“Farò ancora splendere la dottrina come l’aurora,
la farò brillare molto lontano” (Siracide: 24, 32).
13 febbraio 1278: Perugia è idealmente e coralmente riunita nella Piazza Grande, dove affacciavano il duomo, il vescovado, i palazzi dei Consoli, del Podestà e del Capitano del Popolo, per celebrare la conclusione dei lavori dell’acquedotto da Monte Pacciano che porta l’acqua in città e della fontana maggiore che ne mostra le acque.
Parafrasando l’elogio della Sapienza scritto nel Libro di Siracide (24, 30-34), l’”acqua viva” (Ap. 22,1; Gv. 4,11), fonte di vita e di sapienza, che ha rigoglio dalla fontana maggiore, “innaffia il giardino e irriga l’aiuola” della Augusta città di Perugia, lustrandone la grandezza civile e le ambizioni politiche e culturali: “ut civitas Perusii sapientia valeat elucere” (affinché brilli per sapienza), si legge nell’auspicio contenuto nello Statuto del 1285, volto alla fondazione dello Studium[i].
Nel superbo caleidoscopio artistico e iconografico dei bassorilievi e delle statue, che danno anima e forma al racconto politico e teologico della Fontana maggiore[ii], emerge, icastico, per il valore simbolico dell’immagine scolpita, la raffigurazione di san Benedetto di Norcia (480-547), ispirato da un angelo, mentre affida la sua Regula monachorum a un discepolo prostrato. Invero, questo gruppo plastico, nelle illustrazioni dell’itinerario iconografico della Fontana, è catalogato come un’effige singola del padre del monachesimo occidentale, e solo in casi sporadici è rammentata la presenza della figura inginocchiata di san Mauro (512-584 circa); ciò, nonostante che sulle pagine del codice aperto, per esaltare la solennità del gesto di san Benedetto e identificare la scena rappresentata, gli scultori abbiano inciso l’esortazione verbale rivolta dal patriarca al monaco romano: “AUDI FRATER MAURE”.
Riannodando il catalogo della tradizione iconografica benedettina, quindi, è evidente che Nicola e Giovanni Pisano intesero raffigurare uno dei momenti centrali nel racconto della vita di san Benedetto: la consegna della Sancta Regula a san Mauro, in partenza per la Gallia. Nell’anno della sua morte (547), il patriarca accolse a Montecassino una delegazione inviata da Innocenzo (533-559), pastore della Dioecesis Cenomanensis (Le Mans), che gli chiese di promuovere la fondazione di una comunità monastica in un predio diocesano locale. Sostenuto dall’ispirazione divina Benedetto accettò, esortando Mauro a intraprendere il viaggio per la Gallia. Dopo un itinerario felice, costellato dal dono di alcuni miracoli, il monaco fondò a Glanfeuil (Angers) la prima abbazia benedettina francese, dove visse fino alla morte.
La scena che mostra la consegna della Regula a S. Mauro è parte della narrazione simbolica del lato Est della fontana, articolata intorno alla statua del profeta Salomone – gli altri capisaldi sono le raffigurazioni di Roma a Ovest, Euliste a Nord e Augusta Perusia a Sud –; di questo gruppo sono parte le immagini dei profeti Davide e Mosé, di S. Giovanni Battista e della principessa Salomè che ne ostenta la testa.
Nel progetto comunicativo della fontana, il gruppo iconografico appena rammentato incarna il valore divinatorio supremo della “profezia”, aprendo idealmente la scena alle statue che celebrano la storia e l’identità feconde della città Augusta e delle Chiese di Roma e Perugia. Il saggio Salomone, ultimo sovrano del regno unificato di Giudia e Israele, in questo contesto simbolico evoca un’età ancestrale, prospera e felice; al profeta sono associate le statue di suo padre Davide, dalla cui stirpe discende il padre putativo di Gesù; del precursore del Messia, con la testimonianza iconografica del suo martirio; infine, di Benedetto e Mauro. Rimarca il valore profetico della figura di S. Benedetto, anche l’iscrizione che ne illustra la statua: SANCTUS BENEDICTUS-HABENS SPIRITUM PROFEKIE.
