Privacy Policy La fascia olivata Assisi-Spoleto candidata al riconoscimento Giahs della FAO
Vol. 10, n. 1 (2018) Innovazioni

La fascia olivata Assisi-Spoleto candidata al riconoscimento Giahs della FAO

logo della fascia olivata Assisi-SpoletoLa “Fascia olivata Assisi-Spoleto” punta dritto al riconoscimento del “Programma Giahs” (Globally important agricultural heritage systems) della FAO, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura.
Si tratta di patrimoni e sistemi agroculturali presenti nel mondo, dove l’agricoltura sostenibile si combina con lo sviluppo rurale e nei quali la gestione da parte di generazioni di agricoltori, l’utilizzo di pratiche adeguate, conoscenze ed esperienze locali, il profondo rapporto con la natura, sono elementi che modellano e adattano il paesaggio e il sistema agricolo alle esigenze di sostentamento delle popolazioni locali.
La candidatura è stata presentata dal comitato promotore costituito dai Comuni di Trevi (capofila), Assisi, Spello, Foligno, Campello sul Clitunno e Spoleto, sostenuti dalla Regione Umbria, dall’Università degli studi di Perugia e Sviluppumbria.
Nel caso di esito positivo, sarebbe il primo territorio italiano inserito in questo speciale progetto, un’occasione unica per la sua tutela e promozione.
I benefici che si attendono dal conseguimento del riconoscimento nel Programma Giahs sono molteplici. Tra questi c’è l’incremento del valore economico dell’olio di oliva prodotto lungo la Fascia, la valorizzazione sociale, culturale, economica e turistica del territorio, la tutela della biodiversità dell’olivo e la conservazione e il ripristino del paesaggio a rischio “vulnerabilità”.
Per l’ingresso nel programma Fao-Giahs occorre superare una valutazione su cinque parametri: biodiversità agricola, un sistema di conoscenze e tradizioni locali, un insieme di valori condivisi, il sostentamento economico della popolazione e le caratteristiche peculiari e uniche del paesaggio in esame.
Da ricordare inoltre che il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, ha già conferito il riconoscimento di paesaggio storico e rurale con iscrizione nel Registro nazionale del Paesaggio Rurale, delle Pratiche Agricole e Conoscenze Tradizionali, istituto con Decreto n. 17070 del 19 novembre 2012.

vista aerea della valle di Spoleto: Campello sul Clitunno

 

