Vol. 12, n. 1 (2020)
Ma tu Clitunno, nella tua soavissima onda
del cristallo più vivido che mai fosse stato
recesso a Ninfa fluviale per mirare e bagnare
le sue membra ove nulla le nascondesse, tu elevi
le tue erbose sponde dove il piccolo giovenco
pascola, tu o purissimo Dio delle dolci acque!
Serenissimo d’aspetto e chiarissimo;
certamente il tuo ruscello non fu profanato da carneficine,
ma specchio e bagno per le più giovani figlie della bellezza.
(G.G. Byron, Childe Harold’s Pilgrimage, 1812-1818, trad. di Giovanni Salvatore)
Uno dei motivi che ha spinto molti viaggiatori in Italia nel periodo del Grand Tour e poi nell’Ottocento è stato il desiderio di confrontarsi con la classicità latina e con quella greca attraverso le colonie che essi avevano costituite nel sud della Penisola. Gli edifici, i ruderi, le sculture tutto rappresentava oggetto di ammirazione e di godimento estetico. A questo proposito va ricordato come nei paesi del Nord Europa, da dove provengono la maggior parte dei viaggiatori, la lettura dei testi antichi era alla base del sistema educativo. La conoscenza delle lingue antiche era ritenuta indispensabile alla formazione del gusto. Ad esempio, in Inghilterra la lettura di Virgilio e Orazio entra a far parte della gamma dei piaceri di un uomo adulto, così in Francia lo studio delle l’antichità ebbe un ruolo fondamentale sulla cultura dell’epoca. Nella scelta dei luoghi si cercheranno quelli che evocano la bellezza classica e che si prestano alle citazioni. Un riferimento, ricorrente nelle descrizioni dei viaggiatori, è la mitica valle di Tempe in Grecia, luogo celebrato dai poeti greci perché particolarmente ameno e favorito da Apollo e dalle Muse, che nessuno aveva avuto modo di vedere, ma il fatto di averne letto la descrizione nei classici greci lo faceva diventare termine di confronto. Non solo, lo stesso Cicerone in una lettera ad Attico paragona la valle del reatino a quella di Tempe. In Umbria sono (le valli fra Terni e Narni e quella fra Foligno e Spoleto) ad essere più volte paragonate alla valle di Tempe. Altra fonte di grande interesse era un luogo dove avesse vissuto uno scrittore latino, fra i più ambiti e ricercati troviamo Orazio, Cicerone, Virgilio, Plinio, Seneca. In un manuale per chi viaggiava in Italia il francese Jean-Dominique Cassini scrive nel 1778 riferendosi al tragitto fra Roma e Napoli: «I paesi che attraversa sono estremamente interessanti relativamente alla storia romana. Chiunque vorrà seguire passo a passo le indicazioni degli Autori antichi e indulgere nella ricerca dei principali luoghi che hanno citato dovrà fermarsi per lungo tempo»[1]. Inoltre, in età vittoriana per i viaggiatori britannici venire in Italia significava confrontarsi con ciò che restava a testimonianza della grandezza dell’Impero romano di cui si sentivano i veri eredi[2].
I viaggiatori, imbevuti di cultura classica, traggono godimento nell’ammirare quegli stessi luoghi dove si erano soffermati gli autori che amavano, essi deducono dalle fonti antiche quello che vogliono vedere. Non guardano quei luoghi con i propri occhi, ma utilizzano lo sguardo dell’altro, di un antico, per assorbire meglio lo spettacolo che essi immaginano immutato della natura. Viene messa a confronto la reazione emotiva del viaggiatore nei confronti di un luogo con ciò che ne aveva scritto l’antico scrittore. Anche le sue parole diventano superflue, quando si possono utilizzare quelle più efficaci dei classici latini[3]. Ha scritto con acutezza Alain Corbin: «Scrivendo essi si limitano a organizzare il repertorio dei prestiti, a recuperare ricordi ed emozioni nate dalla lettura dell’antico testo»[4]. All’origine di questo tipo di interesse possiamo annoverare, lo scrittore e drammaturgo britannico Joseph Addison. Autore di un volume, Remark on several parts of Italy, etc. in the Years 1701, 1702, 1703, edito nel 1705, che divenne un best seller e il libro di viaggio più consultato per buona parte del secolo dai viaggiatori inglesi, in cui scrive: «devo confessare che esaminare le differenti descrizioni, sui luoghi stessi, e confrontare i paesi e loro situazioni con le immagini che i poeti ci hanno dato, non è stata la minore delle occupazioni e dei piaceri che ebbi nel mio viaggio»[5]. Alcuni anni dopo, fu un altro scrittore britannico, Horace Walpole, che soggiornò in Italia negli anni 1739-1741, a criticare questo approccio. L’autore de Il castello di Otranto scrive, infatti, riferendosi all’Addison, di: «avere viaggiato attraverso i poeti e non attraverso l’Italia; giacché tutte le sue idee sono attinte dalle descrizioni di quest’ultimi e non dalla realtà»[6].
