«Il primo problema degli albergatori di oggi? È la concorrenza sleale del sommerso. E noi stiamo cercando di combatterla in ogni modo». Simone Fittuccia, classe 1967, è un protagonista dell’ospitalità regionale. Presidente di Federalberghi Umbria, ha iniziato prendendo in gestione l’Hotel Priori di Assisi e poi si è espanso a Perugia e fuori Regione. Laureato in Scienze Politiche, ha all’attivo numerose esperienze all’estero.
Fittuccia, ci descrive in breve Federalberghi?
«Più che un’associazione di categoria, è un sindacato attento alle necessità di tutto il comparto ricettivo. Ci interfacciamo con le istituzioni come la Regione, l’Agenzia nazionale del turismo, i comuni. La struttura organizzativa, oltre al presidente, ha un consiglio di amministrazione con sedici consiglieri eletti a livello provinciale e ventisei a livello regionale. Ognuno dei consiglieri porta sul tavolo le problematiche del suo territorio».
Su cosa è impegnato oggi questo “sindacato”?
«Il problema maggiore che stiamo fronteggiando è senz’altro quella del sommerso, cioè di coloro che esercitano attività ricettiva nell’ambito del turismo ma non hanno le autorizzazioni necessarie, e quindi fanno concorrenza sleale».
E gli strumenti di questa resistenza?
«Innanzitutto portiamo avanti una forte pressione verso le istituzioni, in particolare Regione e Prefettura. I controlli devono essere monitorati dagli organi competenti come appunto la Prefettura, che demanda a polizia, guardia di finanza e vigili urbani. Il punto è che molto spesso questi controlli non vengono fatti per motivi di tempo o risorse. Per questo stiamo lavorando a un protocollo di intesa con forze di polizia, Questura, finanza, Regione, Anci e Comuni. Quando possibile segnaliamo le attività non in regola con i permessi, e spingiamo la Prefettura e la Regione a pretendere l’iscrizione all’albo regionale. Poi controlliamo se questa iscrizione è avvenuta, e in caso contrario risollecitiamo il controllo e la sospensione dell’attività in questione».
Insomma, vi siete trasformati in sceriffi?
«Direi piuttosto “sostenitori della legalità”. Siamo costretti a incentivare i controlli perché la concorrenza è davvero enorme, soprattutto a causa dei nuovi portali online. E infatti è proprio attraverso Booking e Airbnb che riusciamo a individuare le strutture non iscritte all’albo. In sostanza, incrociamo tutte le attività riportate sui portali web con quelle presenti nell’albo del turismo, e segnaliamo quelle non iscritte. La nostra volontà è garantire il controllo che i portali non assicurano: a loro basta che ci sia la struttura, non interessa che sia legale. Incassano le commissioni senza chiedere il codice identificativo o la licenza. Loro vogliono aumentare l’offerta sul territorio, cosa che invece penalizza noi albergatori, che dovendo sottostare a regole e normative non riusciamo a essere competitivi con chi quelle regole non deve rispettarle».
Ha citato Booking. Quanto ha influito il suo potere sul vostro settore?
«Noi lo chiamiamo il nostro “socio occulto”, perché non rischia niente e ha una commissione pari al 20%. A livello nazionale stiamo cercando di incentivare una booking direct: i clienti che prenotano chiamando direttamente la struttura avranno il 10% di sconto sul prezzo proposto da Booking. In pratica cerchiamo di riabituarli al contatto diretto con l’albergo. Così noi aumentiamo il margine di ricavo, e il cliente risparmia».
Certo Booking è un colosso difficile da indebolire, ed è anche complicato spingere gli alberghi a boicottarlo: rischierebbero di rimanere fuori da una fetta determinante di mercato.
«Esatto. Pensi che oggi il 60% dei cliente individuali prenota su Booking. Solo i gruppi sono ancora fedeli alle agenzie o alla prenotazione diretta. La singola persona, quando deve cercare una struttura, va su Internet e trova Booking, dove gli alberghi sono catalogati per caratteristiche e recensioni».
Ecco, le recensioni. Sono sempre di più e più dettagliate. E sono anche un problema?
«Ovviamente questa realtà è molto condizionante. Il che è anche un incentivo a migliorare la qualità, perché un tempo non c’erano riscontri oggettivi, né un metro di paragone per gli albergatori stessi su cui migliorare. Oggi, se otto clienti su dieci evidenziano una criticità, lo stesso albergatore è incitato a risolvere il problema».
Soffermiamoci sull’Umbria. Che caratteristiche ha la sua ospitalità?
«L’Umbria è un mercato completamente diverso da quello – per dire – di Lazio o Lombardia. Le strutture ricettive sono prettamente a gestione familiare e non ci sono grandi gruppi. È una regione ancora genuina, che si pone sul mercato con la sua ricchezza naturale, artistica e territoriale. Negli ultimi c’è stato un incremento di presenze graduale e costante. Quelli che erano stati gli anni migliori, il 2015 e il 2016, ovvero prima del terremoto, sono stati oggi superati anche grazie alla comunicazione e alla promozione».
E siamo alla nota dolente del sisma.
«Dopo il terremoto c’è stato un vero e proprio crollo, perché non era terremotata Norcia ma tutta l’Umbria. La comunicazione è stata “l’Umbria terremotata”, e questo ha portato danni enormi. Federalberghi si è battuta per circoscrivere la percezione del sisma e non sono mancati momenti di tensione con i mezzi di informazione. Poi da lì sono stati valorizzati territori e patrimoni e gli imprenditori stessi hanno cominciato a riqualificare le strutture ricettive con le risorse messe a disposizione dalla Regione e dalla Comunità europea».
Come stanno le agenzie di viaggio?
«Sono in crisi profondissima. Oggi il cittadino medio usa il web per tutto: la biglietteria aerea, la prenotazione degli alberghi, i servizi. Il valore aggiunto delle agenzie era proprio raggruppare tutte queste voci. Quelle poche rimaste aperte si reggono sul turismo in entrata: cercano di offrire il “prodotto Umbria” all’esterno e organizzare viaggi per tour operator esterni».
Per concludere: qualche dato sui tipi di turismo in Umbria?
«Da uno studio fatto da Nomisma, società nazionale che svolge ricerche di mercato, il settore “cammini e natura” rappresenta il 35/40% del turismo, l’attrattiva dei “borghi” il 25/30% e il fattore religioso tra il 10 e il 16%».
Giovanni Landi è dottore di ricerca in Scienze Giuridiche. Attualmente è giornalista praticante presso il Centro di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.