Nel breve volgere di tre settimane, dal 31 luglio al 20 agosto, oltre trentamila persone hanno visitato e apprezzato lo Spazio Umbria allestito lungo il cardo dell’Expo Milano 2015. Stando ai dati numerici (convalidati dall’esaurimento delle ventiduemila cartoline-gadget stampate per l’occasione), è stato un grande successo, peraltro non meramente riferibile all’improvvisa impennata nella vendita dei biglietti d’ingresso, ma riferibile anche e soprattutto alla scelta di rappresentare un’Umbria finalmente aperta alla contemporaneità. Ma i numeri non sono tutto. In tal senso, non può e non deve sfuggire che l’allestimento ha incarnato l’esito di un vero e proprio progetto culturale, voluto e sostenuto dalla Regione Umbria, che ha coinvolto studiosi, artisti, professionisti, aziende e istituzioni che vivono e operano nella nostra terra: un patrimonio prezioso che, da oggi, diventa un capitale disponibile per l’intera comunità regionale. Per mio conto, sollecitato da più parti, provo a illustrare sinteticamente il concept del nostro progetto.
L’allestimento Convivium 2.0, ideato da un’équipe dell’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci” di Perugia e realizzato in una sola notte nello spazio a rotazione del Padiglione Italia, ha inteso comunicare, e in qualche modo anche rivendicare, il ruolo di protagonista svolto storicamente dall’Umbria nella trasmissione della conoscenza. Un ruolo che ha chiamato in causa i due santi umbri più rappresentativi, san Benedetto da Norcia e san Francesco d’Assisi, celebrati in modo insolito come ispiratori di quegli opifici della sapienza che sono stati gli scriptoria medievali e, quindi, affrancati dalla retorica degli stereotipi più abusati. La storia degli scriptoria è nota, perché affonda le proprie radici nella nostra terra, ma vale la pena ricordare che tutto ha inizio nel VI secolo, quando all’immagine altomedievale del monastero inteso come “città spirituale” si è affiancata quella altrettanto pregnante dell’insediamento monastico inteso come “laboratorio agricolo”: perché è stato proprio grazie all’autosufficienza alimentare, garantita dagli orti interni ai monasteri, che i monaci benedettini, spendendo la propria esistenza nelle biblioteche e negli scriptoria disseminati in tutta Europa, si sono potuti concentrare sulla conservazione oltre che sulla trascrizione delle Sacre Scritture e dei testi classici. Nel XIII secolo, poi, l’umiltà operosa degli scriptoria benedettini è confluita negli scriptoria francescani, seppure con un’accezione diversa, visto che i frati-scriba, più che alla trasmissione delle opere sopravvissute al crollo del mondo antico, si sono dedicati alla divulgazione degli scritti autentici di san Francesco. Ma questo non è importante. Ciò che è veramente importante è che lo smisurato patrimonio di conoscenze conservato negli scaffali delle biblioteche monastiche e conventuali non è rimasto fine a se stesso, ma ha sostanziato la rinascita delle città. Così come non è rimasto fine a se stesso il modello claustrale dell’orto cintato, la cui estensione alla scala urbana e territoriale ha concorso a fronteggiare le difficoltà di approvvigionamento del cibo, intervallando gli spazi edificati della città con orti pensili e frazionando i latifondi dei grandi proprietari terrieri in piccoli poderi affidati a famiglie di mezzadri. Il che ha alimentato il rapporto coltura/cultura, ispirando la redazione di trattati di agronomia, la compilazione di erbari, la divulgazione di lunari e la pubblicazione di almanacchi. Ovvero ha ispirato la promozione di quelle forme di didattica rurale che, nel tempo, hanno portato all’istituzione delle prime Facoltà di Agraria, nel cui ambito (tornando in Umbria) risalta quella dell’Università degli Studi di Perugia, che nel 1936, non senza intriganti risvolti simbolici, è stata insediata proprio nell’antica abbazia benedettina di San Pietro.
