L’interesse per il moderno è nato probabilmente per colmare una zona d’ombra che negli anni della formazione artificiosamente si creò, determinando un ingiustificabile vuoto di conoscenza. Successivamente nel 1996 un’appassionante ricerca destinata alla redazione di un atlante di architettura moderna favorì la prima esperienza sull’intensa stagione della modernità e una serie di mostre sull’architettura e sull’arte del Novecento.
Questo percorso ha introdotto successivamente l’impegno nel cantiere finalizzato al recupero della struttura ex GIL di Luigi Moretti a Trastevere attuato alternando le questioni di carattere storico critico alle esigenze proprie di una attività conservativa e di valorizzazione culturale [1].
Dunque parametri guida sufficientemente obbligati, in cui le nuove esperienze e uno sperimentalismo “guidato” da una rigida metodologia di recupero hanno dato valore e significato alla salvaguardia e luce su una questione interpretativa per favorire la migliore comprensione dell’architettura moderna. Come strumenti di supporto all’operazione “tattile” conservativa del monumento, la lettura storiografica di un’età temporalmente prossima e la conoscenza di un clima culturale osservato anche oltre i confini nazionali, hanno facilitato il disegno di una “genealogia” ragionata del moderno.
La comprensione del processo innovativo della modernità, avviato negli anni trenta, ha inoltre reso più consapevole l’azione relativa alla contemporaneità, mediante un dibattito arricchito di valenze attuali per la valorizzazione e l’uso virtuoso di un patrimonio rappresentativo. Concettualmente la lettura storica, per disegnare il processo “genetico” dell’architettura e dell’arte, ha in questi anni di importanti studi internazionali, evidenziato la consequenzialità dei fenomeni culturali, tracciando filiazioni e derivazioni o abiure di una storia senza interruzioni.
In particolare per la GIL di Moretti il contatto di cantiere ha imposto la figura di Luigi Moretti in veste, oltre di emblematico autore anche di un traduttore delle emozioni che animarono la dinamica dell’intero secolo scorso. Lo stimolo di Renato Ricci fu sicuramente trainante, dai racconti del figlio Giulio a proposito del clima intenso di sperimentalismo derivante dai contatti esteri di Ricci, responsabile ONB che preferì i giovani progettisti in alternativa alle “archistar” dell’epoca per la realizzazione delle case della gioventù. Con queste opere prende forma, oltre la modernità dei caratteri stilistici dei nuovi edifici anche una vera modernizzazione della rete infrastrutturale delle città, nuove funzioni per attuare i programmi del regime e in parallelo l’evidenza di nuovi modelli sociali partecipativi, anche se certamente vincolanti ed obbligati dalla visione totalitaria della committenza. Dagli anni giovanili in cui la poetica creativa dell’architetto, inizialmente pervasa da una sorta di infatuazione per la retorica del regime, matura successivamente nei più evoluti ambienti culturali e nelle esperienze europee della Bauhaus di Gropius e delle organizzazioni giovanili di Baden Powell. Furono probabilmente i progetti innovativi ed audaci di Moretti, che lo fecero preferire da Ricci al Foro Italico in sostituzione di Enrico del Debbio iniziale autore del master plan del Foro e del fronte edificato sul Tevere. D’altronde quella vis modernista a cui Del Debbio si dimostrò sensibile nella realizzazione della Colonia elioterapica di Monte Mario facente parte del Foro stesso ma non espressa negli edifici sul fronte Tevere dove prudentemente prevalse uno stile mediato tra classicismo e modernità, d’impronta piacentiniana. Al coraggioso progetto di Moretti per il Foro, si unisce qualcosa di messianico con la volontà di codificare regole geometriche e rapporti aurei, nuovi alchemici linguaggi sottointesi, insoliti caratteri formali presenti nella Casa delle armi o nei monoliti, silenti pietre miliari, della prospettiva centrale d’ingresso al Foro.