L’Umbria nel Settecento fu essenzialmente terra di transito per chi andava a Roma o ne tornava, anche perché pochi erano i luoghi e i monumenti che testimoniavano la classicità, essenzialmente due: i resti del ponte di Augusto sul fiume Nera nei pressi di Narni e le Fonti del Clitunno e il Tempietto che lì vi sorge, la cui datazione per i viaggiatori dell’epoca era incerta. Il lettore si domanderà per quale motivo un luogo, sicuramente ameno e di fascino, attirò tanti viaggiatori. La spiegazione va cercata nel fatto che era stato descritto e cantato da numerosi autori latini per il motivo che si riteneva che le sue acque rendessero bianca la pelle dei buoi che vi si abbeveravano. Questi bianchi bovini, poi, venivano utilizzati nei trionfi a Roma e nei sacrifici agli dei. Esso era quel classico locus amoenus antico di cui andavano alla ricerca, in quanto aveva i requisiti di una natura felice.
Uno dei primi ad ammirare le Fonti del Clitunno fu proprio Joseph Addison, il quale dopo aver ricordato con scetticismo la capacità di queste acque di rendere bianca la pelle dei bovini a cui, riferisce, gli abitanti del luogo credono ancora, cita i brani degli autori latini che hanno scritto di questo luogo: Properzio, Virgilio, Silio Italico, Lucano, Stazio, Giovenale. Non c’è altro, nessun commento, ma traspare la soddisfazione di aver trovato così tanti scrittori che abbiano parlato del luogo in cui si trova, e alla loro autorevolezza viene demandato il compito di descriverlo. Nelle citazioni di Addison mancano sia Plinio il vecchio che il nipote Plinio il giovane. Quest’ultimo è autore di un’accurata descrizione delle fonti in una lettera indirizzata all’amico Voconio Romano, nel 100 circa d.C., in cui lo esorta, se non l’avesse già fatto, a visitarle perché, a suo dire, si tratta di un posto particolarmente ameno, dove l’acqua è così trasparente da poter vedere nel fondo le monete che vi venivano gettate, ricco di tempietti e sacelli, navigabile con dei battelli sospinti dalla corrente, inoltre non mancano le ville e la possibilità di fare i bagni. «In breve – scrive – non c’è nulla di cui tu non possa aver diletto»[7].
I viaggiatori che si succedono ripetono quasi sempre le stesse cose: i riferimenti alla proprietà delle acque di rendere bianca la pelle dei buoi, le citazioni di autori latini in particolare Plinio il vecchio e Virgilio. Per Johann Jacob Volkmann, il cui testo, pubblicato negli anni 1770-1771, fu il vademecum della maggior parte dei viaggiatori tedeschi, fra cui Goethe, scrive: «È però ridicolo credere come gli antichi, secondo la narrazione di Plinio il Vecchio, che il bestiame ricevesse il colore bianco dal bere l’acqua del Clitunno. Questo effetto dell’acqua non si riscontra comunque per i maiali, che qui come nella maggior parte dei luoghi d’Italia sono sempre neri o marrone scuro»[8]. È chiaro che per l’aristocrazia intellettuale europea era difficile credere a quello che avevano scritto gli autori latini, amati e venerati, in merito alla proprietà di queste acque. Fra i testi da me consultati c’è un eccezione, si tratta di un viaggiatore inglese conosciuto come dott. Maihows, il quale ritiene plausibile che una volta l’acqua avesse questa capacità. A sostegno di questa sua tesi cita un viaggiatore irlandese, lì incontrato, che riteneva che fosse dovuto alla presenza nell’acqua di materiale solforoso che ora non c’era più[9].
