Privacy Policy Comprendere un autore attraverso l’esempio di Cecco Angiolieri
Luca Peverini Vol. 13, n. 2 (2021) Culture Letture

Comprendere un autore attraverso l’esempio di Cecco Angiolieri

«Cecco Angiolieri nacque pieno dodio a Siena, lo stesso giorno di Dante Alighieri a Firenze».1 Così esordisce Marcel Schwob nel breve tracciato biografico di Cecco Angiolieri, contenuto ne le sue Vite Immaginarie, opera del 1896. Il valore di queste poche pagine non è da ricercarsi tanto nella quantità di informazioni estraibili, poche sono di fatto le fonti utilizzate (la principale è l’antologia del 1892 Dante and his Circle with the Italian Poets Preceding him curata da Dante Gabriel Rossetti, poeta preraffaellita), ma piuttosto nella qualità del ritratto fornitoci. Schwob è da subito chiaro e incisivo: Cecco Angiolieri non nacque semplicemente nel comune senese, lui « nacque pieno dodio a Siena ». È da considerarsi quantomeno significativo che lo scrittore simbolista ponga da subito laccento sul carattere livoroso del poeta, tratto a lui forse caro poiché riscontrabile anche in certi poètes maudits, insieme alla povertà o allatteggiamento da « sventurato » (così ama definirlo quasi con affetto Alessandro dAncona, il primo a pubblicare nel 1874 una monografia2 dedicata al poeta). Ma al di là dei motivi che muovono linteresse di Schwob verso il poeta senese, ciò che per noi è rilevante sta nel come è percepito il poeta, certo in maniera estremamente diretta e pungente nella sinteticità dellesordio. La rapidità informativa con cui da subito prendiamo contatto con Cecco Angiolieri ne denota la marcata percezione che si ha di lui, allora come ora. Infatti, dopo averlo contestualizzato nel tempo e nello spazio (siano pure contestabili il giorno e lanno esatto della nascita), ci è subito fornito, come dato biografico di pari importanza, il tratto di maggiore spessore nel profilo psicologico, nonché di riflesso anche artistico, del poeta: il carattere astioso e rancoroso. Ed è bene tenere a mente questa sua attitudine alla violenza e alla zuffa, sia fisica (si pensi alla partecipazione ad una rissa riscontrabile in documenti darchivio senesi, i Libri di Biccherna3, databili 1291) che verbale (nota la tenzone con Dante Alighieri e il sonetto CX: Dante Alighier, s’i’ so’ buon begolardo4, a lui indirizzato) quando si vuole parlare di Cecco Angiolieri. Ma come è rilevante questa caratteristica, si potrebbe dire con cautela negativa”, è altresì importante stare ben attenti a non racchiudere il personaggio interamente in una bolla dodio, finendo per identificarlo unicamente come lemblema dellastio reale e poetico. Cecco Angiolieri seppe essere anche altro e prima di tutto fu umano e come tale fu legato alle tematiche più strettamente terrene, come quella del riso e dello sbeffeggiamento. Fu però in grado, di tanto in tanto, di tendere anche verso altro, non senza vergogna, come al pianto. Un carattere irascibile abbiamo detto, fragile dobbiamo aggiungere. « È uno sventurato che piange – suggerisce il dAncona nel già citato saggio del 1874 – e se anche è egli stesso principale autore dei suoi guai, noi ci sentiamo uomini, e, come uomini, commossi alle sue sventure; quando sotto la sferza della sorte nemica, conficcato nellabbietezza dai chiodi roventi delle male brigate, della penuria del denaro e dellamore colpevole, lo vediamo ancora scherzare e ridere, nel mentre stesso che dal ciglio gli cade una lacrima di dolore, e forse di vergogna, anche noi, se abbiamo cuore, pur atteggiando in virtù dei detti il labbro al sorriso, nellintimo del cuor nostro deploriamo un sì bel fiore dingegno e di gioventù, appassito dalle mortifere aspirazioni dellodio […] Tanto più che forse la vita squallida e le voluttà e il tedio ben presto lo trassero al sepolcro ».5 Un poeta in grado quindi di generare empatia nel lettore, di coinvolgerlo emotivamente nella sua vita privata e nella sua realtà, dura quanto umana. Una realtà nella quale un lettore onesto non può che riconoscersi, se non nella totalità, almeno in alcuni tratti. Si deve quindi necessariamente tenere conto di tutte le sfaccettature che compongono il quadro complessivo di un poeta troppo spesso ancorato alla mera realtà terrena: dai suoi connotati psicologici agli ambienti che sembrò solito frequentare, dallo stile etichettabile come comico-realisticoalla silenziosa e vergognosamente nascosta tendenza all’emotività.

