Dedicarsi alla sociologia dello straniero deve aver costituito, per Robert Michels (Colonia, 1876 – Roma, 1936), un compito in cui interesse scientifico ed esperienza personale si sono alimentate a vicenda. Ciò riveste sempre un gran fascino per il lettore, che, tra le pieghe di riflessioni teoriche distaccate e neutrali, riesce a scorgere nello studioso l’uomo. E può persino suscitare il desiderio, come tenteremo di fare, di applicare all’uomo le categorie analitiche elaborate dallo studioso, con l’intento di comprendere meglio entrambi.
Michels, noto soprattutto per aver individuato la “legge ferrea dell’oligarchia” che opera all’interno dei partiti democratici moderni (1911; 1912), nasce nel cuore della Germania imperiale, a Colonia, nel 1876, ha una formazione cosmopolita, che lo porta a viaggiare e a frequentare corsi in più atenei e in più paesi, tra cui, oltre al proprio, Francia, Svizzera e Italia (Genett, 2008; Malandrino, 2010). Nel Balpaese, precisamente a Torino, si traferisce già nel 1907, ottenendo un incarico di insegnamento universitario (Tuccari, 2007). Questa circostanza può portare a supporre che avesse un interesse principalmente lavorativo, o una convenienza, per sportarsi dalla Germania all’Italia, dato che la legislazione del suo paese natio prevedeva ostacoli discriminatori nella carriera universitaria per chi fosse iscritto al partito socialdemocratico tedesco (SPD), come egli era sin dal 1902. Ma la sua vita testimonia che, nella scelta di vivere in Italia, c’era ben altro oltre alle aspirazioni di carriera, possiamo riscontrare attrazione, sentimento, senso di appartenenza. La figlia primogenita chiamata Italia nel 1900, vari anni prima del suo trasferimento, ne è un segnale precoce ed eclatante. Coerentemente, iniziò le pratiche per la richiesta di naturalizzazione italiana nel 1913, iter che si concluse nel 1921, quando l’acquisizione dello status giuridico di cittadino italiano sancì quando già era avvenuto nell’animo e nelle propensioni. Significativo che poco dopo, in un suo volume del 1927 dedicato alla Francia contemporanea, si autodefinì «toto corde», cioè con tutto il cuore, e «senza restrizioni, cittadino d’Italia», con una cittadinanza «liberamente voluta e liberamente professata». Altro elemento di interesse nella sua vicenda biografica, che ne motiva una considerazione in «Studi Umbri», è l’esser stato professore ordinario di Economia generale e corporativa nella Facoltà di Scienze politiche dell’Università degli Studi di Perugia, dal 1928 fino alla morte, avvenuta nel 1936. Si tratta dell’attività degli anni più maturi, avvenuta facendo centro nella nostra regione. In quest’ottica, dopo lavori di riferimento promossi dalla ricerca nell’Ateneo di Perugia (es. Furiozzi, 1984; Michels, 2009), è stata appena pubblicata la miscellanea promossa dal Centro di Ricerca in Sicurezza Umana (CRISU) del Dipartimento di Filosofia, Scienze Umane, Sociali e della Formazione, per la cura di Raffaele Federici, Robert Michels. Un intellettuale di frontiera (Meltemi, Milano, 2020).
Robert, o meglio, Roberto Michels, dato che dal suo arrivo nel Belpaese preferì italianizzare anche il nome, dispone dunque di una competenza e una sensibilità particolari per addentrarsi nell’analisi teorica del tema dello straniero: in fondo anch’egli è stato un “migrante”, che ha abbandonato la patria d’origine per una d’adozione, l’Italia, nella quale compì un percorso completo di integrazione, giuridica e sentimentale, pur mantenendo legami col mondo culturale tedesco.
La sua formazione in metodologia delle scienze sociali, che risente degli insegnamenti weberiani e paretiani, lo porta a trattare l’argomento ricercando rigore scientifico, oggettività e avalutatività, ma, nonostante questi siano i toni prevalenti, è possibile cogliere sfumature di coinvolgimento, che aggiungono interesse per una rilettura del suo contributo. Va rilevato che il saggio michelsiano sullo straniero apparve prima in rivista, e in lingua tedesca, nel 1925, poi andò a costituire il terzo capitolo del volume Prolegomena sul patriottismo, pubblicato sia in tedesco sia in italiano, rispettivamente nel 1928 e nel 1933. Questo scritto, dopo la prima traduzione italiana di Raffaele Federici (2014: https://interculturalita.it/?p=880), è stato pubblicato nel 2017 in un prezioso volume dei tipi torinesi di Aragno, con la cura e la prefazione di Francesco Perfetti (2017).