La storia

Le ragioni della bellezza e importanza di questo territorio sono validate dalla storia che a tratti sfuma nella leggenda. La prima ragione è che in quel tratto della valle spoletana si legge e si materializza l’enigma dell’ulivo. Che cosa intendiamo? È noto agli studiosi che l’ulivo originò in zona armena e che le prime domesticazioni attestate sono in Siria. Da lì la coltura dell’ulivo si sarebbe propagata in Grecia e dalle isole e in particolare dalla pianura Attica sarebbe stato diffuso in tutto il bacino mediterraneo. Ebbene vi sono evidenze non trascurabili che individuano in Italia la presenza di coltivazione di ulivi a partire dal 1800 a.C. Ciò metterebbe in discussione l’importazione per via fenicio-ellenica della coltura dell’ulivo almeno nel centro Italia. Ma ciò che più è interessante è che l’Umbria da sempre partita tra Umbri ed Etruschi con forti influenze da parte delle colonie greche adriatiche (i siracusani di Ancona) e delle popolazioni picene conosce anche come “sede” dell’ulivo la sua fondamentale funzione di fulcro, di cerniera. E diverse sono le influenze di coltivazione che si avvertono. Certamente gli Etruschi portarono la loro capacità di estrarre olio, gli Umbri adottarono dai popoli cugini come i Piceni l’uso dell’olio e dagli adriatici venne l’impulso alla coltivazione. Fu con Roma che l’Umbria conobbe la massima espansione dell’uliveta. È accertato che Otricoli era il porto di imbarco dell’olio umbro destinato a Roma, che in età imperiale vi erano moltissimi frantoi (uno ancora si trova a Spoleto), che la ricchezza medesima di acque rendeva l’Umbria una sorta di terra dei frantoi. Non è un caso che a Roma le classi alte consumassero olio di Spoleto e giova ricordare come da Plino a Columella tuti gli scrittori latini abbiano magnificato l’olio umbro. La ragione? Sta nelle condizioni di coltivazione. Se è vero che nella fascia del Trasimeno e in quella della zona di Orvieto – dove la coltura dell’olio arrivò con gli etruschi – le condizioni climatiche sono quelle mediterranee, nella fascia Assisi-Spoleto si ha un clima continentale con le coltivazioni spinte sino al limite di coltura dell’ulivo a 700 metri. Ciò ha determinato il conformarsi di un’ulivicoltura potremmo dire di specialità che ha anche condizionato il tipo di cultivar scelta: si tratti di alberi che devono resistere alle basse temperature e che devono dare frutti capaci di auto-proteggersi. Ecco perché la fascia della valle spoletana è di fatto la patria del Moraiolo, una cultivar che dà olive di piccolo calibro, ma ricchissime in polifenoli e soprattutto di alta resa in rapporto al volume della drupa. Egualmente su questa costa – ma questa è addizione del XVIII° secolo d.C. – si riscontrano alberi di Leccino, pianta che meglio sopporta la presenza delle querce che da sempre connotano il paesaggio spontaneo dell’Umbria, e di Frantoio sull’esempio toscano con inframmezzato il Pendolino in funzione d’impollinatore. In questo vi è una simiglianza dell’olivicoltura umbra con quella toscana determinatasi in larga misura in coincidenza non con la remota eredità etrusca che invece insegnò agli umbri a domesticare l’olivastro ampiamente frammisto alle foreste di roverella , bensì con le bonifiche leopoldine e il nuovo impulso all’economia agraria della zona dell’aretino voluta dal governo granducale. L’impianto che ammanta di ulivi la fascia pedemontana da Assisi a Spoleto è l’esito di vistosi interventi agronomici e sistemazioni fondiarie realizzate in particolare nella metà del 1700. Il modello fu quello realizzato nella Toscana Leopoldina con la bonifica della Valdichiana; questa comportò la discesa a valle di popolazioni in precedenza insediate nella fasce pedemontane adiacenti le pianure. I terreni inerpicati, già destinati ai seminativi, furono rivestiti di ulivi seguendo i progetti dell’Accademia dei Georgofili che, in tal modo, rispondeva alle esigenze dell’aumentata popolazione rurale nel fondovalle. La popolazione aveva così a disposizione una coltivazione invernale su cui impiegare l’eccesso di manodopera, resasi disponibile a seguito delle bonifiche nella piana. Bonificata la Valdichiana e ammantati di ulivi i dintorni di Cortona, il modello si diffuse nello Stato Pontificio, prima sulle adiacenti colline del lago Trasimeno e, finalmente, lungo la fascia pedemontana della “valle spoletana”, nella quale era in corso la bonifica della pianura alluvionale e l’imbrigliamento dei corsi d’acqua. In tal modo la preesistente presenza degli ulivi, racchiusi negli orti conventuali adiacenti ai centri abitati o interna a questi stessi, fu inglobata nella fascia pedemontana olivata seguendo un progetto unitario di rivalutazione delle colture, attuato parallelamente alla bonifica del fondovalle; nel fondovalle vennero concentrate le colture cerealicole intensive, scandite dalle alberate delle viti maritate. Ma se questo è ciò che noi ereditiamo dall’età contemporanea conviene tornare a quando i Romani lasciano il campo ai barbari. Immediatamente la coltura dell’ulivo – che è pianta che ha bisogno di cura – viene abbandonata. Con l’arrivo dei Longobardi vi è addirittura una sanzione del grasso animale come condimento e unguento tanto che l’olio viene relegato ad un uso potremmo dire fitoterapico. È parere di Massimo Montanari – uno dei più profondi studiosi degli usi medievali – che l’alto Medioevo si connota per un uso energetico e cosmetico dell’olio a discapito di quello alimentare. Resta però il fatto che l’Umbria e ancora una volta la fascia Assisi-Spoleto determinano una svolta. La si deve a Benedetto da Norcia – il padre spirituale dell’Europa e nona caso suo Patrono – che dettando la regola dell’Ora et Labora (magnificare il Creato coltivandolo) che insegnando le pratiche agronomiche, rivalutando il cenobotismo e reinsediando le comunità conventuali dà all’ulivo di nuovo il ruolo centrale di testimone della nostra civiltà che il mito ellenico dell’ulivo come pianta di Athena aveva consegnato ai mediterranei.
È a opera dei benedettini se i longobardi imparano ad usare l’olio e dunque a coltivare l’ulivo che nel giro di un cinquantennio torna ad essere pianta centrale nell’economia agraria. Stando ad una testimonianza di Gregorio Magno fu proprio San Benedetto a convincere i Longobardi ad usare l’olio che dalla caduta dell’Impero Romano fino a metà del sesto secolo d.C. resta confinato all’uso liturgico ed energetico (come unguento e luce). Racconta Gregorio Magno che Benedetto insegno ad alcuni longobardi a estrarre l’olio dalle olive e che essi ne rimasero stupiti. Resta il fatto che dopo cinquant’anni l’editto di Rotari – la prima raccolta di leggi scritte dei longobardi – prevedeva per chi abbattesse un ulivo una pena tre volte superiore a quella prevista per chi avesse abbattuto un qualsiasi altro albero da frutto. È ancora l’Umbria che protegge l’ulivo! Da Benedetto in poi l’ulivo in Umbria comincia a diventare la pianta dell’identità. Con una particolarità: qui l’ulivo non è ancora coltivato in campo aperto, ma dentro le mura delle città; a Trevi, a Campello, ad Assisi. E sono i conventi benedettini che li proteggono nell’hortus conclusus da qui nasceranno le “chiuse” che ancora oggi sono sinonimo di uliveta nella valle spoletana. L’ulivo diviene così simbolo di ricchezza e addirittura elemento identitario ed araldico. Basti pensare all’ulivo che cresce millenario sulla porta di Spello o alla torre dell’Olio di Spoleto. Sarà con l’arrivo di frate Francesco che l’ulivo della valle spoletana diventa simbolo di valenze totalmente sacrali. Per quanto riguarda la coltivazione è dal Medioevo che in tutta la valle spoletana – e ancor di più dall’esordio dei Francescani – si afferma una peculiare struttura che replica in campo l’idea dell’hortus conclusus: sono i muretti a secco, sono le lunette, sono i gradoni che strappano terra alla collina e l’affidano all’ulivo a cui viene affidato il compito di essere luce, medicamento e nutrimento ma anche contenimento della montagna. Si determina così una sorta di “ingegneria” della coltivazione che unisce la funzione agraria a quella di tutela dell’ambiente! E siamo poco dopo il Mille!!! Testimonianze di questo evolversi della coltivazione dell’ulivo se ne hanno moltissime lungo la valle spoletana.

