniformi al secondo. Renzi ha un forte senso di come l’essenza di un’idea e dell’attuazione possa essere accuratamente espansa per dare forma a qualcosa di più grande.
Anche se alcune opere potrebbero essere potenzialmente più grandi, in realtà non sono gigantesche. Se così fosse, tradirebbero la loro essenza e i loro elementi risulterebbero sminuiti. Nonostante utilizzi materiali recuperati dal mondo industriale, la cui fisicità può essere visivamente impegnativa, l’essenza è esplicitamente mantenuta, senza mai contaminarsi con i canoni ornamentali.
Questo è il caso delle nuove opere che fanno parte di una serie in cui vengono utilizzati dei guardrail. Tutti hanno in mente queste importanti forme che delineano le strade e che fungono da protezione. Tradizionalmente di colore grigio scuro, non catturano la nostra attenzione, se non per la loro funzionalità e certamente non stimolano la nostra immaginazione. Eppure, Renzi dirotta le forme delle strade e superstrade dal quotidiano e le trasforma in modo magistrale, rendendole quasi, ma intenzionalmente non del tutto, riconoscibili.
Al rovescio, la funzione, nonché l’essenza industriale del guardrail si riduce. Tuttavia, la distesa di striature di colori e motivi geometrici si riversa sulla forma come una pioggia primaverile. Grazie alla visione e alle mani di Renzi, viene ultimata la trasformazione. Viene creata una nuova mappa. In un certo senso l’artista riesce a creare un paesaggio di colori e forme che si estende a nord e a sud, ma anche per colline e valli. Qui echeggiano le figure di Henry Moore che diventano paesaggi da ricordare. Esposta come un’icona in una cripta, quest’opera si espande visivamente oltre i suoi limiti tangibili. Si pone come un potenziale percorso segnato dal simbolo innocente della strada. La trasformazione operata da Renzi ci indirizza verso un nuovo sentiero, una strada inesplorata, un nuovo percorso.
Joseph Antenucci Becherer
Perdere tempo
Quando ci si trova a parlare di scultura, inevitabilmente si fa i conti con l’insostenibile pesantezza della materia, la risolutezza della forma, l’ingombro nello spazio. Più di qualsiasi linguaggio dell’arte, la scultura ha implicito il senso del definito, di una sostanza irreversibile che non muterà nel tempo. La scultura è in quanto essenza, è destinata a durare, assumere quei tratti di immortalità dell’opera che hanno riempito i libri di storia e le collezioni dei musei. Non importa che sia bella, innovativa, rivoluzionaria, ma è invece fondamentale che resti, che venga tramandata, a testimonianza dello sforzo e della fatica che caricano l’opera del senso dell’impresa. Sarà questa la ragione per cui la scultura, tra tutte le tecniche, è quella che trova più difficoltà nel farsi accettare in quanto contemporanea.
L’inattualità le è connaturata. Alcuni artisti fanno eccezione e nei loro lavori spunta, per contrasto, una strana e inconsueta leggerezza, capace di mettere in crisi, rinnovandolo, il senso ultimo della scultura. Uno di questi è Nicola Renzi, le cui installazioni –ma la tridimensionalità, comunque la si voglia chiamare, deriva sempre dalla scultura- sono caratterizzate da soavità, da un’apparente assurdità che le rende incapaci di misurarsi con le regole del tempo. Per mezzo di migliaia di elastici colorati annodati l’uno all’altro fino a formare lunghi filamenti, l’artista perugino realizza quinte sceniche, trame spaziali che alterano la percezione dei luoghi in cui sono allestite. Renzi collega pavimento a soffitto, parete a parete. Come un novello Gian Lorenzo Bernini, supera la concezione della prospettiva unica e sviluppa una scenografia relativa dove il punto di vista dell’osservatore si moltiplica potenzialmente all’infinito. Una moltitudine di fili in tensione corre lungo le pareti, avvolgendo travi, colonne e qualunque elemento incontri lungo il percorso. Sono rivestimenti provvisori, destinati a durare solo il tempo dell’esposizione; una festa visiva che assorbe completamente lo spettatore, ma che verrà inevitabilmente rimossa al termine dello spettacolo. Più che di contemplazione dell’oggetto, per le opere di Renzi si tratta di partecipazione. Si concentra sul presente, sull’importanza del gesto solo apparentemente inutile. Procede con lentezza, prendendosi tutto il tempo necessario, indugiando sull’esperienza estetica della mente. L’intreccio dei lembi è un’operazione lunga, ripetitiva e faticosa, una gran perdita di tempo. Proprio per questo Renzi lavora da solo, lasciandosi stuzzicare, lusingare, dall’abilità del proprio fare, dall’idea, tanto inutile quanto sublime, che la montagna possa partorire un topolino. Uscendo dal vicolo cieco della rappresentazione, costruisce la sua cifra stilistica intorno alla pratica che, però, non è mai fine a se stessa: le scelte linguistiche riflettono una precisa visione del mondo e rimandano a profonde dinamiche psicologiche ed esistenziali.