L’apporto forse di maggiore rilievo teorico dello studio michelsiano sullo straniero, è costituito dall’elaborazione di una classificazione delle varie tipologie riscontrabili, sulla scorta dei “tipi ideali” weberiani, che si basa su due elementi chiave, la cittadinanza, intesa come status giuridico, e la nazionalità, intesa come sentimento di appartenenza e come aspetti culturali e psicologici che legano a un paese.
Di questi due elementi vengono esplorate tutte le combinazioni possibili, delineando quattro principali categorie, numerate in sequenza: 1. Coloro in cui cittadinanza e nazionalità coincidono dalla nascita, che non sono quindi stranieri, ma che occorre tener presenti come termine di raffronto e di cui Michels sottolinea la relatività di condizione: non sono stranieri, «fintantoché i suoi membri non vadano all’estero» (2017: 5), perché ognuno di noi può diventare straniero appena attraversa un confine; 2. Gli “irredenti”, cioè coloro che sentono di appartenere a una patria, che è sottomessa a uno Stato straniero, di cui hanno quindi la cittadinanza giuridica, ma non la nazionalità; 3. Gli stranieri “veri e propri”, cioè coloro che emigrano e si stabiliscono a vivere all’estero, distinguibili in tre sottocategorie, a) quelli che per sentimento e cittadinanza rimangono legati al paese di origine, b) quelli che acquisiscono la cittadinanza del paese di accoglienza, spesso per motivi di interesse e convenienza, ma non sviluppano un corrispondente senso di appartenenza al nuovo paese, c) quelli che incrementano gradualmente i sentimenti di legame alla nuova patria, con una adesione interiore e psicologica e, di conseguenza, giungono a chiederne e acquisirne anche la cittadinanza giuridica; 4. Coloro che mantengono la cittadinanza del paese di origine, per riguardo ai parenti lì rimasti, o perché non si curano degli aspetti formali e giuridici, ma, d’altro canto, arrivano a legarsi culturalmente e sentimentalmente al nuovo paese; di loro si può dire «che hanno cambiato nazionalità senza cambiar cittadinanza» (2017: 5). Infine, fuori numerazione, Michels tratta della categoria dei “senza patria”, ampia, poco considerata, ma «ben degna di considerazione sotto l’aspetto sociologico» (ibid.). Aldilà delle distinzioni interne ad essa, ciò che accumuna i sans patrie è non avere una affatto una nazionalità o l’essere oscillanti, in sospeso, tra più di una nazionalità, come lo sono i cosiddetti “sujets mixtes”.
Roberta Cipollini (2002, p. 11) ha utilmente cercato di reinterpretare e semplificare questa complessa tipologia, rappresentandola in una tabella a doppia entrata, dato che abbiamo a che fare con due variabili, la cittadinanza giuridica e l’appartenenza psicologica (nazionalità), e applicando delle denominazioni alle categorie che risultano dagli incroci, in modo che siano identificabili con maggiore immediatezza. La scelta operata dalla studiosa italiana è quella di tralasciare gli stranieri solo potenziali e gli “irredenti”, quindi le numerazioni 1 e 2 della teorizzazione michelsiana, per concentrarsi sui casi 3, comprensivo delle declinazioni interne, e 4, con una possibile estensione ai “senza patria”.
Nuova cittadinanza | Vecchia cittadinanza | |
Appartenenza psicologica | Integrato | Marginale |
Estraneità psicologica | Diviso | Escluso |
Lo straniero integrato è un individuo che ha maturato un forte sentimento di appartenenza psicologica al paese in cui si è trasferito a vivere, e ne ha acquisito anche la cittadinanza giuridica; ha fatto proprie norme e valori culturali del nuovo paese e, attraverso un processo di adattamento, le ha prese a proprio punto di riferimento stabile. Lo straniero integrato ha perso progressivamente la condizione di estraneità iniziale per diventare parte integrante della comunità che lo ospita. Del suo essere straniero rimane traccia solo nel nome e cognome (se non viene adattato) e nella storia delle proprie origini.
