Privacy Policy Un esempio di utilizzo didattico degli antichi commenti danteschi
Vol. 14, n. 1 (2022) Jacopo Manna Letture

Un esempio di utilizzo didattico degli antichi commenti danteschi

Mosè Bianchi, Paolo e Francesca, 1877, Galleria d’Arte Moderna di Milano

L’accostamento al grande e complesso edificio della Divina Commedia è, per le classi del terzo superiore, un momento chiave: spesso dipende da questo primo incontro se l’opera e la figura di Dante Alighieri diverranno per questi giovanissimi lettori un riferimento vivo ed amato oppure l’ennesimo carico di lavoro da sopportare con più o meno rassegnazione per sbarazzarsene appena possibile, trattenendone tutt’al più il ricordo sgradevole di una fatica senza senso. Tanto maggiore perciò la responsabilità del docente, chiamato a motivare gli sforzi richiesti alla classe per familiarizzarsi con un intero universo poetico le cui coordinate risultano per lo più del tutto estranee al linguaggio, alle esperienze e alle conoscenze delle ragazze e dei ragazzi d’oggi. Il criterio adottato da chi li dovrà guidare per questo cammino aspro e silvestro è molto spesso quello apparentemente più semplice e diretto: invitarli a specchiarsi nell’emotività e nella vita sentimentale dei personaggi, scegliendo (visto che neppure le indicazioni ministeriali prevedono più la lettura integrale del poema) quelli in tal senso più caratterizzati; tuttavia, se è vero che l’orgoglio inflessibile di Farinata, la curiosità imperterrita di Ulisse e la ferocia bestiale del conte Ugolino riescono ancora oggi a fare presa sui lettori adolescenti, è alto il rischio di ridurre questi personaggi ai loro lineamenti più semplici trasformandoli in stereotipi e dissipandone l’affascinante complessità che è frutto non solo dell’abilità dantesca a renderne le molte e spesso contraddittorie componenti, ma anche della ricca e vasta eredità culturale che in essi viene raccolta e come rinnovata. L’Ugolino dantesco ad esempio è, come si sa, autore e protagonista di un racconto che non manca di coinvolgere anche i lettori meno culturalmente attrezzati; questo però non toglie che il personaggio nasca pure dal riutilizzo di temi più antichi e di situazioni archetipiche, rintracciando le quali la grandezza poetica di questa figura (e ovviamente, per riflesso, del suo autore) ne risulta ulteriormente accresciuta.[i] Non è poi così improponibile, una volta che la classe si sia un minimo familiarizzata con la componente più accessibile del testo, cioè quella della fabula, provare a farle almeno intravvedere lo spessore storico e culturale che sta dietro l’apparente linearità del racconto. La conoscenza, per quanto ridotta e risalente al primo anno di scuola superiore, dell’epica greca e romana permette ad esempio di far intuire le trasformazioni subìte da alcuni personaggi del mito come Caronte oppure Odisseo e costituisce un esempio minimo e tuttavia efficace di un concetto fondamentale, ma molto difficile da trasmettere se ci limitiamo alla sua formulazione teorica: quello di lettura retroattiva, ovvero di creazione della traditio secondo la direzione presente-passato, concetto con cui si rende accessibile anche a una classe di apprendiste lettrici e di apprendisti lettori uno dei princìpi che legittimano lo studio della letteratura da un punto di vista storico.[ii] L’esempio proposto dal presente lavoro non segue però questo percorso didattico, indispensabile ma già ben noto, bensì quello opposto e forse meno frequentato; esaminare cioè i personaggi della Divina Commedia non come termine e compimento di un tragitto verso il pubblico dei lettori, ma come loro inizio. Se infatti nel vastissimo universo delle figure dantesche incontriamo nomi che sono eredità delle varie tradizioni (classica, scritturale, filosofica) utilizzate e rielaborate in uno stupefacente coesistere di fedeltà ed invenzione, altre figure destinate spesso a grande fortuna presso i lettori sono entrate per la prima volta nella memoria collettiva grazie all’iniziativa di Dante stesso che fissandole nelle terzine ha garantito loro lo status di personaggi di cui prima erano privi. Nella fattispecie ho pensato di sottoporre al lavoro di analisi e di riflessione delle classi i protagonisti di un episodio proveniente da quella che oggi chiameremmo cronaca nera; non ne seguiremo però la  trasformazione in figure letterarie, sulla quale gli studi sono fin troppo abbondanti, quanto piuttosto la rielaborazione che sulla traccia dei versi danteschi è stata compiuta dalle prime generazioni di commentatori e glossatori della Divina Commedia: coloro da cui inizia quella vera e propria “altra selva” (nel suo significato, caro ai filologi, di congeries) che proseguendo nei secoli ha accompagnato il poema fino ai giorni nostri. Lo scopo di questo percorso didattico e della sua limitazione cronologica è doppio. In primo luogo servirà a mostrare con esempi diretti una caratteristica peculiare della letteratura in epoca pre-gutemberghiana,  cioè la concezione del testo come entità non totalmente definita ma ancora malleabile, situazione che permette interessanti accostamenti alle odierne particolarità della scrittura elettronica;[iii] in secondo luogo aiuterà l’apprendista lettrice o lettore a scoprire il ruolo determinante che nella ricezione del testo hanno le diverse e successive stratificazioni interpretative, un fatto di cui non ci si rende conto se non disponendo di una visione storicamente consapevole dei modi e tempi in cui si è venuto costituendo il canone: ed è anche per questo che mi sembra opportuno limitare l’esame alle sole glosse del Trecento, un periodo abbastanza ampio da permettere evidenti e riconoscibili sviluppi interpretativi ma così breve da poter venire abbracciato in una sola occhiata.  Il materiale di cui mi sono servito per preparare questo lavoro è limitato all’essenziale benché ampio nel contenuto, ed immediatamente disponibile.[iv]