Esempio di hortus conclusus della valle spoletana

I monti e la fascia pedemontana della valle sembrano naturalmente predisposti ad accogliere luoghi consacrati, perché caratterizzati da tutte le fondamentali forme naturali riconducibili a epifanie del sacro: vette, boschi primigeni, rocce, fonti, grotte. L’area è segnata da una ricca presenza di santuari taumaturgici e terapeutici, legati alla presenza di sorgenti, per lo più cristianizzati ma fondati su originari luoghi numinosi pagani.
Nella “valle spoletana”, la più alta epifania del sacro legata all’ulivo, assimilabile a un mito di fondazione, è racchiusa nella chiostra di tronchi millenari nodosi e vivi dell’ulivo di Sant’ Emiliano a Bovara di Trevi, consacrato dal sangue del martire. La Passio racconta che, su un ulivo, l’armeno vescovo di Trevi fu decapitato dopo essere stato torturato nelle acque del Clitunno e nella campagna vicino alle are dei maestosi buoi di Bovara (destinati secondo la tradizione, testimoniata da Virgilio, a essere sacrificati a Giove Capitolino). Il manto olivato che avvolge Trevi, il colle e i fianchi delle Brunette, sui quali la città è incastonata, appare come il dono sempreverde e perenne del sacrificio del Santo fondatore, patrono incarnato in quella spettacolare giogaia di tronchi.
Proprio lungo l’asse che si assesta lungo la fascia pedemontana, e non in quella collinare di fronte, sono poste le emergenze insediative protostoriche e storiche più importanti presenti nella “valle spoletana”. Le città maggiori sono Spoleto, che dà nome alla valle, Trevi, Foligno, Spello, Assisi e sono disposte tutte lungo gli assi pedemontani, divenuti viari con la consolare Flaminia, limite inferiore della messa a dimora degli ulivi; questi ultimi, in quanto ricchi di sorgenti, furono per gli insediamenti nell’età della romanizzazione. La fascia olivata esercita la funzione, oggi primaria, di definire lo spazio del paesaggio inerpicato della valle ricca di fiumi.

