Privacy Policy Fantasmi Metrici: la poesia di Amelia Rosselli
Francesco Brancati Vol. 11, n. 2 (2019) Conoscenza Letture

Fantasmi Metrici: la poesia di Amelia Rosselli

Tombs are full of fools

Who gave their life upon command of

Romance gone wrong

The same old glue

And never coming true, never coming true!

(Stephen Patrick Morrissey)

[…] la sua solitudine è popolata di spettri, e gli

spettri la popolano di solitudine.

(Amelia Rosselli)

 

  1. Lirica e fantasmi del lirico nella poesia della seconda metà del Novecento

In La lenta cancellazione del futuro, lo scritto introduttivo a Ghost of my life, la raccolta di saggi su depressione e futuri perduti pubblicata da Mark Fisher nel 2013 e recentemente tradotta in italiano[1], il critico inglese riconosceva nel concetto di hauntologia coniato da Derrida in Spettri di Marx[2] la forma mentale che ha caratterizzato (e che, per tanti versi, continua a determinare) i processi di produzione e di costruzione di un immaginario nella cultura popolare del tardo Novecento e durante il primo decennio del Duemila. Il termine – il cui significato, in Derrida, si struttura sulla base del gioco di parole tra il verbo «to haunt» (‘infestare’, ‘ossessionare’) e l’ontologia intesa come studio dell’essere, delle sue manifestazioni e persistenze – ruota intorno al concetto di traccia e ha senso in quanto proiettato in una dimensione temporale: «Tutto ciò che esiste è possibile sulla base di una serie di assenze che lo precedono e lo circondano, permettendogli così di acquisire la coerenza e l’intelligibilità che possiede» (Fisher 2019/2013, p. 32). La formula mantiene intatta la sua derivazione jamesoniana, legata alla logica di creazione di significati in absentia tipica della fase postmoderna della cultura occidentale[3] e in questo senso risulta particolarmente adatta ad analizzare opere e codici della contemporaneità come quelli riscontrabili nei romanzi di David Peace, nel trip-hop o nella musica dei Joy Division. Nel concetto di hauntologia è sottintesa una componente di nostalgia per forme, modi e codici del passato, la cui applicabilità risulta incompatibile, da un punto di vista etico, con i meccanismi che regolano il quotidiano e l’esistenza nella contemporaneità. La presenza di posture e di stilemi ereditati dalla tradizione ha finito per generare, nella seconda metà del Novecento una costellazione di revenants e, appunto, di fantasmi, che affiorano dai registri e dalle opere della modernità per infestare le strutture di senso e le produzioni di scrittori, registi, musicisti e poeti dal dopoguerra fino ai giorni nostri.

Spostando il punto di osservazione dalla cultura popolare all’ambito della poesia italiana prodotta nello stesso arco cronologico, mi sembra sia possibile rinvenire una serie di costanti e di procedimenti stilistici alla base della costituzione di un testo i cui esiti possono essere analizzati alla luce dello stesso concetto di hauntologia, secondo una prospettiva di lunga durata che comprende il rapporto intrattenuto da una singola generazione poetica con i padri della generazione precedente e con il loro modo di rivisitare la tradizione ereditata. La questione acquista maggiore consistenza in riferimento al genere cosiddetto lirico, con il quale la poesia italiana, gravata dal peso di una tradizione classicista (la linea ‘monologica’ di Contini), ha finito spesso per identificarsi. L’atteggiamento di ripresa e di reazione a una postura lirica del discorso poetico ha determinato, nel corso del Novecento, un andamento sussultorio, caratterizzato da tentativi di liberazione e di fondazione di un nuovo codice lirico e, al contempo, da operazioni di rifunzionalizzazione del classico, tanto da un punto di vista della postura dell’io, quanto da quello più propriamente stilistico e metrico-formale. Come i critici hanno da tempo stabilito il momento di rottura, in base al quale è preferibile parlare di «persistenza della lirica»[4] – e non, dunque, di semplice esistenza – coincide con il trauma del passaggio, durante gli anni Sessanta, «tra una civiltà contadina e arcaica e la crescita industriale del boom neocapitalistico» (Testa 2005, p. V[5]). I poeti che esordiscono o che realizzano gran parte della loro attività lungo il corso del decennio reagiscono al cambiamento adottando una serie di strategie testuali che contraddistingueranno in maniera netta l’evoluzione del discorso lirico in Italia. I successivi punti di svolta, simbolicamente rappresentati dal 1971 (anno in cui escono libri come Viaggio d’inverno di Bertolucci, Trasumanar e organizzar di Pasolini, Invettive e licenze di Bellezza e Satura di Montale) e dalla fatidica data di ‘chiusura’ del decennio, fatta coincidere con i fatti del Festival di Castelporziano del 1979[6] consentiranno al processo di rifunzionalizzazione del lirico di rimodularsi secondo ragioni estetiche e bisogni sociali in parte diversi da quelle che animavano la poesia degli anni Sessanta.