Nella scena visibile a Perugia, Benedetto, conscio per la profezia divina che il suo ritorno nella luce era imminente, consegna la Regula al suo diletto discepolo e idealmente gli affida la sua eredità spirituale. Il venerando, inoltre, sceglie la Francia per inaugurare questa nuova fase del monachesimo benedettino. Egli nel Battista e nel santo nazionale, il militare e vescovo pannone Martino di Tours (316-397) – padre del monachesimo in Gallia – venerava i suoi principali modelli ispiratori nella vita ascetica. Gregorio Magno, infatti, nella Vita S. Benedecti rammenta che il patriarca, a Cassino, sulle vestigia del tempo di Apollo, fondò l’oratorio di S. Martino da Tours e la cappella di S. Giovanni Battista, dove elesse la sua sepoltura.
Colui (o coloro) che ideò il progetto iconografico della fontana maggiore, quindi, scegliendo di far raffigurare Benedetto insieme ai profeti, volle esaltarne il ruolo di mallevatore di una stagione aurea nella storia della Ecclesiae Universalis. Contestualmente, agli occhi dei committenti perugini, rappresentare l’inizio della storia benedettina d’oltralpe era un possibile omaggio alla nazione francese. Perugia, municipio guelfo, era un alleato naturale della dinastia Anjou, e, com’era prassi, a questa linea filo papale e francese appartenevano il podestà e il capitano del popolo pro tempore in carica durante l’anno 1278: Matteo da Correggio (1230-1290 circa) ed Ermanno da Sassoferrato (+ post 1285)[iii], eternati con i loro ritratti nel secondo registro della fontana. Queste relazioni tra la città del grifo e il casato regale emergono in tutta evidenza proprio in relazione al cantiere della fontana, quando, nel 1277, il comune chiese a Carlo I d’Angiò di autorizzare il maestro Arnolfo di Cambio, impegnato al servizio del re di Gerusalemme e di Sicilia, a recarsi a Perugia per ornarne il monumento simbolo[iv].
Il programma iconografico del bacino mediano della Fontana maggiore, dopo i cicli figurativi allegorici e moralizzanti della vasca inferiore, dedicati principalmente alla natura, alla storia dell’umanità e alle Arti liberali, manifesta compiutamente la sua fisionomia politica. La fontana e la sua decorazione plastica furono ideate per simboleggiare l’identità e l’orgoglio perugini, rappresentando l’autocoscienza civica di un presente florido e di un passato millenario, e proclamando le alleanze strategiche che sostenevano le ambizioni politiche e culturali di questo grande municipio.
In particolare, durante il cantiere per l’acquedotto e la fontana, l’elezione di Giovanni Gaetano Orsini alla cattedra di S. Pietro (25 novembre 1277) dovette imprimere ulteriore slancio a questa impresa, e, forse, poté suggerire ai com- mittenti un adeguamento del programma iconografico. In quest’ottica, nel bacino mediano, pensiamo all’esaltazione della Ecclesia Romana; tema naturale per una città guelfa, che guadagnava ulteriore valenza nel disegno politico del pontificato di Niccolò III (1277-1280), volto a recuperare la centralità di Roma.
Giovanni Gaetano Orsini, tradizionale alleato degli Angiò con il suo clan fa- miliare, divenne papa dopo aver trascorso trentatré anni indossando il galero. Il decano, dal 1261, era anche il cardinale protettore del primo ordine francescano (del secondo, dal 1263), quindi, la consuetudine tra la sua curia, con Perugia e le altre terre umbre, dovette essere intensa.