 

Il territorio e il sistema agricolo

Come abbiamo visto la coltivazione dell’ulivo se pur attestata da almeno 3 mila anni in questa parte dell’Umbria ha subito profonde modificazioni. Ciò che va tenuto massimamente in conto è che lungo la fascia Assisi-Spoleto le stratificazioni del modo di coltivare sono tutte ancora oggi presenti e tutte ancora leggibili. La fascia pedemontana appenninica da Assisi a Spoleto è tra le principali aree olivicole della regione Umbria. La coltivazione è concentrata nella fascia compresa tra 200 e 500 m di altitudine, con punte fino a 600 m. In tale fascia si hanno condizioni termiche e di umidità atmosferica più favorevoli, rispetto alle aree superiori ed inferiori, con conseguente riduzione dell’incidenza di danni da freddo a seguito di gelate che, purtroppo, periodicamente, si verificano in Umbria. In effetti, tali avversità rappresentano il limite più grande alla coltivazione dell’olivo nella nostra regione. La piovosità compresa tra 800-1100 mm/anno permette, nella maggior parte degli anni, l’ottenimento di buone produzioni anche senza l’applicazione dell’irrigazione. Le caratteristiche dei suoli sono molto variabili, a seconda della natura della roccia madre, e vanno da terreni con una forte presenza di scheletro, meno fertili, a suoli con una tessitura più equilibrata e pertanto dotati di una buona fertilità. I terreni più ricchi di scheletro, avendo una minore capacità di immagazzinare e trattenere l’acqua, in annate siccitose determinano condizioni di maggiori difficoltà per le piante.