Va tenuto a mente, di certo va considerato, con attenzione però. Perché la percezione di Schwob e del dAncona, una percezione moderna e romantica e troppo spesso affine anche al nostro punto di vista, non è del tutto esatta. Quanto della sua produzione poetica si può rintracciare nella sua vita? E se non fosse che finzione e rifugio la sua letteratura? Se il poeta livoroso fu in realtà un uomo colto e un letterato? Con questi interrogativi deve muoversi la critica nei confronti di Cecco Angiolieri e non solo: dovremmo approcciarci ad un qualsiasi autore nella speranza di restituire un quadro il meno falsato possibile da una lettura emotiva”. Si deve piuttosto andare nella direzione delloggettività, di unoggettività che deve prescindere dalla sensibilità contemporanea, dal vizio del lettore moderno di adeguare la letteratura ai gusti della propria epoca. Perché Cecco Angiolieri fu poeta livoroso, ma non solo: è il dato biografico che cambierà la nostra prospettiva.

Da una nobile famiglia guelfa di Siena, intorno al 1260, nacque Cecco Angiolieri. Lisa deSalimbeni, la madre, appartenente alla più alta aristocrazia senese; Angioliero degli Angiolieri, il padre, un padre modello sarebbe da dire: ricoprì due volte la carica di signore del Comune ed entrò nellordine dei Cavalieri di S. Maria. Questo è il contesto culturale in cui cresce il giovane Cecco Angiolieri, immerso sin dalla nascita nellalta società senese. Delle poche informazioni biografiche che si hanno dell’Angiolieri questo è un dato certo interessante se si considerano le sue future scelte di vita, nonché poetiche (il comico-realismo, il gioco d’azzardo, la taverna, il denaro e le donne da lui cantate in poesia sembrano cozzare con l’elevata estrazione familiare). Lo diviene ancora di più se si sceglie di mettere a confronto lestrazione sociale del senese con quella di taluni poeti appartenenti al movimento poetico opposto, lo stilnovismo. Non ci si dovrà però sorprendere nello scoprire che Cecco di Messer Angioliero Angiolieri, poeta comico-realista, fu alla nascita facoltoso e di buona famiglia al pari, se non più, dei poeti fiorentini stilnovisti. Non gli mancò quindi modo di accedere allo studio e allistruzione: conobbe la poesia provenzale e siciliana e siculo-toscana e stilnovista, prima ancora di entrare in contatto con la poesia goliardica mediolatina e di divenire uno degli iniziatori della poesia comico-realistica di ambito toscano. Fu un uomo quindi colto, dato che si deve tenere a mente quando si vuole parlare della sua produzione poetica, quello che volle lodare la taverna e i suoi vizi.

È infatti sufficiente ricordare che Cecco di Messer Angioliero Angiolieri ebbe modo di accedere allistruzione e allo studio per comprendere come, nellapprocciarsi a tale letteratura nuova, si mosse con serietà letteraria e impegno culturale e coscienza stilistica. Non uno sprovveduto dunque, luomo che raccolse in sé (conoscendo ad esempio, come abbiamo detto, pure la poesia stilnovista) la poetica goliardica, consapevole della preparazione retorica dei suoi autori e conscio della propria. Attinge ai ben più antichi motivi antifemministi e misogini riproposti dai clerici vagantes senza disdegnare di far propri i nuovi: la donna, la taverna, il dado, la povertà, il denaro (parole angiolaresche particolarmente riecheggianti, espresse nel noto sonetto Tre cose solamente mi so’ in in grado6). E vi attinge ereditandone non solo i contenuti ma anche gli atteggiamenti, stilistici e morali, riproponendo con stile mezzano certi loro modi di esprimersi che, nellirriverenza e nella sensualità, non poterono che esercitare su di lui un grande fascino.