Alla GIL, la buona sorte ha voluto che le alterazioni e le manomissioni fossero reversibili, parti “in aggiunta” che sovrastavano la materia originale, questo ha consentito la grande preliminare operazione di sottrazione, la rimozione cioè di tutti gli elementi che gravavano sulla struttura originale. Il cantiere dunque ha progredito in condizione ideale, operando nei confronti di un bene certamente degradato ma fortunatamente privo di gravi ostacoli per un ritorno all’originale configurazione. Nell’ambito dei lavori alla GIL, un esempio emblematico di alterazione è stato quello relativo alla chiusura, in tutte le finestrature, dei vetri della parte inferiore, concettualmente questa superfetazione aveva modificato il lessico architettonico morettiano della GIL, trasformando le ampie pareti vetrate in più dimensionate finestre. Eppure furono proprio le grandi trasparenze a caratterizzare l’edificio, accostandolo dichiaratamente ai grandi esempi nord europei del Movimento Moderno. Una modernità dichiarata, oltre che dall’innovativo valore formale anche attraverso la funzione, intimamente connessa alla fisicità del manufatto, nel caso GIL mediante l’azione attrattiva dei giovani bimbi trasteverini verso le attività svolte all’interno dell’edificio. Uno schema di comunicazione visiva, innovativa, già concepito da Gropius in tipologie decentrate a carattere industriale, come lo stabilimento Fagus, antesignano simulacro del moderno del 1911.
Il contributo alla rivoluzione formale di Moretti alla GIL è inoltre evidente nella complessa articolazione dei volumi che compongono l’edificato, una percezione più evidente nell’interno che all’esterno della fabbrica, doppie altezze, livelli differenziati, pilastri di struttura che modificano la loro forma in funzione della spazialità che perimetrano, eppure nel sofisticato impianto tutto appare coerente e chiaro, quasi dovuto, per esprimere funzione e destinazione d’uso.
Questa grande capacità creativa sembra comunque appartenere ad una sfera giovanile di Moretti in cui oltre a prevalere quell’investitura ad architetti ed artisti per idealizzare la nuova immagine del regime ma più in profondo si avverte una forte carica emozionale che tale responsabilità doveva comportare, uno spleen che difficilmente si ravvisa nelle opere del dopoguerra, dove si evidenzia “il mestiere” oramai pienamente maturo e le tensioni speculative che spesso deformano le finalità della professione. Un certo effetto di trascinamento dopo la stagione della modernità è possibile avvertirlo in Moretti e in molti architetti come Libera, Ridolfi e lo stesso Piacentini, autori che avevano definitivamente disegnato il volto della Roma moderna. Negli anni post bellici, nonostante una forma di “depressione” professionale, derivata dall’adesione alle programmazioni di un regime smentito dai drammatici eventi storici, gli architetti restano attivi completando molte grandi opere rimaste congelate dalla guerra. Per Roma la continuità ideale dell’architettura e dell’urbanistica è rappresentata dai lavori della XVII Olimpiade del 1960 che concludono definitivamente quel caratterizzante trend di sviluppo della capitale. Anche Moretti partecipa a questa fase con l’ultima grande prova di “collettivismo” urbano nella realizzazione del Villaggio olimpico, elegante insediamento residenziale d’impronta lecorbusieriana, sintesi dei codici moderni per una tematica corale di fondazione.