Partendo da questa riflessione preliminare sull’identità storica umbra e sulle sue interrelazioni con quella italiana (oltre che con quella europea), il progetto dell’allestimento è stato fondato sull’invenzione di “monk”: un nuovo font disegnato ibridando il carattere rotondo della scrittura carolina, utilizzata nelle trascrizioni benedettine, con il carattere spigoloso della scrittura gotica, utilizzata nelle trascrizioni francescane. Un font che affiora dal passato, ma che tradisce un codice genetico schiettamente contemporaneo: tanto che si propone come enzima alfabetico 2.0, capace cioè di andare oltre la scrittura così come tradizionalmente intesa. L’idea (ma forse sarebbe più appropriato parlare di visione) è stata talmente apprezzata dalla direzione artistica di Expo Milano 2015 da concedere alla Regione Umbria il privilegio di utilizzare il nuovo font nella propria segnaletica istituzionale. Né avrebbe potuto essere diversamente, visto che l’allestimento è stato caratterizzato dalla moltiplicazione decorativa del nuovo font, interpretato come un vero e proprio oggetto di design che ha invaso lo spazio espositivo, contaminando viralmente i quadri paesaggistici più iconici dell’Umbria. In tal senso, la presenza di due stampanti 3D, utilizzate dagli studenti della Scuola di Design dell’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci” di Perugia, ha annullato ogni scarto spazio-temporale, saldando idealmente i piani rotondi dei tavoli dello smart manufacturing, dove nel corso di tre settimane sono state prodotte e distribuite migliaia di miniature dei singoli caratteri alfabetici di monk, non soltanto con i piani inclinati dei tavoli degli scriptoria, dove nel corso dell’età di mezzo il saper fare degli amanuensi ha restituito pergamene vergate di straordinaria raffinatezza iconografica,ma anche con i piani stretti e lunghi dei tavoli dei refettori, dove da quasi millecinquecento anni il cibo alimenta non solo il corpo, ma anche la mente, perché, mentre si consumano pasti frugali, si ascoltano i confratelli che declamano i testi sacri trascritti dagli amanuensi.
Ciò nonostante, è innegabile che il legame con il tema dell’Expo Milano 2015 (Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita) è stato soprattutto concettuale. Il che è a dir poco doveroso, perché un’Expo non è né una fiera né tantomeno è una sagra, ma è un’esposizione volta a rappresentare il “know-how” dell’umanità alla data su un tema assegnato. Ma, più ancora, un’Expo è un manifesto ideologico volto a consegnare alle nuove generazioni un viatico per gli anni a venire. Così come è avvenuto a Parigi, nel 1900, con l’installazione delle prime scale mobili e così come è avvenuto a Bruxelles, nel 1958, con la prima esperienza di spazio multimediale. E l’Umbria, con l’Expo Milano 2015, ha consegnato al mondo “un font” che guarda al futuro con fiducia senza guardare al passato con nostalgia. O meglio, restringendo il campo degli interlocutori e recuperando la radice linguistica francese del vocabolo, ha consegnato nelle mani degli umbri del domani “la font” della bellezza. Non a caso la sezione più ammirata del Padiglione Italia è proprio quella che, ammaliando i visitatori con un artificio virtuosistico di riflessi speculari, consacra definitivamente la bellezza al rango di risorsa imprescindibile.
Progetto
Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci” di Perugia
Paolo Belardi (coordinatore), Moira Bartoloni, Marco Fagioli, Marco Maovaz, Sonia Merli, Giacomo Pagnotta, Paul Robb, Gianluca Sciarra, Matteo Scoccia
Collaborazioni al progetto
Aba Fablab, Sergey Akramov, Alessandro Boncio, Centro di Ateneo per i Musei Scientifici dell’Università degli Studi di Perugia, Lorenzo De Matteis, Hoflab, Vito Machristi, Salt &Pepper, Scriptorium, Zup design
Gestione amministrativa
Domenico Ferrera
Realizzazione
Totem srl
Animazione
Gianmarco Binaglia, Danilo Rodolfo Caldararo, Andrea Grelli, Ilaria Lo russo, Federica Moriconi, Tiziana Palmisano, Francesco Pedini, Alessandra Perillo, Christian Renna, Salvatore Santarsiero, Vanessa Scarpati, Tommaso Vicarelli
Devo confessare che la scelta della regione Umbria di questo tipo di presentazione all’EXPO il cui tema conduttore è “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” in un primo momento mi ha lasciato perplesso. Che ci azzecca (avrebbe detto un politico ormai passato di moda) una font con l’alimentazione, mi sarei aspettato semmai un excursus sui prodotti tipici umbri e magari su nuovi cibi che da essi sono stati derivati. Una font è spiazzante. L’articolo del direttore dell’Accademia di Belle Arti di Perugia, prof. Paolo Belardi, è quindi quanto mai necessario ed illuminante per rispondere alle mie perplessità e forse anche di qualche altro lettore. La cultura che fu salvata e trasmessa dagli amanuensi dell’alto medioevo è l’alimento che ci ha permesso di giungere fino ad oggi e proporci obiettivi ambiziosi come nutrire il pianeta, nonostante le tante difficoltà che questo presenta: l’aumento della popolazione, i cambiamenti climatici, la perdita di terreno coltivabile. Una frase in particolare dell’articolo mi ha illuminato “guardare al futuro con fiducia senza guardare al passato con nostalgia” che anche se collocata nella descrizione della font sembra paradigmatica per le scelte necessarie per nutrire il pianeta: partendo dalle competenze accumulate nei secoli guardare al futuro, applicare nuove metodiche, oltrepassare nuove frontiere e non fermarsi a riproporre il passato come se questo fosse un mitica età dell’oro.
Paolo Belardi è Professore di Disegno nel Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università degli Studi di Perugia. Dal 2013 è Direttore dell’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci” di Perugia.
Francesco Damiani è Ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche e responsabile della Unità Operativa di Perugia dell’Istituto Di Bioscienze e Biorisorse.