Nello studio dell’Angiolieri uomo si devono però intenzionalmente escludere i dati in riferimento alla sua passione per il gioco o ai rapporti con il padre o ancora a quelli con l’amata Becchina: sono dati pseudo-biografici che rintracciamo unicamente nella sua produzione poetica. Dati meno propriamente biografici e più propriamente letterari, desumibili dalle rime e sicuramente viziati dallinclinazione psicologica del poeta. Questa posizione è presa anche in virtù di quanto afferma Maurizio Vitale in Rimatori comico-realistici del Due e Trecento e con la quale si concorda a pieno: « Tutto ciò che oltre si è scritto da parte di taluni critici che hanno assunto come dato storico la rappresentazione che di sé medesimo dà Cecco nelle sue rime (la sua accesa inclinazione al gioco e alla crapula, il suo amore terreno e violento e infelice per Becchina, la sua povertà estrema, i suoi contrasti crudeli con il padre) non ha […] il suffragio di nessun elemento concretamente storico e resta solo, quella rappresentazione, lespressione della personalità poetica dellAngiolieri che certo va spiegata e deve essere spiegata con un indispensabile riferimento alla vicenda umana e terrena del rimatore, che la sua arte ha deformato ed esagerato, atteggiandola nei modi della tradizione giocosa, ma non certo annullato né falsato, forse, nellessenziale».7

Questa è la chiave di volta per tracciare uninterpretazione complessiva dellAngiolieri, nonché un fondamentale strumento interpretativo per esaminare un autore qualunque. Di questo, più che dell’emotività del poeta (di cui si può tener presente ma che, ahimé, non è dato storico) e più di moderne e forzate interpretazioni, dobbiamo far tesoro. È fondamentale, nel corso della discussione intorno alla figura di Cecco Angiolieri (e come è stato specificato, di chiunque), stare ben accorti a non sovrapporre il dato storico al dato poetico in maniera forzata, al fine di leggervi ciò che vorremmo leggere. Dovremmo cioè evitare di ricercare ossessivamente nei pochi dati biografici qualcosa in grado di rassicurarci, di confermarci che lAngiolieri fu proprio come lo descrisse Schwob: un maledetto e un uomo di taverna. Va ripetuto molte volte, tutte quelle che saranno necessarie, a rischio di risultare esasperanti e sgradevoli a chi ha sempre visto Cecco come uno scapigliato. Nessuno si offenda, questo non dovrà necessariamente significare che Cecco Angiolieri non poté fare esperienza di quanto nella poesia è raccontato. Vorrà piuttosto dire che i fini poetici del senese e i mezzi opportuni per raggiungerli dovranno avere più rilevanza nello studio del rimatore di quanto in vita realizzò di affine alla poesia.

Vale la pena chiarire una questione, che certo viene ribadita implicitamente nella produzione poetica del Nostro: la poesia di Cecco Angiolieri non è propriamente popolaresca, nonostante il destinatario potrebbe apparire popolare, poiché è regolata da retorica. Lo stile mezzano e i contenuti che esso esprime la pone certo in antitesi e in concorrenza e si dica pure in conflitto con la poesia di stile alto. Ma non si dica, non è dato farlo e difficilmente si potrebbe trovare qualche appiglio, che è una scelta dettata dalla mancanza di mezzi retorici o culturali (sia tenuta a mente l’estrazione sociale). È piuttosto una posizione letteraria, che porta con sé la cosciente responsabilità di aver intrapreso una via poco battuta, a guidare le scelte stilistiche e poetiche. È una visione del mondo originale che, nella tensione al riso e alla burla e nel desiderio di saggiare terreni nuovi, vuole proporre Cecco Angiolieri, pur inserendosi in una suggestiva tradizione, come a rivendicarne lautorità. In questa riflessione bisogna giustificare, se mai ce ne fosse il bisogno, qualsiasi atteggiamento etichettabile come blasfemo e il lessico apparentemente plebeo ma sempre ardito e vario. Nella necessità di penetrare nei più umili aspetti della vita emerge linsofferenza verso il metafisico o lastratto o limpalpabile e lamore per il concreto o il terreno o, nellaccezione del contesto, il realistico. Come la donna angeloriconquista fisicità nella femmina comica, così Cecco sente il peso del creato e si ritrova inconsapevolmente a idealizzarlo, nel tentativo estremo di radicarsi alla terra e cantarne gli umili protagonisti profani. Con le parole di Mario Marti (Cultura e stile nei poeti giocosi del tempo di Dante) riassumiamo e fissiamo i concetti appena espressi, ricordando che « se lamor cortese è un’idealizzazione letteraria, non lo è meno lamor profano, e che limportanza […] di Cecco sta soprattutto nellaver donato ad una nascente letteratura i toni giocosi, adattando al lessico, alla sintassi, allo stile della nuova lingua letteraria la preparazione che a loro volta derivava appunto dalla cultura, dalla tradizione ». 8