II

Il canto V dell’Inferno riscuote di solito un certo gradimento anche presso le classi che non dimostrano particolare inclinazione alla letteratura del medioevo: l’efficacia ed immediatezza delle invenzioni narrative, la sapienza evidente nelle costruzioni retoriche ed infine la complessità psicologica del rapporto tra l’io narrante della vicenda e l’anima di Francesca da Rimini sono relativamente facili da intendere; per giunta l’argomento centrale dell’episodio, quello dell’amore e della sua legittimità o possibile misura, non può lasciare indifferente un pubblico di persone giovani. Sarà quindi bene approfittare dell’accoglienza favorevole che l’episodio avrà riscosso per sottoporre alla classe, dopo avere portato a termine nelle precedenti lezioni la lettura e l’analisi generale del canto, un approfondimento sulla drammatica vicenda dei “due cognati”. È importante che questo sia stato preceduto anche da una riflessione dettagliata su quali siano i particolari che il testo dantesco rivela ad un ipotetico lettore modello:[v] il nome della protagonista rivelato indirettamente, il modo altrettanto indiretto con cui parla della sua origine, la cultura di cui, sempre giocando di sponda, è testimone il suo modo di esprimersi (con citazioni letterarie evidenti all’orecchio esperto ma perfettamente dissimulate nel continuum del discorso), eccetera. Si farà poi una ricapitolazione di tutti questi indizi: dovrebbe risultare evidente la condizione del discorso di Francesca come racconto allusivo e fondato soprattutto sul non detto.

A questo punto si proporrà alla classe una opportuna scelta, se necessario con tagli, delle voci dell’Enciclopedia Dantesca relative ai due protagonisti del dramma e ai parenti di Francesca, cioè Guido da Polenta il Vecchio e suo nipote Guido Novello (queste ultime estremamente sintetizzate) in cui viene esposto dettagliatamente ciò che le fonti storiche ci riferiscono sulla vicenda. Discutendone il contenuto, dovrebbe emergere la effettiva scarsità di informazioni precise; sarà difficile, se la discussione tra docente e discenti sarà stata reale, che non si imponga all’attenzione quanto viene detto nella voce dedicata a Paolo Malatesta:

“L’episodio [sc. di Paolo e Francesca] non può essere semplicemente ricondotto al triangolo amoroso, ma è da inserire in un contesto storico e dinastico che le fonti letterarie non consentono di ricostruire. La documentazione, d’altra parte, non fornisce alcuna informazione relativa al drammatico epilogo e neppure l’identità di Francesca risulta accertata.”[vi]

A questo punto il quadro storico dovrebbe risultare chiaro: notizie dirette praticamente non ne abbiamo;  Dante Alighieri potrebbe avere conosciuto, anche se alla lontana, Paolo Malatesta durante il  breve incarico politico di quest’ultimo a Firenze apprendendo molti anni dopo altri dettagli sulla vicenda dai discendenti stessi di Francesca, da lui frequentati al tempo dell’esilio. Tutte queste informazioni non saranno state assimilate meccanicamente dal testo di letteratura, ma prodotte da un lavoro (molto elementare ovviamente) di analisi, anche se indiretta, delle fonti; più ancora, sarà stato possibile far constatare il livello di incertezza su cui a volte deve procedere chi indaga gli eventi del passato.