Nel 1802 in un’Europa tormentata dalle guerre napoleoniche, un uomo di 39 anni, Johan Gottfried Seume, partì da Lipsia da solo a piedi per raggiungere Siracusa, il luogo di nascita di Teocrito, il poeta a lui più caro. Anche lui erudito e amante dei classici fece il suo viaggio in compagnia soprattutto di Omero e Virgilio. Giunto alle Fonti del Clitunno osserva che pur contaminate da asinai e lavandaie «siano belle come al tempo in cui Plinio le descrisse con tanto entusiasmo. Certamente qui più non esistono i boschetti sacri e i molti templi; ma la contrada è dolcissima e io, assetato, scesi devotamente alle fonte e bevvi a grande sorsate l’acqua della sorgente maggiore, quasi fosse stata la fonte di Ippocrate»[10].
I viaggiatori di lingua inglese che giungono alle Fonti, in età romantica, sostituiscono le citazioni dei classici con i versi del Childe Harold di Byron, che abbiamo citato nell’esergo, tanto che il sacerdote, politico, scrittore americano Joel Tyler Headley scrive, riferendosi a questo luogo, che: «Childe Harold è la migliore guida per questa regione»[11].
Nella tarda seconda metà dell’Ottocento, in particolare grazie agli studi, prevalentemente di intellettuali stranieri, sulla figura di san Francesco, si afferma l’idea di un’Umbria spirituale, mistica, terra di santi, anche fra chi non era cattolico. Assisi diventa meta del viaggio e così anche i luoghi nella regione che avevano visto le gesta del santo. Anche le immagini sacre, disseminate nelle tante chiese del territorio, opere di autori più o meno importanti, rafforzano l’idea di trovarsi in una terra mistica. A fare da contraltare a questa immagine ci sono le Fonti che per alcuni viaggiatori assurgono a luogo della paganità. Ne dà testimonianza il poeta francese André Suarès, il quale nel 1932 scrive: «Calma profonda, che nessuno infinito disturba e tormenta. È la pace antica, non quella dei cristiani che esita fra l’attesa e la rassegnazione. Quella dell’animo pagano che si mescola alla natura e segue le stesse leggi»[12].
Assieme alle Fonti ad attrarre il viaggiatore c’è un edificio, che domina le sorgenti del breve corso d’acqua, conosciuto come Tempietto del Clitunno o chiesa di San Salvatore. Si tratta di un edificio paleocristiano – ma molti viaggiatori lo riterranno costruito dagli antichi romani – della fine del IV inizio del V secolo (alcuni studiosi lo datano tra il VII e il IX secolo). Sorge nel luogo dove Plinio il giovane ricorda la presenza di un santuario e di un’edicola dedicata al culto del dio Clitunno, famoso per il requisito di dare responsi. Probabilmente per costruire la chiesa vennero utilizzati materiali ricavati da antichi edifici romani. Il tempietto domina la piana del Clitunno, in una posizione particolarmente suggestiva.
Una delle prime descrizioni ci viene data da un viaggiatore francese alla fine del diciassettesimo secolo, François Maximilien Misson, autore di uno dei libri di viaggio, più volte riedito, maggiormente utilizzato da quei francesi che venivano in Italia. Il libro veniva regolarmente sequestrato all’ingresso dello Stato Pontificio perché messo all’indice per le posizioni espresse nei confronti della superstizione e degli abusi della Chiesa cattolica. Anche Misson dialoga con gli autori antichi e le reminiscenze classiche sono una costante. Egli arriva alle Fonti nel 1688, interessato più al tempietto che al paesaggio, e confuta una vulgata, che resisterà per molto tempo, che l’edificio fosse opera degli antichi romani. Scrive Misson: «ma quel che l’opinione corrente poi aggiunge, e cioè che il piccolo tempio era consacrato a Clitumnus, innalzato a divinità, è una cosa fuori da qualsiasi apparenza di verità; oltre al fatto che questo tempio è costruito su pianta cruciforme, che è orientato coma la maggior parte delle chiese cristiane, e che ci sono croci in bassorilievi in diversi punti sui frontoni e le iniziali del nome di Cristo, il che non si accorda con le forme del paganesimo. […] Si potrebbe tutt’al più dire che questo tempio sia stato costruito con i resti di quello a Clitumnus. Lo si chiama oggi San Salvatore, e il vescovo di Spoleto vi dice messa una volta l’anno»[13].