Erano passati circa quarantanni dalla morte di Cecco Angiolieri, quando Giovanni Boccaccio volle ricordarsi di lui. Ed eccolo, raccontato nel Decameron (IV novella della IX giornata)9 per bocca di Neifile: un uomo frodato, ingannato, spogliato della sua scaltrezza, ingannato dal compagnuccio di disavventure, tal Cecco di Fortarrigo. Un uomo che insomma appare del tutto inadeguato a rappresentare la poesia di cui si è fatto cantore. Solo uomo, non poeta. Ma nel corso di questo breve scritto abbiamo provato a presentare un Cecco diverso, a convincerci, a convincere il lettore, che Cecco Angiolieri fu uomo, poeta, letterato. A malincuore abbiamo dovuto abbandonare lidea di un poeta maledetto ante-litteram. A malincuore dico, perché si riconosce come sia intrigante lidea e affascinante un personaggio del genere, ma i documenti biografici non ci possono permettere di avanzare tale suggestiva ipotesi. Non possiamo lasciarci traviare da una nostra personale sensibilità moderna, una sensibilità che non fu sua, che non gli appartenne. Di contro, abbiamo potuto comprendere che fu un uomo di cultura, un letterato a tutti gli effetti. Studiò ed ebbe modo di dimostrarlo nella sua produzione poetica, la poesia di un uomo che ebbe la buona intuizione di guardarsi tuttintorno e indietro, rielaborando modelli a lui convenevoli e conoscendo comunque quelli che volle scartare. E da queste due considerazioni abbiamo appreso unaltrettanto importante informazione, adeguata a questo contesto ma di cui far tesoro nellapprocciarsi a qualsiasi autore di qualsiasi epoca: la vita di un uomo non coincide con la poesia dello stesso. Talvolta possono sovrapporsi, in alcuni casi sicuramente luna può influire sullaltra ma mai le due cose si devono far coincidere, come fossero un tuttuno. Scindere le due cose per esaminarle in maniera distinta, riunirle per avere poi un quadro complessivo del personaggio in quanto uomo e in quanto poeta. Ma mai lasciare che una condizioni laltra e ci porti sulla cattiva strada: commetteremmo errori di principio, ci approcceremmo allopera letteraria già condizionati dalla vita delluomo o, viceversa, andremmo a cercare minuziosamente quanto della letteratura si può rintracciare nella sua vita, forzando una lettura che non sarebbe più critica e che tralascerebbe quanto di concreto si ha per tracciare uno studio sincero, le fonti. E se le fonti sulla vita dellAngiolieri furono assai poche, per fortuna abbiamo molto della sua produzione di cui possiamo leggere e giovare. E lesame delle tematiche che guidarono Cecco, dei modelli di cui non volle dimenticarsi, dello stile che considerò calzante alla resa di tali motivi, hanno tutti lobiettivo di restituire una personale visione del mondo, una percezione propria e originale, che non si identifica in maniera biunivoca con la vita che condusse in quel mondo, non dalle informazioni che abbiamo.