vista aerea di Campello Alto

Nella fascia Assisi-Spoleto, oltre che dal punto di vista agricolo, gli oliveti hanno una notevole importanza dal punto di vista idrogeologico e paesaggistico nonché culturale. In effetti, la presenza delle piante e le sistemazioni idraulico-agrarie che vengono applicate determinano condizioni più favorevoli alla regimazione delle acque ed alla stabilità del suolo. Inoltre, gli alberi sono elementi fondamentali del paesaggio fondendosi con il resto della vegetazione e con i manufatti dell’uomo dando luogo a suggestivi effetti decorativi. Nel tratto Spello-Spoleto, sono presenti oliveti con sistemazioni a ciglioni o con “terrazzamenti” o “lunette” realizzati con muri a secco, che contribuiscono a creare un paesaggio ancor più suggestivo e particolare. Tali opere sono un esempio della grande laboriosità contadina. Le funzioni di protezione idrogeologica e paesaggistica dell’oliveto, determinando condizioni sfavorevoli al verificarsi di eventi calamitosi e favorevoli all’aumento del richiamo turistico dell’Umbria, consentono il conseguimento di positivi effetti economici indiretti, quali la riduzione delle spese per calamità naturali e l’aumento degli introiti dovuti al turismo. Nei comuni della fascia Assisi-Spoleto (Assisi, Spello, Foligno, Campello sul Clitunno, Spoleto est) sono coltivate circa un milione e duecentoquarantamila piante di olivo, che rappresentano circa il 23% del totale coltivato in Umbria. La gran parte degli oliveti è di tipo tradizionale: sesti di impianto irregolari, densità non sempre adeguate, piante vecchie con tronchi irregolari e spesso policauli (vaso cespugliato), in diversi casi, come visto, con sistemazioni a “terrazze” o “lunette”. Tutto ciò rende più difficile ottenere le massime produzioni e l’applicazione della meccanizzazione. Sono anche presenti oliveti intensivi realizzati dopo la gelata del 1956 e, soprattutto, del 1985. In questi, gli alberi sono disposti a filari regolari, con distanze tra le file e lungo la fila variabili da 6 a 5 m. Negli oliveti intensivi è più facile sfruttare appieno il potenziale produttivo degli alberi e si possono meccanizzare tutte le operazioni colturali e, in particolare, la raccolta. Le forme di allevamento più utilizzate sono il vaso ed il vaso cespugliato negli impianti tradizionali e il vaso in quelli intensivi. Il vaso cespugliato (policaule) è derivato, nella maggior parte dei casi, dal taglio al ciocco eseguito a seguito di gelate, che hanno danneggiato l’intera parte aerea delle piante, e dal successivo allevamento di 3-4 polloni.
Per quanto riguarda la tecnica colturale, la gestione del suolo, nella maggior parte dei casi, viene eseguita mediante inerbimento e 2-3 sfalci/anno eseguiti in primavera e in autunno. L’inerbimento, rispetto alle lavorazioni presenta importanti vantaggi: evita l’erosione e permette un’agevole movimentazione delle persone e delle macchine, facilitando l’esecuzione delle pratiche colturali, in particolare la raccolta e la potatura.
Questa situazione colturale che oggi è in gran parte appannaggio di piccoli coltivatori che possiedono appezzamenti limitati legge l’evoluzione della coltivazione. Le chiuse, così come i terrazzamenti ed in particolare le lunette (semicircolari del tutto peculiari di questa regione dell’Umbria) sono eredità delle pratiche claustrali, le coltivazioni intensive a filare sono eredità della “rivoluzione” del 700, la coltivazione ad albero libero sono invece la ripresa del sistema romano in ossequio alla coltivazione biologica – qui peraltro largissimamente praticata – per il minor impatto possibile sul naturale. Il reticolo di coltivazione che oggi noi possiamo vedere è dunque una sorta di “macchina del tempo” dell’ulivo anche se la parte più consistente degli impianti si può far risalire – come concezione – all’epoca del primo ‘800. Dato il valore commerciale dell’olio e il suo gradimento da parte dei ceti più elevati della popolazione, la coltura dell’ulivo tra XVII e XIX secolo tende a conquistare superfici sempre più ampie e l’olio dei territori umbri risulta apprezzato, specialmente sul grande mercato di Roma, anche se va sottolineato che nelle zone mezzadrili, come l’Umbria, la specializzazione olivicola di alcune aree in funzione del commercio dell’olio era molto limitata se non inesistente (alla fine del Quattrocento risulta, però, che l’olio di Spoleto era acquistato dai fiorentini). Le fonti ci mostrano come una grande attenzione alla diffusione di questa coltura sia particolarmente presente nelle vaste proprietà degli enti religiosi. La raccolta, che è la pratica più impegnativa e costosa, nella maggior parte dei casi, date le limitate ampiezze aziendali e la struttura degli oliveti riconducibile alla tipologia tradizionale, è eseguita con attrezzature agevolatrici. In alcuni casi è ancora condotta manualmente, soprattutto negli oliveti strutturalmente più difficili. Negli oliveti intensivi, in aziende grandi o dove si fa ricorso a contoterzisti, viene effettuata meccanicamente con scuotitori da tronco dotati, solitamente, di ombrello rovescio per l’intercettazione delle olive raccolte (meccanizzazione integrale).
L’olio, grazie alle condizioni ambientali che caratterizzano la fascia Assisi-Spoleto, che oltre ad esaltare gli attributi positivi del prodotto, come visto, riducono al minimo l’incidenza di attacchi di parassiti che possono danneggiare la qualità (es. mosca), e alle varietà coltivate, in particolare il Moraiolo, raggiunge livelli qualitativi molto elevati, di grande pregio.