La datazione di questo edificio arrovella i viaggiatori, perché il godimento estetico cambia a seconda di chi ne sia stato l’artefice. Per Alexandre de Rogissart il tempio è opera degli umbri che lo eressero in onore del dio Clitunno, altri non si spingono così indietro nel tempo ma lo datano al periodo romano. Così Edward Wright, nonostante le croci e le iscrizioni cristiane, sostiene che: «l’architettura sembra troppo rifinita per gli albori del Cristianesimo, e l’edificio troppo vecchio per essere stato costruito durante il revival dell’architettura stessa e da ciò sembrerebbe piuttosto essere stato un antico tempio pagano convertito all’uso cristiano»[14]. Per Pierre Augustin Guys esso era consacrato a Diana. Mentre l’accademico, letterato ed esperto di arte antica Anne-Claude-Philippe de Caylus, nel 1715, scrive: «Le sue colonne di marmo bianco, sono di architettura corinzia e il modo in cui è edificato mostra che è stato costruito al tempo dei Romani prima che il mondo cadesse nell’ignoranza, e contemporaneamente al tempo del cristianesimo»[15]. Il marchese de Sade si interroga: «ma non è possibile che questi segni del cristianesimo siano stati aggiunti in un secondo tempo, quando il monumento pagano fu dedicato al Salvatore?»[16]. Altri importanti viaggiatori del secolo come Lalande, Volkman, Forrester si trovano d’accordo con Misson nel ritenerlo un edificio paleocristiano.
Vicino alle Fonti si trovava una stazione di posta chiamata Le Vene (questo era il nome con cui veniva chiamato il sito prima che Carducci scrivesse l’ode Alle fonti del Clitumno) e il luogo era molto frequentato anche dai mendicanti, che cercavano di sfruttare la sosta dei viaggiatori e l’eventuale visita alle Fonti per ottenere qualcosa. Di questa invadenza abbiamo due significative testimonianze. Una della scrittrice irlandese e di idee liberali, Lady Sydney Morgan, che in piena Restaurazione fa un viaggio in Italia. Giunta alle Fonti del Clitunno, dopo aver ricordato che è un luogo menzionato da viaggiatori classici e moderni, scrive che: «malgrado la ricchezza della terra, i mendicanti si presentano nelle forme più degradanti. Quando apparve la nostra vettura, le donne e i bambini si gettarono per terra e la baciarono, rialzatisi si misero a correre lungo la strada in modo frenetico, gridando Qualche cosa per i morti vostri! Carità! Carità!»[17]. Lady Morgan durante il viaggio si ritrova più volte a descrivere la condizione di estrema povertà in cui vive la popolazione della Penisola, dovuta ai governi dispotici e incapaci rimessi al loro posto dopo la sconfitta di Napoleone, in particolare i suoi strali vanno allo Stato pontificio. L’altro è lo scrittore americano Nathaniel Hawthorne che nel 1858 annota: «Non ricordo nient’altro della valle del Clitunno, tranne che i mendicanti in questa regione di proverbiale fertilità sono quasi blasfemi nell’urgenza delle loro richieste; cadono in ginocchio quando ti avvicini, con lo stesso atteggiamento come se stessero pregando per il loro Creatore, e ti supplicano per l’elemosina con un fervore che temo che usino raramente davanti a un altare o un santuario. Avendogliela negata, corsero frettolosamente accanto alla carrozza, ma non ottenendo nulla alla fine cedettero»[18].