Per la ex GIL, il nuovo processo di identità è rappresentato da una dinamica che necessariamente ha bisogno di sperimentazione e ricerca, indispensabile per questo fine il concorso delle forze attive per un disegno di evidenza sul panorama culturale della città pur mantenendo l’immagine del progetto morettiano. Durante i lavori prevalse la contemporaneità tra il recupero filologico e l’avvio di attività culturali, tale spirito ha coinvolto e ‘incuriosito’ tecnici, operatori, artisti, un collettivo autore del carattere sperimentale di questa fase, aperto ad interessanti scenari, in cui si configura sempre con maggiore nitidezza il funzionamento della ex GIL. Ed è infatti l’identità da attribuire a questo simulacro architettonico, la nuova avvincente prospettiva. L’idea di partenza è quella delle kunsthalle nordeuropee, luoghi che sommano funzioni culturali ma che contemporaneamente forniscono riferimento, materia di studio, favorendo l’incontro e l’osservazione dei fenomeni dell’attualità culturale. Un progetto ambizioso e coerente con il clima e il diffuso interesse per i temi della storia e delle arti ma anche relazione alla contemporaneità con i temi dello sviluppo di qualità della città e del territorio. In questa chiave programmatica altre discipline potrebbero partecipare al disegno futuro della struttura: urbanistica, habitat, industrial design. Il processo in questione potrebbe risultare dispersivo se non si riconoscesse un ruolo primario alla conoscenza ed alla capacità critica di interpretare i fermenti o viceversa i freni della nostra epoca, ricercando risposte di qualità e valorizzando gli aspetti positivi e strategici dell’attualità per un laboratorio attivo e coinvolgente.
[1] La casa dei balilla della Gioventù italiana del Littorio (GIL) a Trastevere (Via Girolamo Induno e Largo Ascianghi), fu commissionata a Luigi Moretti (Roma, 1906 – Capraia Isola, 1973)da Renato Ricci, presidente dell’Opera nazionale Balilla. Nel 1933 il progetto di Moretti fu esibito alla V Triennale di Milano e la costruzione si concluse nel 1936, seguita dall’inaugurazione il 5 novembre 1937 come “Casa della GIL”. Durante la fase dei lavori il progetto fu mantenuto identico a quello originario, con alcune piccole variazioni: nella torre che si affaccia su Largo Ascianghi, l’arco di ingresso venne sostituito da una apertura a vetro. Il complesso è costituito da tre corpi distinti per forme, dimensioni e funzioni: quello quadrangolare, posto verso il palazzo preesistente di Viale Trastevere, ospita la piscina coperta, il refettorio, le aule e il cinema teatro, al centro è occupato da un cortile; il corpo centrale, alto e allungato, posto perpendicolarmente rispetto agli altri corpi, con la facciata ricurva verso Via Ascianghi, riservato alle tre palestre; infine il corpo di rappresentanza, culminante nella torre, dalle finestre a grandi vetrate, ospita il Salone d’Onore, l’Area Esposizioni, la Biblioteca e la Sala delle Riunioni. Nel 2005 è stato avviato un intervento di restauro filologico e ripristino dell’edificio, con una particolare attenzione agli ambienti della Galleria d’Onore, della Sala delle Memorie e della Torre Littoria, che nei decenni erano stati modificati, che ha permesso di recuperare i resti del grande affresco di Mafai che decorava l’Area Esposizioni. Nel restauro dello scalone si è deciso di riempire il vuoto lasciato dal busto di Mussolini con una scultura di forma sferica di Marcello Mondazzi. Le due palestre, caratterizzate da lucernari rotondi in vetrocemento traforati, furono divise da un muro e ancora oggi risulta compromesso l’ambiente originario. Nel dopoguerra le due palestre furono sfortunatamente divise da un muro e ancora oggi risulta compromesso l’ambiente originario. La piscina al coperto è illuminata da una grande vetrata che si affaccia sul cortile interno, le decorazioni di nuotatori e nuotatrici realizzate da Orfeo Tamburi sono state ricoperte. Nel nel 2017 l’edificio è diventato WeGil, uno spazio per attività ed eventi culturali gestito dalla Regione Lazio: https://www.wegil.it/.
Luigi Prisco, storico dell’architettura, architetto della Regione Lazio, responsabile della Legge regionale Lazio 27/2001 “Interventi per la conoscenza, il recupero e la valorizzazione delle Città di fondazione”. Ha curato su incarico della Regione Lazio il restauro filologico della Casa GIL. Cfr.Luigi Moretti e la casa della GIL a Trastevere: lo spazio ritrovato, a cura di F. Storelli e L. Prisco, Roma 2010.