 

L’olivo come ispiratore di cultura

È appena il caso qui di accennare al fatto che l’ulivo nella fascia Assisi-Spoleto costituisce un generatore di cultura. Basterebbero citare gli affreschi di Giotto ad Assisi, le opere del Perugino a Spello, i paesaggi di Benozzo Gozzoli a Montefalco per dire di come l’ulivo sia il magico “evidenziatore” del paesaggio umbro attraverso la trasfigurazione pittorica. Una “sensazione” che è comune a tutti coloro i quali hanno solcato questa valle spoletana e che hanno lasciato testimonianza del loro stupore. Come nota Alberto Sorbini in “Studi Umbri” “Ancor prima che prendesse piede il Grand Tour, il filosofo francese Michel de Montaigne giunge in Italia nel 1581 e nel suo pellegrinaggio verso Loreto attraversa l’Umbria, così scrive dei dintorni di Terni: «al di là i colli più coltivati, abitati, e fra l’altro così fitti d’olivi, che nulla è più bello a vedersi», e più avanti, quando si trova a passare accanto alle pendici della collina dove sorge Trevi: «Fatto sta che è una città costruita su un alto monte, e da un lato si stende lungo le pendici fino a mezza costa; è una posizione amenissima, su quella montagna, carica tutt’intorno d’olivi».
I viaggiatori – per lo più proveniente dal nord Europa, dove l’ulivo non attecchisce -, oltre a sottolineare la presenza numerosa di ulivi, vengono colpiti dal fatto di trovarsi di fronte a piante di grande dimensioni e che danno quindi l’idea di essere particolarmente vecchie. Così descrive, nel suo viaggio fatto nel 1758, il francese Pierre Jean Grosley allorché si trova nei dintorni di Foligno:

«I fianchi delle colline da dove arrivammo, sono coperti di olivi, la cui antichità dimostra l’eccellenza del clima: noi non abbiamo visto da nessuna parte degli alberi di questa specie così vecchi, e nello stesso tempo così vigorosi. La maggior parte sono smembramenti di antichi fusti che hanno formato dei nuovi alberi che aderiscono alla radice primitiva». Il botanico francese André Thouin, nel 1796, così parla dei dintorni del Trasimeno: «Un’antica foresta di ulivi a foglie lunghe e strette, alcuni dei quali hanno fino a sei piedi di diametro e si alzano di più di venticinque piedi, precede Torricella, frontiera della Toscana e primo villaggio dello Stato dei papi». Goethe, nel suo celebre viaggio in Italia del 1786, nel frettoloso passaggio attraverso l’Umbria per raggiungere Roma, s’imbatte nella raccolta delle olive nei dintorni di Terni e annota: «Comincia ora (fine ottobre) la raccolta delle olive. Viene fatta a mano; altrove si abbacchiano con le pertiche. Se l’inverno arriva precoce, quelle non raccolte rimangono sugli alberi fino a primavera. Oggi, su un terreno sassoso, ho visto degli ulivi enormi e vecchissimi». E ancora giova citare Jacques Camille Broussolle che scrive a metà degli anni 90 del 900: «Gli ulivi fanno ormai sulla terra pallida una macchia immensa, monotona, scura. Quanta poesia comunque! Cercate sulla vostra tavolozza una nota che ricordi il mistero di quest’ora deliziosa; non la troverete! E se vi dimenticherete nel velare il disegno di rosa, dolcemente intenerito, ecco che vi sembra di tradurre, almeno un po’, quel raro spettacolo dei tramonti d’Umbria in mezzo a campi d’ulivi. Ora, è inverno! Con le olive di cui si è appena finita la raccolta, le ultime foglie sono cadute dagli alberi. Ma l’ulivo conserva le sue: è lui che, aspettando la primavera, metterà nel paesaggio la nota perpetua di verde tenero, modesto, misterioso, senza la quale il paese di San Francesco non sarebbe più l’Umbria verde».

 

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