Nonostante l’invadenza del turismo di massa, e di quello che ne consegue: posti di ristoro, venditori di souvenir, le Fonti del Clitunno esercitano ancora un notevole fascino per gli animi sensibili, per gli amanti della natura. In un volume recente il francese Jean-Louis Jacquier-Roux scrive che, durante il suo soggiorno in Umbria, è stato a visitare le Fonti con un fardello di riminiscenze classiche e ha trovato che – nonostante gli studenti delle gite scolastiche e gruppi di coreani – possano svolgere ancora la loro attrattiva[19].
[1] J.-D. Cassini, Manuel de l’étranger qui voyage en Italie, chez la veuve Duchesne, Paris 1778, pp. 204-205.
[2] Sull’argomento vedi l’importante lavoro di J. Pemble, La passione del Sud. Viaggi mediterranei nell’Ottocento, il Mulino, Bologna 1998, in part. le pp. 77-102.
[3] Il reverendo inglese John Cetwode Eustace, autore agli inizi dell’Ottocento di un libro di viaggio in Italia che ebbe una grande successo fra i suoi connazionali, infarcito di citazioni dei classici, così scrive: «Plinio il giovane ci ha lasciato una vivace e accurata descrizione di questa fonte, che il lettore preferirà certamente alle più moderne descrizioni». J.C. Eustace, A classical tour throught Italy, 4 v., Mawman, London 18423, III, p. 222.
[4] A. Corbin, L’invenzione del mare. L’Occidente e il fascino della spiaggia 1750-1840, Marsilio, Venezia 1990, p. 74.
[5] J. Addison, Remark on several parts of Italy, etc. in the years 1701, 1702, 1703, J. Tonson, London 1705, Preface, p. [12].
[6] Cit. in A. Wilton e I. Bignamini (a cura di), Grand Tour. Il fascino dell’Italia nel XVIII secolo, Skira, Milano 1997, p. 27.
[7] G. Plinio Cecilio Secondo, Epistolae, VIII, 8.
[8] J.J. Volkmann, Historisch-kritische Nachrichten von Italien ,welche eine Beschreibung dieses Landes, der Sitten, Regierungsform, Handlung, des Zustandes der Wissenschaften und insonderheit der Werke der Kunst enthalten, 3 v., Fritsch, Leipzig 1770-1771, III, p. 425.
[9] [Maihows], Voyage en France, en Italie e aux isles de l’Archipel, ou Lettres écrites de plusieurs endroits de l’Europe et du levant en 1750, traduit de l’anglais, 4 v., Charpentier, Paris 1763, II, p. 314.
[10] J.G. Seume, L’Italia a piedi 1802, Longanesi & C., Milano 1973, p. 147.
[11] J.T. Headley, Travels in Italy, the Alps and the Rhine, M’Glashan, Dublin, 1849, p. 186.
[12] A. Suarès, Le voyage du condottière, Granit, S.l. 1984, pp. 392-393. Il volume raccoglie le impressioni dei suoi viaggi in Italia dal 1893 al 1928.
[13] F.M. Misson, Viaggio in Italia, trad. e cura di G.E. Viola, L’Epos, Palermo 2007, p. 155.
[14] E. Wright, Some observations made in a travelling through France, Italy, etc. in the years 1720,1721 and 1722, 2 v., Ward and E. Wicksteed, London 1730, I, p. 126.
[15] A.-C.-P. de Caylus, Voyage d’Italie 1714-1715, Librairie Fischbacer, Paris 1914, pp. 173-174.
[16] D.-A.-F. de Sade, Viaggio in Italia, Bollati Boringhieri, Torino 1996, p. 389.
[17] Lady Sydney Morgan, L’Italie, trad. dall’inglese, 4 v., A. Wahlen et Co., Bruxelles 1821, III, p. 143. Le parole in italiano e in corsivo sono testo.
[18] N. Hawthorne, Passages from the French and Italian. Note-books, Houghton, Osgood ans Company, Boston 1879, p. 223.
[19] J.-L. Jacquier-Roux, Ombrie. La terre d’en bas, La fosse aux ours, Lyon 2016, pp. 161-163.
Alberto Sorbini è direttore dell’Istituto per la storia dell’Umbria contemporanea, si occupa di storia e antropologia dell’alimentazione, del viaggio in Italia, di emigrazione. Su questi temi ha scritto libri e articoli.