A questo punto si possono sottoporre in sequenza, analizzando e discutendo ogni testo prima di passare al successivo, le glosse che a questo famosissimo episodio sono state poste dalla prima e seconda generazione dei commentatori danteschi; sarà opportuno, oltre che aiutare nella parafrasi, fornire ogni volta qualche semplice informazione sulla vita e condizione di quest’ultimi (le notizie sono reperibili anch’esse nella Enciclopedia Dantesca e vanno ovviamente adattate al pubblico), così da ancorare meglio nella mente di allieve ed allievi un paio di nozioni fondamentali; e cioè (per dirla in breve), primo, che il testo letterario comporta praticamente da subito un lavoro interpretativo per cui la figura del lettore-tabula rasa è un’astrazione priva di senso;[vii] secondo, che l’attività di scrittore non avviene mai al di fuori di determinate e determinanti condizioni culturali e materiali. Una scelta appropriata di testi potrebbe essere la seguente,[viii] ovviamente abbreviabile:

  • Graziolo de’ Bambaglioli

“Debes scire, lector, quod hee due anime fuerunt Paulus filius domini Malatesta de Malatestis de Arimino, et domina Francischa domini Guidonis de Polenta uxor Çanis Çoti de Malatestis, qui siquidem mutuo in tantum se dilexerunt, quod dictus Çannes occidit dictam dominam Francischam uxorem suam et dictum Paulum fratrem suum cum ipsos invenerit diligentes se ad invicem”.

  • Jacopo della Lana

“Or questa ystoria si fo che Zoanne Çotto, figlol de misser Malatesta da Rimino, avea una soa muier, ch’avea nome Francesca, e figliola de misser Guido da Polenta di Ravenna, la qual Francesca zasea cun Polo fradello del so marito, ch’era so cugnato: corretta ne fo più volte dal so marito; no se ne castigava; a la fin trovolli insemme suso ‘l peccato, prese una spada, e conficolli insieme in tal modo che abraçati ad uno morinno”

  • L’Ottimo Commento

“In Rimino i Malatesti, in Ravenna quelli da Polenta […] per la loro grandezza ebbero guerra insieme della quale fecero pace; e per fermezza e legame d’essa, Gianni Sciancato figliuolo di messer Malatesta, uomo dell’abito rustico e del cuore franco, e armigero, e crudele, tolse per moglie Francesca figliuola di messer Guido il vecchio da Polenta, donna bellissima del corpo e gaia ne’ sembianti. In costei s’innamorò Paolo figliuolo del detto messer Malatesta, uomo molto bello del corpo e ben costumato, e acconcio più a riposo che a travaglio; e la donna in lui. Finalmente, stando l’uno con l’altro senza nulla suspicione siccome cognati, e leggendo nella camera della donna uno libro della «Tavola Rotonda» […] vinse la forza di questo trattato in loro due, che posto giuso lo libro vennero all’atto della lussuria, al quale diede materia lo confortamento di questo libro sì come Galeotto diede materia a Lancelotto e alla Reina. E questa opera si pubblicò sì che per alcuno famigliare data la posta a Gianni Sciancato, elli lor due insieme […] uccise, siccome nel testo appare”

  • Pietro di Dante

“Ultimo vidit ibi umbram domine Francisce filie domini Guidonis de Polenta olim domini civitatis Ravenne et uxoris Ioannis Gotti de Malatestis de Arimino, de qua philocapto Paulo fratre dicti Ioannis et eius cognato, dicit dicta domina Francisca quod secundum naturam amoris opportuit ipsam illum Paulum amare ut hic dicit textus; ad quod ait Augustinus in libro De catheciçandis rudibus: «Nichil magis provocat ad amandum quam prevenire amando» et ut Autor verificet quod ait Ysidorus in Libro Sententiarum dicens: «Ideo prohibetur christianis legere figmenta poetarum et aliorum scriptorum similium, quia per oblectamenta fabularum nimium mentem excitant ad incentiva libidinum»”