Curiale del cardinale Orsini era il teologo e inquisitore francescano Benvenuto da Orvieto[v]: vescovo di Gubbio (1278-1295), nunzio di Niccolò III e responsabile della riscossione delle decime nella Marca di Ancona, nel Patrimonio di S. Pietro, nel Ducato di Spoleto e nella Romagna. Alla consorteria della porpora di Sancti Nicolai in Carcere Tulliano appartenevano anche Bartolomeo di Amelia (vescovo di Grosseto, 1278-1291)[vi], al quale Niccolò III affidò l’infruttuosa missione nella corte di Michele VIII Paleologo a Costantinopoli, onde ricomporre i contrasti tra le Chiese occidentale e orientale (1279); l’allievo parigino di Bonaventura da Bagnoregio, e successore del santo nel ministero generale dei Francescani (1274-1279), Girolamo da Ascoli (Niccolò IV, 1288-1292), anch’egli nunzio papale; Bentivegna da Todi (vescovo di Todi, 1276-1278; cardinale-vescovo di Albano, 1278-1290)[vii], che del galero e della tiara era amico, cappellano e confessore. Per i frati Girolamo e Bentivegna, insieme a tre parenti del papa, il 12 marzo 1278 si schiuse anche la via per il porporato, creati per rafforzare lo scarno collegio cardinalizio di Niccolò III.
La ricerca, anche riguardo alla storia di Perugia, ha indagato il costante e significativo consolidamento dei Francescani presso le istituzioni municipali, durante la seconda metà del XIII secolo, fino a divenire “compiutamente parte o strumento di quei ceti dirigenti ai quali in fin dei conti sono omogenei”[viii]. In particolare, per le loro relazioni con la curia di Niccolò III, emergono i frati perugini Angelo, inquisitore e ministro provinciale dell’Umbria (1274-1280, 1292-1295) e Filippo (ministro provinciale della Toscana, 1280-1282; vescovo di Fiesole, 1282-1297)[ix]. Quest’ultimo, notato per la statura intellettuale dal cardinale protettore Rinaldo di Ienne che lo volle nella sua curia, dopo che il suo mentore venne consacrato Alessandro IV (1254-1261), fu da questi inviato nello studium francescano di Parigi per addottorarsi con il magister cathedratus Bonaventura da Bagnoregio (1254-1257). Conseguito il titolo di lettore, Filippo insegnò in varie scuole conventuali prima di servire il cardinale Orsini, del quale fu familiare, divenendo poi nunzio papale (partecipò anche alla missione a Costantinopoli del 1279, guidata da Bartolomeo da Amelia).
Il cursus studiorum e le frequentazioni romane, rendono di Filippo da Perugia un candidato interessante per valutarne il possibile coinvolgimento nella definizione del programma iconografico della Fontana. In quest’ottica, è probabile che il podestà e il capitano del popolo di Perugia furono affiancati da uno o più dotti consulenti, poiché fra Bevignate da Cingoli, deus ex machina di questa straordinaria impresa, principalmente, dovette impegnarsi nel fondamentale lavoro di coordinamento delle fasi costruttive e delle maestranze coinvolte, unitamente alla gestione delle risorse finanziarie disponibili (nella iscrizione dedicatoria scolpita nella cornice inferiore della seconda vasca, viene chiarito il suo ruolo ideatore e direttore del progetto costruttivo). Lo stesso incarico di soprastante, che lo vedrà operoso nel grandioso cantiere del duomo di Orvieto (1295-1310 circa)[x].
La centralità nel progetto perugino di fra Bevignate, monaco della congregazione dei Silvestrini, ha fatto ipotizzare il ruolo del benedettino nella scelta di fare scolpire il suo patriarca tra i personaggi della vasca mediana, preferendolo alle raffigurazioni di altri santi allora ugualmente popolari: Francesco d’Assisi e Domenico di Guzmán su tutti. L’assenza delle immagini di queste due straordinarie figure di santità, crediamo che sia da ricondurre – come sopra arguito – nel novero di una precisa scelta di comunicazione adottata dal teologo che definì il progetto iconografico della fontana, il quale, espressamente, preferì esaltare la preminenza storica e centralità di S. Benedetto nella fondazione di una “Chiesa nuova”. Come acclarato, è proprio dalla fonte sorgiva del monachesimo benedettino che nacquero anche le famiglie mendicanti, protagoniste di un’altra ‘rivoluzione religiosa’.