  1. Petrarca «ideale reale»: il caso di Amelia Rosselli

Tra i poeti appartenenti alla generazione degli anni Sessanta che rispondono al terremoto delle forme del passato realizzando una serie di strategie volte ad acclimatare l’io lirico al nuovo ambiente generatosi dal cambiamento sociale in corso, la poesia di Amelia Rosselli mi sembra possa costituire un esempio particolarmente significativo non soltanto per la qualità degli esiti raggiunti – da tempo ampiamente riconosciuti dalla critica, certificati dalla canonizzazione culminata con la pubblicazione del «Meridiano» Mondadori[7] e dal numero sempre crescente di studi dedicati alla sua opera – ma soprattutto perché le modalità di rifunzionalizzazione del classico nell’opera rosselliana sembrano particolarmente adatti ad esemplificare il processo di hauntologizzazione del passato sopra descritto.

Il dialogo con le forme della tradizione in Rosselli si struttura lungo le linee parallele dell’assenza e della presenza dando significativamente vita a un fantasma e a una tensione protesa verso una forma da raggiungere, in cui è riconoscibile un influsso della codificazione della metrica chiusa dei secoli della tradizione. È infatti possibile rinvenire la persistenza di un elemento diverso rispetto alla linea temporale del presente sia da un punto di vista tematico, in forza della nutrita schiera di morti che popolano i versi rosselliani, quanto su un piano più propriamente stilistico e metrico, nel quale il riecheggiamento di una forma chiusa assume spesso il significato di un ideale argine da contrapporre alla disgregazione del presente, alla perdita e al lutto.

L’allegato alla raccolta, Spazi Metrici composto nel 1962 su sollecitazione di Pasolini[8], definiva il problema della rifondazione di un ambiente metrico chiuso e in grado di oggettivare un contenuto di verità nei termini di un viaggio a ritroso verso le stesse fondamenta della parola, partendo dal nucleo primigenio, dall’elemento «organizzativo minimo nello scrivere» (Spazi Metrici in Rosselli 2012, p. 184): «Una problematica della forma poetica è stata per me sempre connessa a quella più strettamente musicale, e non ho in realtà mai scisso le due discipline, considerando la sillaba non solo come nesso ortografico ma anche come suono, e il periodo non solo un costrutto grammaticale ma anche un sistema» (Spazi Metrici in Rosselli 2012, p. 183). Secondo tale prospettiva la questione metrica nella ricerca di Rosselli è inseparabile da una componente etica, come la stessa poetessa afferma in un’intervista a Giacinto Spagnoletti, a proposito della stesura del poemetto La Libellula: «[…] da circa dieci anni mi rompevo la testa nel tentare varie possibili formulazioni metriche, mai abbastanza rigorose dal mio punto di vista, da potersi considerare come “sistemi” non solo metrici ma anche o quasi filosofico-scientifici e storicamente “necessari”, inevitabili» (Rosselli 2010, p. 85[9]). La forma chiusa diventa allora garante di un’aspirazione alla verità a cui non sono estranee le altre note influenze provenienti dagli studi di teoria musicale post-weberniana, dalle sollecitazioni derivate dall’I-Ching e dalla psicologia junghiana: esperienze nelle quali è possibile intravedere il comune minimo denominatore della perdita e della frattura del cerchio insieme al conseguente bisogno di ricomposizione e rifondazione dell’unità perduta. In questo orizzonte, il classico e il dialogo con la tradizione letteraria italiana diventa l’aspirazione a una totalità mai completamente raggiunta e tuttavia coerentemente inseguita, dal momento che «ritentare l’ideale del sonetto trecentesco è anch’esso un ideale reale» (Spazi Metrici in Rosselli 2012, p. 189).