Tutti i ragionamenti che abbiamo fatto vertono su un obiettivo: dimostrare la dignità letteraria e il valore della produzione di Cecco Angiolieri, considerando dell’uomo, oltre che del poeta, solo e unicamente i dati biografici oggettivi, escludendo qualsiasi versione ‘romanzata’ del personaggio.
Le considerazioni sull’Angiolieri sono però estendibili a qualsiasi autore che si scelga di affrontare, dall’antichità alla modernità e alla contemporaneità (dove, è chiaro, i dati storico-biografici sono per forza di cose più reperibili). È ad esempio lo stesso l’atteggiamento critico necessario per comprendere a pieno la produzione di autori, per citarne alcuni in cui la vita e l’opera sono strettamente interconnessi, come Sandro Penna o Pier Paolo Pasolini o ancora Charles Baudelaire o Jane Austen. Di loro il dato biografico è fondamentale per comprenderne la produzione letteraria ma una considerazione emotiva o morale o polemica o politica rischierebbe di traviarne le parole, facendo sì che il lettore non interpreti i significati, le espressioni, la poesia ma le adatti piuttosto ai propri gusti, alla propria sensibilità, al proprio tempo.

Il metodo, per quanto efficace, non è semplice da applicare: per essere onesti con la letteratura si deve ancor prima essere onesti con sé stessi. Si deve cioè trascendere la propria esperienza che si ha del mondo, nonché la propria moralità, dettata dal contesto culturale in cui si vive, per proiettarsi criticamente e oggettivamente in una dimensione che non è necessariamente, lo è anzi difficilmente, la propria. E se anche si studiasse uno scrittore del proprio tempo, della propria area storico-culturale, sarebbe comunque necessario rivalutare e ricomprendere il proprio tempo e trascendere dai gusti propri, dalle proprie (e personalissime) simpatie e antipatie, dai propri ideali e moventi (soggettivi per definizione), da tutto ciò che insomma rischierebbe in qualche modo di offuscare una visione più lucida e sincera della realtà. Il vizio di velarsi gli occhi o di velarli in parte per leggere ciò che ci si aspetterebbe di leggere, è l’omicidio delle letterature e delle filosofie, nonché l’omicidio del pensiero critico. La parola scritta va rispettata, non traviata a proprio piacimento. Solo con presupposti simili sarà possibile leggere e comprendere un passo di Nietzsche o di Kundera o di Kafka. Solo, cioè, considerando sia la letteratura, sia il pensiero, sia l’uomo che l’ha prodotta ma senza mai sovrapporli in maniera forzata e restituirli in forme non armoniose, né tantomeno sincere. Che siano gli uomini e letterature a parlare di loro stessi, non noi.

1Lo si legga in Marcel Schwob, Vite immaginarie, a cura di Luca Salvatore, Milano, Feltrinelli, 2020, p. 75.

2Alessandro dAncona, Cecco Angiolieri da Siena poeta umorista del secolo decimoterzo, in Nuova Antologia, XXV, n. 1, gennaio 1874.

3Archivio di Stato di Siena, La Biccherna, on-line (http://www.archiviodistato.siena.it/museobiccherne/it/140/la- biccherna).

4I sonetti appartenenti a Cecco Angiolieri sono letti nella restituzione filologica di Antonio Lanza; lo si legga in Cecco Angiolieri, Le Rime, a cura di Antonio Lanza, Roma, Archivio Guizzo Izzi, 1990, p. 219.

5Alessandro dAncona, op. cit.

6Lo si legga in Cecco Angiolieri, Le Rime, a cura di Antonio Lanza, p. 146, sonetto LXXIV

7Cecco Angiolieri, Rime, in Rimatori comico-realistici del Due e Trecento, a cura di Maurizio Vitale, Torino, UTET, 1956, vol. I, p. 263.

8Mario Marti in Cultura e stile nei poeti giocosi del tempo di Dante, Pisa, Nistri-Lischi, 1953 , p. 40

9La si legga in Giovanni Boccaccio, Decameron, a cura di Natalino Sapegno 2 voll., Torino, Utet, 1956 («Classici italiani», 13).

Luca Peverini è studente al corso di laurea magistrale in Studi italiani, classici e storia europea, con l’indirizzo Letteratura e filologia Italiana all’Università degli studi di Perugia. È laureato in Lettere moderne con la tesi “Cecco Angiolieri. Una prospettiva comico-realistica nel secolo dello Stilnovismo”. Ha inoltre lavorato ad una tesina sul saggio Mimesis del filologo Erich Auerbach, dal titolo “Comprendere intuitivamente il concetto di realismo”.

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