Lo straniero marginale si riferisce a coloro che, pur essendosi ben inseriti nel nuovo paese di accoglienza e adattati al suo modello culturale, non ne hanno ancora ottenuto la cittadinanza giuridica. Questo tipo di straniero ha acquisito e condivide norme e valori, lingua e costumi della società di insediamento, ma, non avendo lo status legale di cittadino dello Stato in cui vive, si trova in una condizione di marginalità, instabilità e mancata partecipazione ad alcuni aspetti della vita comunitaria del paese, come quelli riguardanti il poter far parte dell’elettorato attivo e passivo.
Lo straniero diviso si riferisce a quella persona che, pur avendo acquistato la cittadinanza giuridica dello Stato in cui si è trasferito, non ha ancora sviluppato, o non intende sviluppare, un adattamento culturale ai valori della società di insediamento, né un sentimento di appartenenza ad essa, pertanto è caratterizzato da una condizione di estraneità psicologica, motivata dai legami ancora forti con la cultura di origine.
Il quarto tipo è lo straniero escluso, un individuo che si trova a vivere in un paese, diverso da quello di origine, senza aver sviluppato sentimenti di appartenenza psicologica e culturale ad esso e senza averne acquisito i diritti di cittadinanza. In questo tipo di straniero siamo di fronte a una esclusione dal punto di vista giuridico, e a una esclusione, che può essere anche autoesclusione, cioè mancanza di volontà di integrarsi e non solo distanziamento da parte degli autoctoni, dal punto di vista culturale. Degli stranieri esclusi, in cui mancano sia nazionalità che cittadinanza del paese di accoglienza, possono far parte sia coloro che rimangono legati, sotto entrambi tali aspetti, al paese di origine, sia coloro che non si riconoscono più e non hanno sentimenti di appartenenza né per la società che li ospita né per la società di provenienza, che Michels definisce, come abbiamo visto, “senza patria”.
Pur nella “asetticità” della presentazione dei diversi tipi di straniero, lo studioso di Colonia mette in guardia dal “lato pericoloso” dei cambiamenti di cittadinanza senza corrispondente adesione psicologica e sentimentale al nuovo paese, sia che essi siano frutto di politiche di “assimilazione forzata”, sia che siano operati spontaneamente, ma per «solo per motivi di convenienza» (2017: 4). Notiamo quindi un sfumatura critica nei confronti del tipo 3b, che nella rielaborazione di Cipollini corrisponde allo straniero “diviso” e pertanto, si potrebbe aggiungere, poco propenso a lealtà e affidabilità verso il paese che pur gli ha concesso il riconoscimento giuridico della cittadinanza.
Tutt’altra considerazione trapela dall’analisi del caso 3c, che in Cipollini diventa lo straniero “integrato”: è colui che ha «elasticità e facilità di adattamento», una mente aperta e duttile quindi, che si lascia compenetrare «dalla bellezza e dai valori culturali della nuova patria», giungendo a «una nuova orientazione dei […] sentimenti» (2017: 4) e compiendo un percorso graduale, credibile e degno di rispetto, in cui prima matura un senso di appartenenza, una partecipazione a livello di “affinità elettive” al nuovo paese, e solo dopo, coerentemente, si completa il cammino di integrazione con l’acquisizione della cittadinanza giuridica. Se si esaminano le vicende di vita dello studioso di Colonia, è evidente che egli ricada esattamente nel tipo sopra descritto dello straniero integrato, e non è un caso, pertanto, che il saggio si concluda con una specie di apologia e valorizzazione di questa figura sociale, non ben compresa in epoca di nazionalismi estremi e di antagonismi nazionali, quale è il periodo tra le due guerre mondiali, in cui si guarda con sospetto chiunque sia tacciabile di doppiogiochismo. Michels da un lato è “più realista del re”, attentissimo a far emergere potenziali situazioni di slealtà o ambiguità e a non favorirle, come quando prende apertamente posizione contro la possibilità della doppia cittadinanza, per la quale evoca «il postulato dell’inammissibilità assoluta» (2017: 127); dall’altro spende parole di sentito apprezzamento per chi cambia paese, impegnandosi in buona fede in un cammino lungo e spesso accidentato verso una nuova integrazione, con sincera adesione di sentimenti verso il paese di accoglienza, come del resto lui stesso aveva fatto.