Un tale «ideale reale» finisce volentieri per coincidere con lo spettro intertestuale di Petrarca, determinando un accostamento della poesia di Rosselli a quel particolare filone della tradizione lirica novecentesca – Paul Celan su tutti – nella quale il riecheggiamento del poeta della fondazione dell’io lirico in senso moderno rappresenta, in termini adorniani, il simbolo di una perduta condizione di umanità. È possibile individuare la figura di un Petrarca-ideale, accostabile alle altre presenze in absentia che costellano la lirica di Rosselli (il padre Carlo e la Madre Marion, Pasolini, Rocco Scotellaro), con le quali la poetessa inscena spesso un confronto teso a ritrovare nel tu-referente di volta in volta rievocato, «nella sua faccia», «il sigillo / della noncuranza e del vuoto armarsi / alla morte senza pensare alla vita!» (Documento in Rosselli 2012, p. 362). Questa tipologia di figure si registra in tutta la produzione dell’autrice e la sua presenza autorizza, in sede di analisi ermeneutica, di concepire in termini di idealità l’influsso avuto da Petrarca sulla poesia rosselliana. La ricezione di Rosselli dell’alieniloquium di Petrarca è, in questo senso, accostabile a quella praticata da altri poeti del nostro Novecento, per i quali Tandello parla di una «via negativa […] crucially mediated by Leopardi […]  through a rare “modern nostalgia”» (Tandello 2007, 301-303[10]) e che oltre a Rosselli comprende almeno le esperienze assai diverse negli esiti di Vittorio Sereni e di Andrea Zanzotto. Rimane tuttavia aperto il secondo punto della questione: in che misura la frequentazione del Canzoniere e degli altri testi della tradizione lirica italiana hanno influenzato la teorizzazione di Spazi Metrici e, in generale, la prosodia e la metrica rosselliane? L’endecasillabo del Canzoniere, con la sua codificata scansione in accenti prevalentemente regolari sembra, insieme al recupero in positivo della forma canzoniere e sonetto, generare una qualche eco all’interno dello spazio chiuso e regolato della serialità metrica di Rosselli.

  1. Documento, il canzoniere mancato

Al netto di una ininterrotta frequentazione di Petrarca a partire dagli anni della formazione poetica in Italia, è Documento, pubblicato da Garzanti nel 1976, l’opera rosselliana che intrattiene i maggiori debiti con un impianto di derivazione petrarchesca. Il libro si struttura come una sorta di canzoniere tanto a livello tematico-ideale, come la stessa Rosselli ha più volte dichiarato («l’ispiratore di questa raccolta è Petrarca. Doveva essere un canzoniere d’amore in sonetti ed è divenuto qualcosa d’altro. Canzoniere d’amore lo è, comunque», Rosselli 2010, p. 175), quanto per ciò che riguarda la costruzione macrotestuale che richiama esplicitamente la forma canzoniere fin dal componimento iniziale, il quale sembra avere una funzione proemiale di sintesi metaletteraria, redatta a posteriori di un’esperienza amorosa ed esistenziale.

Lo stesso titolo, del resto, suggerisce la dimensione biografica e insieme repertoriale del libro, nonostante Rosselli in più di una occasione abbia espresso la propria insofferenza verso un tipo di poesia che insiste sulla sfera privata e basata sulla dualità io-tu (riserve furono espresse da Rosselli anche in merito al «tu» tipico della comunicazione in Montale). Ciò nonostante, in Documento è possibile osservare un incremento significativo del numero di componimenti strutturati secondo una dialettica di tipo binario basata sul rapporto comunicatore-ascoltatore. Seppure l’obiettivo da raggiungere per Rosselli sembra essere sempre quello di una poesia idealmente destinata alla coralità, il problema del destinatario formale in una comunicazione di tipo lirico si avverte con particolare frequenza nella struttura dei singoli testi della silloge e si trova spesso legato alla questione metrico-sintattica, nonché alla figura di Petrarca intesa come ideale sintesi archetipica del problema:

in Documento, il terzo libro, mi ponevo il problema [di] come uscire dal rapporto io-tu: non è che è sempre possibile ma è un problema molto difficile che ci viene anche dalla poesia in genere, specie dall’ermetismo. Infatti, il problema sintattico del verso […] è dedicato, il libro, a Petrarca, in un certo senso, anche se non sono poesie d’amore in gran parte, almeno per il primo terzo del libro, molto formale, molto formalista. Ma i temi sono molti».

(Rosselli 2010, p. 203)

Nella poetica sviluppata dall’autrice durante gli anni Settanta (successivamente confermata dalla ripresa dei modelli elisabettiani in Sleep), l’aspetto formale e quello ideale tendono a coincidere, lasciando intravedere la presenza di una sorta di Ur-Petrarca, modello per una postura lirica maggiormente incline al momento confessionale e di un Ur-sonetto concepito come lo spazio ideale per la dimensione privata dell’io, con inevitabili ricadute sul piano dell’effettiva scansione metrica. Ed è significativo il modo con cui Rosselli parla della composizione dei testi di Documento, insistendo sulla presenza di un «richiamo formale al sonetto senza però obbedire sistematicamente alle regole della composizione dell’endecasillabo» e sullo stesso progetto alla base della stesura del libro, il quale «parte come libro di sonetti finti che richiamino in qualche modo la tradizione petrarchesca, in realtà poi verso metà del libro comincia a sfaldarsi tutto quanto e uso diversi versi. Il programma è una cosa, l’esecuzione cambia col passare del tempo e io per finire quel libro ci ho messo sette anni» (Rosselli 2010, p. 165). E in effetti la raccolta presenta diversi componimenti che possono essere considerati “sonetti” escrescenti in alcune misure oppure privati di una sirma, come, per esempio, Vorrei donarti il mio sangue tutto:

 

Vorrei donarti il mio sangue tutto

ma esso corre in piccoli inestricabili

rivoletti, e non graffia la tua porta

d’entrata con abbastanza tenerezza

per tenerci a galla.

 

O forse sei qua ad accompagnarmi?

Ne ho perso le vie anch’io di questa tua

triste casa. Non vedo altro che luci

e tramonti che a me sembrano diabolici.

 

Hai rime intense per me, non posso

provvedere al caso che tramite questo

tuo essere re delle mie giornate.

(Documento, in Rosselli 2012, p. 315)

 

La poesia richiama esplicitamente la misura petrarchesca anche da un punto di vista grafico (aspetto notoriamente non secondario nella poesia di Rosselli) e non presenta particolari anomalie al di là di un senario aggiunto alla prima sirma e l’assenza dell’ultima stanza; i versi sono tendenzialmente endecasillabici, sia nella misura che per quanto riguarda la sede degli ictus. Sotto un profilo tematico, il componimento può essere definito «una parodia non umoristica del sonetto» (Rosselli 2010, p. 51) condotta attraverso una rivisitazione del linguaggio delle forme metriche che consente di «rifare il sonetto tramite una metrica del tutto non-neoclassica, ma avanzatamene formalista […] un tentativo di portare la lingua ad una sua media» (Rosselli 2010, pp. 51 e 54), e nel quale non sono presenti «elucubrazioni, ad eccezione che nella grammatica che si presenta un po’ squadrata, volutamente, come la forma a sonetto» (Rosselli 2010, p. 54). La volontà di intrattenere un dialogo con il destinatario del componimento è esplicita (vedi l’interrogativa diretta del v. 6) e si struttura secondo una prospettiva di proponimenti e in base a una volontà che pare di avvicinamento dell’io al suo interlocutore espressa al primo verso di ogni quartina e ritrattata nei versi successivi a causa dell’avvertimento di una sensazione di pericolo. Ancora una volta la voce che parla nel testo si scopre sospesa tra due dimensioni, al centro di tensioni diverse e tra loro contraddittorie. L’io sospeso tra paura e bisogno di avvicinamento ricerca un contatto con il proprio interlocutore dai contorni indefiniti, prossimi a quelli di una presenza hauntologizzata: l’incontro può prevedere il passato e rivelarsi di conseguenza pericoloso per il soggetto poetico.