  • Pseudo – Boccaccio

“ Questi due ispiriti […] l’uno fu Paolo da Rimine fratello di Lanciotto signor di Rimine, reo uomo; l’altro fu quello della Francesca figliuola di messer Guido signor de Ravenna. Questa è la storia di questi due spiriti: dico che capitando a Ravenna un buffone e veggiendo questo giovane tanto bello, disse alla madre di questa fanciulla che aveva ciercato la Corte di quattro signori né mai aveva veduto più bella giovane di questa, né di giovani aveva veduto più bello giovane di Paolo de’ Malatesti; e che se queste due bellezze si potessino accozzare insieme a matrimonio, mai non  si vide più bella coppia. E ciò sentendo la madre mai non pensò, se non che questo parentado si facesse, e fatto il parentado a parole, e venendo Lancilotto a Ravenna per isposare la Francesca pel fratello e veggiendola sì bella, disse la volea per sua donna: e non essendo chi ‘l contradicesse, essendo signore, la tolse e fu sua sposa. Paulo poi sentendo non se ne curò poi per ispazio di tempo. Essendo un dì Paulo con la Francesca in camera e leggendo un libro di Ginevra e di Lancilotto, e de’ congiugnimenti che facieano insieme, subito l’una e l’altro di costoro furono percossi d’amore e più volte si congiunsono insieme carnalmente, tanto che uno se n’avide e disselo a Lancilotto. Costui nollo credea, cogniosciendo il fratello savio; di che costui disse: Io te lo farò vedere; e tanto gli pedonò che un dì, essendo eglino insieme congiunti, il fratello Lancilotto, come quegli gli mostrò, gli giunse amendue e amendue a un’otta gli uccise”

III

A questo punto dovremmo avere a disposizione tutti gli elementi per cominciare a tirare le somme. La classe, una volta che si sia verificata la corretta comprensione dei testi qui presentati, sarà invitata a valutare la quantità di informazioni che ognuno di essi contiene rispetto ai precedenti e soprattutto rispetto ai versi originali; sarà semplice a questo punto far notare che partendo dal discorso volutamente laconico ed elusivo del V canto dell’Inferno i commentatori hanno trasformato un racconto originariamente esilissimo in un romance[ix] che è letteralmente cresciuto su se stesso per addizione successiva di particolari: lo stesso Pietro di Dante sembra procedere assai più per imitazione dei suoi predecessori che sulla scorta di possibili informazioni trasmesse per via di famiglia. In pratica questo racconto, tragico nel contenuto ma minimalista (se si può usare anacronisticamente questo termine) per quanto riguarda la fabula, ha agito come un piccolo ma potente magnete che attrae corpi metallici via via più grossi fino a venirne occultato. Si potrà a questo punto discutere con la classe sulle possibili ragioni di questo singolare effetto, invitando a cercare nelle conoscenze personali (che ovviamente non riguarderanno solamente la narrativa letteraria ma anche altre forme di racconto, dal cinema ai fumetti) esempi analoghi di sviluppo graduale della trama di partenza; oppure si proporrà come elemento di confronto l’insistenza dei glossatori solamente su alcuni dei possibili spunti narrativi offerti dal testo di partenza, invitando a cercarne le possibili ragioni.

Come lavoro di verifica finale ci si potrebbe anche limitare a somministrare degli esercizi di ricapitolazione delle conoscenze apprese o emerse nel corso dell’attività qui proposta; ma credo sia molto più fruttuoso dal punto di vista didattico proporre invece non di ripetere ma di utilizzare in maniera autonoma quelle stesse conoscenze. Ad esempio si possono assegnare ad allieve ed allievi alcune immagini tratte dal notevole repertorio figurativo che dall’Ottocento in poi si sviluppò intorno al tema di Paolo e Francesca[x] e proporre loro di analizzarle osservando cosa volta per volta sia stato messo in rilievo e cosa tralasciato dall’artista, interrogandosi sul perché della scelta e sul suo esito. Oppure si può rimanere in àmbito strettamente letterario assegnando la lettura delle note che sullo stesso brano qui esaminato scrisse Giovanni Boccaccio nel suo incompiuto commento all’Inferno,[xi] che del procedimento di rielaborazione della trama finora esaminato rappresentano probabilmente il culmine, per poi farle analizzare proseguendo così autonomamente il lavoro di confronto tra commentatori già svolto; quest’ultimo esercizio potrà servire anche di introduzione al Boccaccio narratore, la cui lettura non deve necessariamente venire compresa in un periodo preciso e continuato dell’anno scolastico ma può venire distribuita in più riprese, man mano che gli argomenti trattati parlando di altri autori ne offrono l’opportunità.[xii]

 

Jacopo Manna è Dottore di Ricerca in Italianistica presso l’Università degli Studi di Firenze e Dottore di Ricerca in Scienze storiche presso l’Università degli Studi di Perugia. Docente di Italiano, Latino e Storia dell’Arte nella Scuola secondaria di secondo grado nella Regione Umbria.