«L’amore dello straniero, del cittadino adottivo, per la sua patria di adozione ha talvolta particolare purezza e disinteresse» (2017: 127); in tali casi, quando egli arriva a ottenere la cittadinanza politica, dopo lunghe attese, spese e sacrifici, essa acquista un valore particolare, come qualcosa di prezioso e desiderato, che comporta al tempo stesso una accresciuta vulnerabilità, di cui si deve saper sostenere il peso. Infatti il nuovo cittadino può continuare ad apparire estraneo ai suoi concittadini acquisiti, soprattutto se ancora l’accento della lingua svela le origini lontane, mentre, d’altra parte, può essere considerato un transfugo se non un traditore della patria dai suoi antichi connazionali. A ben vedere, anche lo straniero che completa il percorso di integrazione per nazionalità e cittadinanza, può avere dei problemi di accettazione e riveste una posizione in società più vulnerabile e difficoltosa rispetto all’autoctono. Nella scelta sensibile delle parole, nella capacità di penetrazione di una complessità di condizione, si scorge l’uomo Michels, che alimenta con l’esperienza vissuta le elaborazioni teoriche dello studioso, e, forse, vuole anche difendere le proprie scelte. Lo straniero leale e sinceramente integrato, quale egli è – rimarca in conclusione del saggio – «costituisce un tipo di cittadino ottimo, forse superiore alla media degli stessi suoi nuovi connazionali, i quali per appartenere alla medesima comunità nazionale non hanno avuto altro merito che quello di nascere» (2017: 128).
Robert Michels sociologo: gli anni giovanili, progetto finanziato con il Fondo Ricerca di Base 2018 dell’Università degli Studi di Perugia.
Bibliografia
Cipollini R. (a cura di) (2002), Stranieri. Percezione dello straniero e pregiudizio etnico, FrancoAngeli, Milano.
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Federici R. (2014), Metus Xenos. Un mondo in movimento, in «Studi Interculturali», 6, 3, pp. 7-14, https://interculturalita.it/?p=880.
Furiozzi G.B. (a cura di) (1984), Robert Michels tra politica e sociologia, Centro Editoriale Toscano, Firenze.
Genett T. (2008), Der Fremde im Kriege. Zur politischen Theorie und Biographie von Robert Michels 1876-1936, Akademie Verlag, Berlin.
Lenzi F.R. (2020), La questione dell’identità nell’incontro con l’altro in Robert Michels, in Federici R. (a cura di) (2020), Robert Michels. Un intellettuale di frontiera, Meltemi, Milano, pp. 177-191.
Michels R. (1911), Zur Soziologie des Parteiwesens in der modernen Demokratie, Werner Klinkhardt, Leipzig; edizione italiana (1912), La sociologia del partito politico nella democrazia moderna, Utet, Torino.
Malandrino C. (2010), Michels, Roberto, in Dizionario Biografico degli Italiani, 74, Treccani, Roma: https://www.treccani.it/enciclopedia/roberto-michels_%28Dizionario-Biografico%29/.
Michels R. (1925), Materialien zu einer Soziologie des Fremden, in «Jahrbuch für Soziologie», I, pp. 296-319.
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Michels R. (1928), Der Patriotismus: Prolegomena zu seiner soziologischen Analyse, Duncker & Humblot, München-Leipzig; edizione italiana (1933), Prolegomena sul patriottismo, La Nuova Italia, Firenze.
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Tuccari F. (2007), Una città di idealisti e scienziati. Robert Michels a Torino 1900-1914, in «Annali di storia moderna e contemporanea», XIII, 2007, pp. 125-175.
Marta Picchio, PhD, è ricercatrice di Sociologia generale presso il Dipartimento di Filosofia, Scienze sociali, umane e della formazione dell’Università degli Studi di Perugia. Tra i suoi interessi di ricerca, i classici della Sociologia, la Sociologia dello straniero, della cittadinanza e dei diritti umani (marta.picchio@unipg.it).