Fabio Marcelli
[i]La prima testimonianza documentazione degli insegnamenti civici perugini per gli studi di Legge e delle Arti Liberali, è del 21 settembre del 1276, anticipando la bolla Super specula emessa da papa Clemente V (8 settembre 1308), che elevò l’Ateneo comunale al rango di Studium generalis.
[ii]Per un itinerario essenziale: K. Hoffmann-Curtius, Das Programm der Fontana Maggiore in Perugia, Düsseldorf 1968; J. White, The reconstruction of Nicola Pisano’s Perugia fountain, in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”, XXXIII (1970), pp. 70-83; C. Santini (ed.), Il linguaggio figurativo della Fontana Maggiore, Perugia 1996. Sulla storia e il ruolo civico di questa impresa, nel quadro del più vasto rinnovamento urbanistico della platea magna cittadina: M.R. Silvestrelli, Le opere del Comune di Perugia, in Opera, carattere e ruolo delle fabbriche cittadine fino all’inizio dell’età moderna, Firenze 1996, pp. 137-156; Id., “Super aquis habendis in civitate”. L’acquedotto di Montepacciano e la Fontana Maggiore di Perugia, Perugia 1996, pp. 73-161.
[iii] G. Montecchi, s.v. Correggio, Matteo da, in Dizionario Biografico degli Italiani, 29, Roma 1983, pp. 462-464; P. Monacchia, s.v. Ermanno da Sassoferrato, in Dizionario Biografico degli Italiani, 43, Roma 1993, pp. 212-213.
[iv]A.M. D’Achille, “de concedendo magistro Arnulfo de Florentia pro vestrifontis opere postu- latis”. Ancora qualche considerazione sull’attività di Arnolfo a Perugia, in A.M. D’Achille, A. Iacobini, P.F. Pistilli (ed.), Domus sapienter staurata. Scritti di storia dell’arte per Marina Righetti, Cinisello Balsamo 2021, pp. 455-468. Arnolfo di Cambio, il 27 agosto 1277 (Perugia, Archivio di Stato, Consigli e riformanze, 5, 3, ff. 24r-24v), fu sollecitato a recarsi a Perugia per lavorare alla Fontana maggiore, con la licenza di compiere il viaggio ottenuta da Carlo I d’Angiò, al quale i perugini l’avevano richiesta. Questo primo invito probabilmente fu disatteso, e solo nel 1281 si impegnerà per la costruzione della fonte in pede platee.
[v]D. Waley, s.v. Benvenuto da Orvieto, in Dizionario Biografico degli Italiani, 8, Roma 1966, pp. 694-696.
[vi]V. De Donato, s.v. Bartolomeo da Amelia, in Dizionario Biografico degli Italiani, 6, Roma 1964, pp. 684-685.
[vii]D. Waley, s.v. Bentivegna, Bentivegna, in Dizionario Biografico degli Italiani, 8, Roma 1966, pp. 587-588.
[viii]Cit. da A.I. Galletti, Insediamento e primo sviluppo dei frati Minori a Perugia, in U. Nicolini (ed.), Francescanesimo e società cittadina: l’esempio di Perugia, Spoleto 1992, pp. 1-44: 18. Sul tema, anche: A. Czortek, Frati Minori e comuni nell’Umbria del Duecento, in A. Musco (ed.), I Francescani e la politica, I, Palermo 2007, pp. 237-269.
[ix]A. Bartola, s.v. Filippo da Perugia, in Dizionario Biografico degli Italiani, 47, Roma 1997, pp. 754- 756.
[x]Il nome di fra Bevignate, che apparteneva alla congregazione benedettina fondata sul Montefano di Fabriano da san Silvestro Guzzolini (1177 circa – 1267), è anche associato a una delle più importanti fabbriche francescane del XIII secolo in Umbria, la chiesa di San Francesco a Gubbio.