Ed è attraverso questo alternarsi di differenti flussi di energia che il verso di Rosselli si struttura, nella costante ricerca di un bisogno di ordine che da Variazioni Belliche a Documento troverà realizzazione mediante soluzioni formali e tematiche anche assai diverse fra loro, ritentando l’equilibrio ideale della tradizione secondo modi unici per la poesia italiana della seconda metà del Novecento.

 

[1] Fisher, M. (2019/2013). Spettri della mia vita. Scritti su depressione, hauntologia e futuri perduti. traduzione di Vincenzo Perna, Roma: Minimum fax (Fisher, M. Ghosts of my life. Writings on Depression, Hauntology and Lost Futures. Lanham: John Hunt).

[2] Derrida, M. (1994/1993). Spettri di Marx, traduzione a cura di Gaetano Chiurazzi. Milano: Raffaello Cortina (Derrida, J. Spectres de Marx, Paris: Galilée).

[3] Jameson, F. (1991/2007). Postmodernismo, ovvero la logica culturale del tardo capitalismo, con una prefazione dell’autore, postfazione di Daniele Giglioli. Roma Fazi. (Jameson, F. Postmodernism, or, The Cultural Logic of late Capitalism, Durham: Duke University Press, traduzione di Massimo Manganelli).

[4] Giovannuzzi, S. (2012). La persistenza della lirica. La poesia italiana nel secondo Novecento da Pavese a Pasolini. Firenze: Società Editrice Fiorentina.

[5] Testa, E. (Ed). (2005). Dopo la lirica. Posti italiani 1960-2000. Torino: Einaudi.

[6] Vedi a proposito Mazzoni, G. (2017). Sulla storia sociale della poesia contemporanea in Italia, «Ticontre. Teoria Testo Traduzione», [S.l.], n. 8, pp. 1-26, novembre 2017. Retrieved October, 25, 2019 http://www.ticontre.org/ojs/index.php/t3/article/view/236.

[7] Rosselli, A. (2012). L’opera poetica. Stefano Giovannuzzi (Ed.), con la collaborazione per gli apparati critici di Francesco Carbognin, Chiara Carpita, Silvia De March, Gabriella Palli Baroni, Emmanuela Tandello. Saggio introduttivo di Emmanuela Tandello. Milano: Mondadori.

[8] Su Spazi Metrici vedi almeno Colangelo, S. (2002). Metrica come composizione. Bologna: Gedit; Carbognin, F., (2008). Le armoniose dissonanze. “Spazio metrico” e intertestualità nella poesia di Amelia Rosselli. Bologna: Gedit: Giovannuzzi, S. (2016). Amelia Rosselli: biografia e poesia. Novara: Interlinea (in particolare le pp. 47-77).

[9] Rosselli, A. (2010). È vostra la vita che ho perso. Conversazioni e interviste 1964-1995. Monica Venturini e Silvia De March (EDS.). Prefazione di Laurea Barile. Firenze: Le Lettere

[10] Tandello, E. (2007). Between Tradition and Transgression: Amelia Rosselli’s Petrarch in Petrarch in Britain. Interpreters, Imitators, and Translator over 700 years. McLaughlin, M., Panizza L., Hainsworth, P. (Eds.) London: Proceedings of the British Academy 146.

 

Francesco Brancati è dottorando in Studi italianistici presso l’Università di Pisa. Si occupa di Letteratura del Cinquecento (Ariosto, Berni, Boiardo) e di poesia e prosa della seconda metà del Novecento (Rosselli, Benedetti, Bolaño, Orelli). Suoi saggi, testi e poesie sono apparsi su riviste accademiche come «L’Ulisse», «Contemporanea», «Carte romanze», «Italianistica» (di cui è redattore) e su litblog come «Le parole e le cose», «Il primo amore», «Officina poesia Nuovi Argomenti», «La balena bianca», «formavera» e altri. È coautore del libro di poesia Hula apocalisse (Prufrock SPA, 2018).

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