Privacy Policy L’arte del presente
Gino Venezi Vol. 13, n. 1 (2021) Idee

L’arte del presente

Quando penso al modo in cui è drasticamente cambiata la mia esistenza da Marzo 2020 ad oggi ho le vertigini. Un turbinio di pensieri inizia ad avvolgermi e non riesco mai a scorgerne la forma complessiva: è un’elaborata quanto confusa rete di stati emotivi, ricordi, traumi e tutto ciò che ha costituito il mio vissuto da quel momento ad ora. Immagino di non essere il solo a cui accade.

Ho 27 anni e, come molti della mia generazione, io non ci sto capendo più niente. Non che prima della pandemia da Covid-19 ci capissi più di tanto, sia chiaro, ma avevo quantomeno l’illusione di essermi finalmente ambientato in questa cosa che chiamiamo umanità.

Avete presente quel momento quando, nel mezzo del lockdown, molti cercavano di sollevare gli animi ponendo l’attenzione su come, se non altro, quest’esperienza di clausura globale avesse dato a ognuno del tempo libero per fermarsi, prendere un momento per se stesso e riflettere? Io si, ero uno di quei molti. La verità è che con il passare dei mesi tutto quel riflettere non mi ha aiutato a stare meglio. Forse ho raggiunto una maggiore consapevolezza sotto certi aspetti, questo si, ho fatto un corso online di meditazione, uno di grafica 3D, uno per suonare il piano e ho imparato a fare la verticale, ma a quale costo? Ore e ore di introspezione non portano sempre a conclusioni facili, e quando ti guardi dentro non trovi solo quel che vorresti. Di fatto, ora che siamo sul ciglio di una promettente e ammiccante “ripartenza” ci troviamo a dover fronteggiare tonnellate di insicurezze e conflitti interiori nuovi di zecca. Se ripartire significa fare “reset” e prendere nuovamente parte alla folle corsa che tutti stavamo correndo, non credo di voler tornare a bordo. Certo, non intendo starmene fermo a guardare il mondo che scorre: è un momento ricco di potenziale cambiamento e, da sempre, il compito di proporre nuovi scenari e ispirare prospettive inedite è responsabilità proprio dell’arte, di chi la fa e di chi la veicola. Ma come vogliamo che sia questa nuova arte? A quali esigenze risponde? Serve un po’ di chiarezza.

Parlando online con vari artisti e creativi di diverse parti del mondo è emerso che, in quello stesso periodo, molti, come me, hanno iniziato a percepire una certa inadeguatezza nelle forme estetiche correnti, sempre meno attuali e rappresentative dello spirito oramai drammaticamente mutato di questo tempo. L’arte, negli ultimi anni, ha incarnato la volontà evasiva di definire un futuro trascendente, distopico, come fuga da un presente asfissiante e instabile. L’ascesa delle arti digitali, il transumanesimo, la fascinazione per certi immaginari surreali e la costante ricerca di forti contrasti sono espressioni di tale volontà. Questo abbiamo chiesto all’arte degli anni ’10 del duemila: di portarci lontano, alienarci e separarci dall’incalzante nevrosi del presente. All’arte degli anni ’20, invece, possiamo e dobbiamo chiedere qualcosa di diverso. Non c’è un presente da cui fuggire perché il presente è stato, in qualche modo, sospeso. Non ci serve un’arte trascendente che proietti l’umanità lontano, bensì un’arte immanente che aiuti a definire una nuova idea di “qui ed ora”; abbiamo bisogno di un’arte che sappia ispirare un nuovo modo di stare nel mondo, non fuori da esso. Abbiamo bisogno di un’arte del presente.

La sua natura attuale ed immanente potrebbe spingerci a muovere i primi passi dall’era dell’apparire all’era dell’essere, promuovendo una ricongiunzione dei termini etici ed estetici nell’equazione di ciò che consideriamo “arte”. Ne conseguirebbe un radicale cambiamento del paradigma estetico comune, essenziale affinché l’arte del presente possa accadere: imparare ad osservare ed apprezzare ciò che è per quel che è, e non per quel che dovrebbe essere (o che noi vorremmo che fosse), introducendo così un concetto di bellezza che sia anch’essa immanente, peculiare, intrinseca della cosa o del soggetto in questione, che si discosti quindi dai termini comparativi e competitivi dell’estetica contemporanea.

Va da sé che qui stiamo facendo delle considerazioni di carattere speculativo, lungi da me voler imporre dei limiti a ciò che un artista dovrebbe o non dovrebbe creare, o peggio definire la legittimità di certe espressioni creative rispetto ad altre. In conclusione, ciò che mi preme è che si cominci a delineare una forma, una direzione e un tempo per descrivere l’arte che risponderà al bisogno di ri-definire la contemporaneità post-pandemica. L’arte del presente, per manifestarsi nel mondo, ha bisogno di essere pensata, creata e vissuta.

 

 

 

Tremila, all’anagrafe Gino Venezi, è un artista digitale, direttore creativo e musicista classe ’94. Negli ultimi anni ha catturato l’attenzione del panorama artistico e musicale grazie a progetti che spaziano tra grafica, musica e arti digitali in una densa esplorazione del rapporto tra tecnologia e identità.

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