 

NOTE

[i] Il riferimento inevitabile è ovviamente Gianfranco Contini, Filologia ed esegesi dantesca, in Varianti e altra linguistica. Una raccolta di saggi (1938-1968), Torino, Einaudi, 1970, pp. 407-432

[ii] Tra le varie esposizioni di questo concetto fondamentale, forse la più accessibile con un po’ d’aiuto da parte dell’insegnante è ancora quella originaria: Thomas S. Eliot, Tradizione e talento individuale, in Il bosco sacro, Milano, Bompiani, 2003 [1922], pp. 67-80

[iii] Un inquadramento generale della questione in Raul Mordenti, L’altra critica – La nuova critica della letteratura fra studi culturali, didattica e informatica, Roma, Meltemi, 2007, spec. al cap. IV, pagg. 129-166

[iv] Per i commenti è stato utilizzato:  Guido Biagi, La Divina Commedia nella figurazione artistica e nel secolare commento, Torino, UTET, 1924, 3 voll., disponibile anche on-line (qui: https://archive.org/details/DivinaCommediaBiagiInferno/002.jpg ).  Le notizie sui commentatori e sui personaggi del poema dantesco sono reperibili nell’edizione on-line dell’Enciclopedia Dantesca (edizione originale: Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1970-1978, 5 voll.) all’indirizzo http://www.treccani.it

[v] Il concetto di lettore modello (per il quale ovviamente cfr. Umberto ECO, Lector in fabula – La cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Milano, Bompiani, 1979, pp. 50-66)  è tanto fondamentale quanto difficile da far capire a persone che spesso ancora all’inizio del triennio sono poco familiarizzate con l’attività stessa della lettura: un esperimento didattico sul genere di quello trattato nel presente articolo costituisce una buona opportunità per chiarire e consolidare almeno gli elementi fondamentali di questo dato teorico

[vi] Anna Falcioni, voce Malatesta, Paolo in Enciclopedia…, cit. ad vocem

[vii] Questo dato, per quanto elementare, non si può mai dare per ovvio e condiviso: la questione è ottimamente ricapitolata in Mario Lavagetto, Eutanasia della critica, Torino, Einaudi, 2005

[viii] Se la classe è del corso liceale Classico o Scientifico si può proporre ad allieve ed allievi di tradurre direttamente il facile latino dei commenti scritti in questa lingua, altrimenti provvederà il/la docente

[ix] Sarebbe davvero stimolante poter verificare quanti dei particolari aggiunti nelle glosse somiglino a topoi della letteratura cavalleresca, perché questo creerebbe rispetto all’episodio dei cognati lettori di un romanzo arturiano una specie di sorprendente cortocircuito narrativo: ma ciò esula evidentemente dagli scopi del presente lavoro

[x] Per esempio, tra le opere più note (e ovviamente prevedibili) si possono segnalare quelle di J.A.D. Ingres (1819), A. Scheffer (1835), G. Doré (1861), A. von Feuerbach (1864),  A. Cabanel (1870), G. Previati (1887). Indicazioni interessanti su questo argomento in Maria Antonietta TERZOLI, Ecfrasi, immaginazione, scrittura. Letteratura e arti figurative da Dante a Gadda, Roma, Carocci, 2023

[xi] Giovanni Boccaccio, Il comento alla Divina Commedia e altri scritti intorno a Dante a c. di Domenico Guerri, Roma-Bari, Laterza, 1918, 2 voll., vol. II, pp. 137-139. Il testo è disponibile on-line qui: https://archive.org/details/085BoccaccioIlComento02Si043/page/n3/mode/2up?view=theater e qui: https://liberliber.it/autori/autori-b/giovanni-boccaccio/il-comento-alla-divina-commedia/

[xii] Ad esempio, quando si affronta il Novellino, il racconto n. LXXIII secondo l’edizione Gualteruzzi (Come il soldano, avendo bisogno di moneta, volle cogliere cagione a un giudeo; il testo è reperibile on-line qui:  https://liberliber.it/autori/autori-n/novellino/  ) può venire utilmente messo a confronto con Decameron I 3

  

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