Le sue installazioni impalpabili ed evanescenti sono in contrasto con la tensione al consumo frenetico dei messaggi visivi cui siamo abituati, prendono le distanze dal contesto diffuso a livello globale, troppo affollato di sollecitazioni, troppo convulso dal punto di vista temporale e spaziale. Poiché all’uomo non è dato di conoscere il futuro, né tantomeno di determinarlo, l’artista si concentra sul presente, sulla dimensione simbolica che l’arte acquista nella vita quotidiana, sulla sua funzione emancipatrice. Poco importa se non durerà in eterno. In fondo l’arte, come la cultura, non è solo roba da museo “classico” o mostra tradizionale. La vita è irripetibile. Ogni nostro gesto avviene una sola volta. Eppure, viviamo come se ciò fosse un fatto trascurabile, perché altrimenti l’esistenza diventerebbe una paradossale nostalgia. Nicola Renzi tenta di conciliare questo concetto metafisico col realismo del vivere quotidiano.
Luca Beatrice
Biografia/Curriculum Vitae
Nicola Renzi (Perugia, 1972) studia alla Koninklijke Accademie de L’Aia e all’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci” di Perugia, dove attualmente è docente di ruolo e insegna Pittura e Scultura al biennio specialistico e Scultura nel triennio ordinamentale; è anche docente a contratto di Metodologia della Progettazione per l’Arte Pubblica presso l’Accademia di Belle Arti di Ravenna e di Formatura Tecnologia e Tipologia dei Materiali presso l’Accademia di Belle Arti di Roma. Fin dagli esordi concentra la sua ricerca artistica su materiali nuovi e inusuali che trasforma in modo minuzioso. Dalle complesse trame di elastici degli anni Novanta, che assemblati danno vita a veri e propri ambienti, fino ai lavori più attuali, indaga i costituenti ultimi dell’arte, traducendoli e tradendoli, per permettere loro di continuare a vivere. Vince varie opere ed interventi pubblici: si ricordano il XL Premio Suzzara, Mantova (2001), il Premio SEAT, PagineBianche d’Autore, Regione Umbria (2006), le due piazze per il nuovo Palazzo della Regione a Udine (2007), un’opera d’arte (dipinto) per l’edificio “Casa Galazzini”, nuova sede degli uffici del Comune di Breguzzo, Trento (2007), un istallazione permanente presso gli spazi del nuovo complesso Cimiteriale di Gubbio (2008), il Premio Aldo Ajò, ceramica contemporanea, Comune di Gubbio (2008), un bassorilievo per la nuova caserma dei Vigili del fuoco di Terni (2008), un’opera d’arte (dipinto) per il Comando Provinciale Nucleo di Polizia Tributaria e Compagnia della Guardia di Finanza di Pisa (2011), l’arredo liturgico alla cappella dell’Istituto Penitenziario di Tempio Pausania–Nuchis, Olbia (2012), due mosaici per la caserma del Corpo Forestale di Nocera Umbra, Perugia (2012), un bassorilievo in ceramica a terzo fuoco per la nuova caserma del Corpo Forestale dello Stato di Gualdo Tadino, Perugia (2012), un’opera d’arte (dipinto) per la nuova caserma del Corpo Forestale dello Stato di Città di Castello, Perugia (2012), un’opera d’arte parietale, per scuola elementare “ Anna Frank ” nel Comune di Castelplanio, Ancona (2014), il bassorilievo per la nuova caserma dei Vigili del fuoco di Piacenza (2015), la scultura per l’edificio scolastico di Brentonico a Trento (2015), due opere d’arte (dipinti) per la nuova Casa Comunale, del Comune di Fonte Nuova, Roma (2015), il Premio Artline, Fondazione Campori, per la realizzazione di opere d’arte inserite nel territorio comunale di Soliera, Modena (2017), un’ opera d’arte (dipinto grande formato) per la struttura di ematologia-malattie infettive del Presidio Ospedaliero S.Chiara a Trento (2018). Tra le esposizioni si ricordano: Almost home, Grand Rapids in focus Frederik Meijer Gardens & Sculpture Park, Grand Rapids, Michigan, U.S.A. (2016), Ricognizione 2014 – Arte contemporanea in Umbria, Centro Italiano Arte Contemporanea, Foligno, Perugia (2014), Tell mom everything is ok, Palazzo della Penna Centro di Cultura Contemporanea, Perugia (2013), Dialoghi, artisti contemporanei a confronto con le collezioni del Museo, Giacomo Balla-Nicola Renzi, Museo del Territorio, Biella (2012), 54° Biennale di Venezia, Regione Umbria, Palazzo Collicola, Spoleto (2011), ArtPrice UICA, Urban Istitute for Contemporary Art, Grand Rapids, Michigan, USA (2011), XI Premio Cairo, Palazzo della Permanente, Milano (2010), Fuoriluogo 14 Internazionale, Galleria Civica d’Arte Contemporanea di Termoli, Campobasso (2009), Arrivi e partenze, Mole Vanvitelliana, Ancona (2008), Premio Lissone, Museo d’Arte Contemporanea, Lissone, Milano (2005), XIV Esposizione Quadriennale, Anteprima 2, Palazzo Reale, Napoli (2003), Premio Maretti Editore, Galleria d’arte Moderna, Bologna (2003), Italia&Cile, Galleria d’Arte Contemporanea, Caserta (2003), In Ralenti, Fondazione Bevilacqua La Masa, Palazzetto Tito, Venezia (2001), XL Premio Suzzara, Galleria Civica d’Arte Contemporanea, Suzzara, Mantova (2000), Atlante, Centro Arte Contemporanea Masedu, Sassari (1999), Produzione Resistente, Museo Virgiliano, ex convento Gonzaga, Mantova (1999).